Capitolo 2 PETRONILLA

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PETRONILLA

                Quando la sveglia di Giulio suona, decido che è ora di cambiare. Mi alzo e vado a fare yoga, un'attività che avevo iniziato mesi fa, ma a cui ho partecipato solo un paio di volte. Al corso incontro una collega, Francesca, che si è appena trasferita a Firenze. Lei è tutto ciò che io non sono: socievole, radiosa, già circondata da amici. Mi invita a una festa quella sera, ma invento una scusa.

«E domani sera?» insiste lei, con un sorriso che non ammette repliche.

Accetto, temendo che Francesca smetta di invitarmi a qualsiasi evento. Non le racconterò mai il vero motivo, mi prenderebbe per pazza. Non lo sa nessuno, ma ogni sabato sera mi ritrovo con un gruppo di appassionati di scacchi e giochi da tavolo. L'ossessione è tale che mi sto preparando con un maestro, campione d'Italia, per il campionato regionale.

Il pomeriggio lo passo correggendo compiti di matematica. I miei studenti sono brillanti, e non posso fare a meno di complimentarmi per i loro progressi. Ho bisogno di gratificazione nel lavoro, e il doposcuola che ho avviato con alcuni colleghi, basato su metodi di apprendimento alternativi, è diventato il mio orgoglio. I risultati parlano da soli.

La sera, esausta, preparo una caprese e crollo sul divano, addormentandomi prima che la TV si spenga automaticamente. Nel cuore della notte, urla di piacere di una donna penetrano i miei sogni, distorcendo la mia mente. Mi risveglio sudata, il respiro affannoso, la pelle che brucia di desiderio. Ritirando le dita umide da sotto l'elastico del pigiama, realizzo quanto sia potente l'attrazione che mi sveglia nel cuore della notte.

Quando sento Giulio parlare, mi risveglio del tutto. Da quanto tempo non faccio sesso? Da quanto non sono stata toccata? Ricordo l'umiliazione delle sue parole, e l'orgoglio si ribella. Chi crede di avere davanti? Se solo conoscesse i miei valori, pregherebbe per portarmi a cena.

«Caro Giulio, è meglio chiudere definitivamente questo capitolo. Non sai cosa ti perdi» mormoro tra me e me, mentre preparo la colazione.

Mi sento risoluta, sollevata. Alimentare la speranza di qualcosa tra noi era diventato un pensiero ossessivo e malsano. Ora mi sento come se avessi liberato uno spazio mentale, un angolo di pace. Decido che non lo incontrerò più. Conosco a memoria le sue mosse, e farò in modo di evitarlo.

Fuori piove, una pioggia incessante che fa da sottofondo ai miei pensieri. Sposto i mobili della mia stanza, spingendo la testata del letto contro il muro opposto, cercando di reinventare il mio spazio. Il pomeriggio lo trascorro a cucinare arancine di riso da congelare per tutto il mese. Poi, mi siedo alla pianola e sfogo la mia frustrazione suonando una scaletta classica, lasciando che le note scivolino via, portando con sé il peso del desiderio.

Mentre suono, la mia mente vaga, immaginando che Giulio bussi alla porta con qualche pretesto, magari per chiedermi qualcosa. Ma non l'avrei sentito, e si sarebbe offeso. Francesca mi scrive di nuovo. Vuole che la raggiunga questa sera per bere qualcosa con altri colleghi. Non mi dà il privilegio di scegliere.

«Vestiti bene» aggiunge.

Indosso un vestito blu elettrico, il mio cardigan preferito e un paio di décolleté nere, ripescato in fondo all'armadio e indossato solo una volta per la mia laurea. Mi trucco e lascio i capelli sciolti. Quando esco di casa, faccio attenzione a non far rumore con i tacchi. Non voglio proprio incontrarlo nel corridoio, condizionerebbe il mio umore. Ho prenotato un taxi perché voglio concedermi qualche bicchiere. Ha smesso di piovere, ma c'è un freddo pungente, e il mio taxi non arriva.

All'improvviso, una macchina si ferma. Non è un taxi, e non conosco nessuno con un'auto del genere. Il finestrino si abbassa, ma per prudenza non guardo all'interno. Una voce mi interpella.

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