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I bambini che giocavano a pallone nella palestra sembravano divertirsi molto. Avrei voluto unirmi a loro, giocare insieme agli altri ed essere un bambino normale, ma questo mi era stato proibito.

Il direttore mi aveva rimproverato quando avevo provato a correre e giocare con tutti gli altri. Anche se cercavo di non mostrare agli altri le mie emozioni, ne soffrivo.

Se qualcuno provava ad avvicinarsi a me e compatirmi, fingevo disprezzo e superiorità. Non mi piaceva condividere le mie debolezze con qualcun altro, mi faceva sentire indifeso. Per questo, odiavo così tanto Atsushi. Lui, con quei capelli quasi bianchi e con gli occhi grandi e innocenti, sembrava essere l'opposto di ciò che ero io. Lui era la luce, io le tenebre. Quando Atsushi ti guardava, era come se i suoi occhi ti leggessero dentro. Il suo sguardo mi metteva a nudo, e non riuscivo a sopportarlo. Cercavo di mostrargli il lato peggiore di me per impedire che riuscisse a capirmi.

Calciandolo, il pallone era andato fuori dal campo, avvicinandosi a me. Un bambino si avvicinò per riprenderlo, evitando accuratamente di guardarmi. Strinsi il pugno per il nervosismo, aspettando che si allontanasse. Mi sembra quasi inutile dover specificare che non avevo nessun amico, né tantomeno ne volessi.

Anche se può sembrare ingiusto, il divieto di farmi giocare a pallone, non era privo di senso.

C'erano stati degli incidenti.

Ero sempre stato cagionevole di salute. Spesso tossivo sangue o avevo cali di pressione improvvisa. Il mio viso era sempre stato più pallido rispetto a quello degli altri bambini. Soffrivo inoltre di insonnia, e le occhiaie di certo non miglioravano il mio aspetto. Avevo fatto diverse visite, da vari specialisti ma nessuno riusciva a capire quale fosse il mio problema. Forse, avevo una patologia talmente rara da non essere ancora conosciuta.

Durante una partita, correndo e sudando ero svenuto in mezzo al campo e avevano dovuto soccorrermi.

Odiavo essere così fragile.

Non mi ero arreso, tuttavia, ed avevo insistito per continuare a giocare. Ero anche competitivo e avrei voluto chiudere la bocca a quelli più grandi che mi trattavano da inetto. Mi ero esercitato spesso da solo con la palla, per imparare a giocare ed ero pronto a dimostrare il mio valore.

Il secondo incidente, aveva rovinato tutto.

Avevo un carattere pessimo, me ne rendevo conto. La mia asocialità non mi aiutava a gestire i rapporti interpersonali, ma il mio non era un problema di ansia sociale.

Come sempre, prima della partita, ai due che vengono nominati capitani, viene chiesto di scegliere a turno, chi dovrà fare parte della squadra. Gli ultimi due rimasti, quelli che nessuno avrebbe voluto nella propria squadra. Siamo proprio io e Atsushi. Il capitano sceglie me e di conseguenza, lui va nell'altra squadra. Siamo uno contro l'altro per mia fortuna.

Iniziamo a giocare, ma noto che nessuno mi vuole passare la palla. Resto in campo come uno stupido, guardando gli altri giocare e darsi pacche sulla spalla quando segnano, come se io non esistessi. Decido di prendermi la palla di prepotenza, sottraendola a quello che avrebbe dovuto essere un mio compagno di squadra. Riesco anche a segnare, ma noto che i miei compagni sono arrabbiati con me. Continuo a giocare, quando uno di loro mi fa lo sgambetto facendomi cadere.

Non ricordo bene quello che è successo dopo, quando torno in me, noto che il ragazzino che mi aveva fatto cadere, ha il viso sporco di sangue. Anche le mie mani sono rosse, noto disgustato. Devo averlo picchiato.

Il mio problema, è che non sono in grado di gestire la rabbia.

Quando qualcuno mi fa infuriare, perdo il controllo e divento violento.

Sussurri nell'ombra : la storia di AtsushiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora