Le apparenze ingannano.
Un famoso detto che tutti si ripetono e in pochi, invece, rispettano.
Io ho visto e vedo tuttora il risultato di questa incapacità totale delle persone di riuscire a farlo.
La mia apparenza è quella di avere un corpo androgino al massimo, muscoloso e che ha solo tratti accennati, quasi invisibili, di femminilità. Potrò pure avere il famoso didietro allenato come in tanti desiderano, quasi a compensare la mia seconda appena risicata di seno, ma non ha le forme voluttuose che si scorgono sempre nei quadri, sode al tatto e morbide alla vista. Se andassi in giro per la città in biancheria di pizzo bianco, gran parte delle persone - forse tutte - mi scambierebbe per un ragazzo ammattito che ha deciso di indossare intimo da donna.
Non esser riconosciuta subito per quel che sono, agli inizi, non mi crea fastidi. Alla fine, per quanto sbagliate o giuste siano, è vero che le categorie uomo e donna - sempre che si possa parlare di categoria - si differenziano spesso per caratteristiche fisiche specifiche che solo di tanto in tanto coincidono, ed io sono una delle poche ragazze che ha ereditato invece quasi tutti connotati solitamente maschili.
I problemi sopraggiungono quando, una volta chiarito l'equivoco, la controparte non riesce a credermi o si rifiuta di accettare la realtà, dà per scontato che io stia mentendo.
Di aggettivi ne ho ricevuti tanti, nel corso degli anni, troppi per poterli elencare. Alcuni di essi non sono nient'altro che termini scientifici, ma chi me li sputava contro li usava con il fine ultimo di insultarmi e disprezzarmi.
Trans.
Lesbica.
Ermafrodita.
Donno.
Maschia.
Non so dire esattamente quando quel ciclone infernale è iniziato. Nei miei ricordi di prima infanzia, benché sempre sproporzionata rispetto alle altre bambine, non avvertivo questa differenza categorica tra me e il mondo, non mi percepivo in quel modo crudele e sadico che avrei poi sviluppato nel corso degli anni, per cui mi bastava anche solo respirare per sentirmi colpevole. Ai miei compagni di classe delle elementari poco o niente importava cosa fossi, se maschio o femmina, anzi. C'erano altre bambine che avevano un aspetto androgino, i famosi "maschiacci", e bambini che invece avevano tratti effemminati, visto che l'infanzia ingrazia i visi di tutti, vergine dei tratti duri dell'adolescenza prima e la fase adulta dopo.
Non ci importava granché di cosa avessimo tra le gambe. Certo, ci incuriosiva, in alcune occasioni, ma poi ci ricordavamo sempre che c'era qualcosa di più importante da fare, dire, pensare e perciò ce ne dimenticavamo, tornavamo a giocare tra di noi e quel dubbio svaniva come se non fosse mai esistito.
Non mi sentivo diversa in mezzo a loro, non mi sentivo troppo, quand'ero bambina. Benché da sempre la più alta della classe, non me ne importava nulla, anzi, spesso i miei amici mi facevano tantissimi complimenti, mi chiedevano aiuto per prendere le cose che loro non riuscivano a raggiungere, ero felice di com'ero, ne ero addirittura grata.
Poi, non so come né quando, è nata la spaccatura.
Una faglia vera e propria che ha diviso di netto i mondi uomo e donna prima uniti in un'unica bolla, e così da un lato c'erano le ragazze e dall'altro c'erano i ragazzi.
Io, però, non andavo bene per nessuno dei due gruppi, ambe le parti si rifiutavano di accettarmi.
Restavo in piedi proprio su quella faglia, impossibilitata dal muovermi, col rischio di cadere ad ogni secondo, e se provavo ad avanzare a destra o a sinistra venivo di nuovo, inesorabilmente, respinta dalle due fazioni, costretta a indietreggiare.
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Autopsia di un'anima
ChickLitAshley Ellis, ventisei anni, è tutto ciò che una donna non dovrebbe essere per la società e l'antitesi della classica protagonista minuta, timida e indifesa di ogni romanzo rosa. Un metro e ottantasette, muscolosa, viso e fisico estremamente androgi...