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La luce della luna era tutto ciò che rischiarava la stanza dove ero stato rinchiuso. Appariva filtrata, per via delle sbarre della piccola finestra in alto. La porta dietro di me era chiusa a chiave e non avrei potuto fare nulla per uscire da quella prigione, fino a che il direttore non avesse deciso che avevo scontato la mia punizione.

Seduto a terra con la schiena poggiata al muro e le mani intrecciate alle ginocchia, tutto ciò che potevo fare era fissare quello spicchio di cielo, sognando di essere libero. L'aria gelida dell'inverno si infiltrava nei miei calzini bucati dandomi brividi per tutto il corpo. Lo stomaco brontolava, non mi era stato concesso di mangiare quella sera.

Sei un bambino inutile, sei un peso per noi.

Mi coprii le orecchie, come se questo potesse impedirmi di sentire la voce del direttore nella testa. Avevo ormai consumato tutte le lacrime, sentendomi ormai svuotato. Eppure sentivo dei singhiozzi, un suono così terribilmente familiare ma che per una volta non proveniva da me.

Alzai lo sguardo, nella direzione in cui quel suono proveniva. C'era un bambino di fianco a me. Era strano, avrei giurato che non ci fosse nessuno lì in quella stanza con me.

Capelli color carota, naso adunco e denti storti, era il ragazzino che avevo conosciuto qualche ora prima. Quello che gli altri bambini ignoravano, quasi non esistesse. Non sapevo come si chiamasse o se fosse nuovo dell'orfanotrofio, non lo avevo mai visto lì prima di quel giorno. Vedendolo così triste, da solo, gli avevo semplicemente offerto di giocare insieme con le costruzioni.

Il bambino non amava parlare, aveva sussurrato solo un paio di cose per tutto il tempo, e non era facilmente comprensibile. Cercando di metterlo a suo agio, mi ero messo a parlare per entrambi ad alta voce, nel tentativo di coinvolgerlo.

Gli altri ragazzi avevano iniziato a guardarmi, non sembravano contenti che giocassi con lui. Uno di loro doveva essere andato a riferirlo.

Il direttore mi aveva chiesto perché parlassi da solo. Disse che ero un bugiardo e che lui sapeva come occuparsi di chi diceva le bugie. Inutili i miei tentativi di fargli notare il bambino, farlo parlare per difendermi. Era come se tutti stessero complottando alle mie spalle, come se volessero farmi credere di essere pazzo.

"Vattene" mormorai al bambino.

In un altro momento gli avrei urlato addosso, ma ero troppo stanco. Se solo avuto almeno una coperta per riscaldarmi...

Continuò a singhiozzare più forte di prima, sembrava disperato.

"Io sono stato buono con te e tu mi hai fatto finire in punizione" lo rimproverai.

"Ma-ma".

Mi sembrava di iniziare a capire cosa stesse dicendo, in quella sua lingua incomprensibile. Gli mancava la sua mamma.

"A tutti noi manca, io non l'ho mai conosciuta ma... mi manca lo stesso" confessai, sentendomi imbarazzato nel pronunciare quelle parole.

Continuava a sussurrare quella parola, come una litania. Adesso non mi sentivo più arrabbiato con lui, riuscivo a capirlo. Era come se standogli vicino tutto quel tempo, potessi sentire una connessione emotiva con lui.

Gli porsi la mano e sentii le sue piccole dita sulla mia pelle, erano gelide. Forse ero troppo stanco e le mie impressioni devono essere state poco lucide, ma sentivo come se quelle dita non avessero alcuna consistenza.

Vidi una donna con i capelli lunghi che sorrideva, allungava le mani, come per accogliere qualcuno in un abbraccio. Una casa, come quelle che avevo sempre immaginato avessero le famiglie felici. Vidi degli scalini, andavano verso il basso e poi la vista si fece confusa. Sentii un urlo femminile e provai la sensazione di cadere.

Sussurri nell'ombra : la storia di AtsushiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora