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Ho sempre saputo di essere diverso.

Ho sempre creduto di essere sbagliato.

C'era qualcosa in me che non andava, era come se non meritassi di vivere, come se dovessi conquistarmi quel diritto con le mie azioni. Dimostrare agli altri che anche io potevo essere utile.

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Non era una giornata come tutte le altre all'istituto. Io e gli altri bambini guardavamo dalla finestra le auto che passavano, ci era stato detto che quel giorno avremmo avuto delle visite.

Per l'occasione, eravamo stati tirati a lucido.

Mi erano stati tagliati i capelli, la frangia andava ormai a coprirmi gli occhi da diverso tempo dandomi parecchio fastidio. La sensazione dell'acqua calda e delle mani che mi massaggiavano i capelli era piacevole. Ma quando avevo visto le forbici davanti al mio viso, mi ero agitato ed il barbiere aveva sbagliato a tagliarmi la frangia, rendendola storta. Il direttore disse che non importava, tanto non mi avrebbero mai preso in considerazione.

Avevo indossato dei vestiti nuovi, comunque troppo grandi su di me. Feci le pieghe alle maniche del maglione, cercando di adattarlo anche se non era quello il problema più grande. Io, come quasi tutti i bambini dell'istituto, ero molto magro, ed avevo il viso smunto, gli occhi scavati dalla denutrizione. Ci veniva dato da mangiare, le porzioni erano discrete certo, ma il cibo era come spazzatura. Erano mesi ormai che non mangiavo frutta o verdura fresche. Sempre delle brodaglie che quando andava bene non avevano alcun sapore. Questi, erano segni che non si potevano nascondere con un bel bagno e dei vestiti puliti.

Sentii gli altri ragazzini chiacchierare eccitati, chiedendosi chi avrebbero scelto. Ognuno di noi non desiderava altro che avere una famiglia. Io lo desideravo con tutto il cuore, ma non credevo fosse possibile per me.

Un'auto entrò nel vialetto, parcheggiando nel cortile.

Il direttore ci sgridò. Secondo lui spiare così dalla finestra era da maleducati. Dovevamo continuare a giocare, sembrare indifferenti alla visita.

Andai a sedermi a terra in un angolino. Tra le braccia stringevo Jinko, il mio pupazzo di tigre bianco. Accarezzando il pupazzo ormai logoro e consumato dal tempo, ascoltai i passi dei visitatori.

Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo, vedere quella famiglia perfetta e illudermi di poterne fare parte.

I passi si diressero verso lo studio del direttore e la porta si richiuse a chiave. Era come se ci lasciassero di proposito fuori dalla discussione.

Sospirai, una parte di me era sollevata di non poter ascoltare la conversazione.

"Quando ti decidi a buttare quel pupazzo? Non vedi che è tutto rotto?!".

Alzai lo sguardo, una sensazione di fastidio e paura si diffondeva nel mio corpo ogni volta che mi ritrovavo a guardare lui: Akutagawa Ryunnosuke.

Akutagawa era quello che aveva l'aspetto più malaticcio tra tutti noi. Se ne andava in giro a tossire in quel suo fazzoletto di stoffa, come se fosse eternamente malato. Aveva il viso così pallido che gli occhi neri come la notte ed i capelli corvini, risaltavano ancora di più facendolo assomigliare quasi ad un demone.

Era sempre stato così fin da quando avevo messo piede lì dentro, il suo passatempo sembrava quello di infastidirmi.

"Non sono affari tuoi".

Lo sentii tossire, si appoggiò al muro, come se faticasse a reggersi in piedi. Aveva chiaramente bisogno di cure che nessuno era intenzionato ad offrirgli.

"Ho sentito dire che stanno cercando qualcuno in particolare. Sono venuti qui apposta. Forse è la volta buona che sparisci dai miei occhi" lo schernì.

Il chiacchiericcio degli altri bambini si fermò, la porta si stava aprendo. In quel momento Atsushi si concesse di guardare il visitatore. Era un ragazzo giovane, aveva i capelli castani ondulati ed indossava un lungo cappotto beige. Quello che colpiva nel suo aspetto erano le bende che indossava. Delle bende bianche coprivano il suo collo e le sue braccia. Era impossibile guardarlo e non restare affascinati dal suo sorriso ammaliatore. Atsushi pensò che quell'uomo gli ispirava fiducia e desiderò di andare via con lui, più di quanto gli fosse capitato fino ad ora con altri estranei.

Girò lo sguardo, vedendo Akutagawa guardare quell'uomo col suo stesso sguardo ammaliato. Vide che stringeva i pugni, le vene già così evidenti dalla sua pelle biancastra, erano in rilievo per lo sforzo.

Il direttore venne verso di noi ed abbassai lo sguardo, stringendo Jinko ancora di più. Temevo di aver attirato le sue ire semplicemente guardando l'uomo con il cappotto.

"Nakajima, in piedi" mi ordinò.

Con le gambe tremanti mi tirai su, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.

"Prepara le tue cose, devi andartene".

Rimasi stupito da quelle parole, sicuro di aver avuto un'allucinazione, di non aver compreso bene. Rimasi fermo, senza sapere cosa fare, non potevo chiedergli di ripetere, si sarebbe arrabbiato.

"Muoviti, non far aspettare il signore".

Ancora confuso, feci quanto mi aveva richiesto. Andai in camera, cercando di raccattare i miei vestiti, non avevo molto da portare. Infilai Jinko nella borsa, rifiutandomi di lasciarla lì.

Forse era semplicemente un sogno e mi sarei svegliato una volta fuori dalla porta.

Tornai all'ingresso, avvicinandomi con cautela al signore col cappotto. L'uomo mi guardò sorridendo ed appoggiò una mano sulla mia spalla in un gesto affettuoso al quale non ero abituato.

"Andiamo. Gli altri sono curiosi di conoscerti".

Mi voltai indietro, incerto se salutare o meno. Non avevo stretto amicizia praticamente con nessuno lì dentro ed il direttore era già tornato nel suo ufficio, disinteressato dalla mia partenza.

Per lui non ero altro che un peso morto, immaginavo fosse ben felice di liberarsi di me.

Gli altri bambini, mi guardavano invidiosi, come facevano di solito con chi partiva.

Incrociai lo sguardo di Akutagawa, c'era un odio feroce dipinto nei suoi occhi. Immaginai che mi avrebbe incenerito con quello sguardo, se solo avesse potuto.

Dunque, non c'era nulla a legarmi a quel posto. Soltanto brutti ricordi.

"Sì, andiamo" dissi, stavolta con convinzione.

Nel momento in cui varcai quella porta, mi sentii per la prima volta finalmente libero.

Sussurri nell'ombra : la storia di AtsushiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora