Capitolo 7 PETRONILLA

4 0 0
                                    


PETRONILLA

Dopo la fuga di Giulio, ho dovuto sopportare le incessanti prediche dei miei cugini. Si sentivano in diritto di sostituire il mio amato padre, ma papà non avrebbe mai ostacolato le mie scelte. Abbiamo discusso animatamente per tutta la settimana, con le loro parole che rimbalzavano come pugni nello stomaco. Il giorno del funerale, finalmente, mi è stata concessa una tregua. Erano così assorbiti nel criticare mia madre per non aver organizzato la veglia funebre a casa nostra, come vuole la tradizione, che hanno quasi ignorato la mia presenza.

«Non ci hai nemmeno lasciato salutare... vergognati!» urlò uno dei miei cugini, le sue parole infuocate come lame taglienti. Per mia madre, ormai, questi attacchi erano diventati la norma, e l'arte di ignorarli l'aveva perfezionata. Litighiamo durante le feste, i matrimoni e i funerali. Se non lo facciamo, ci lamentiamo che «alla cerimonia mancava lo spirito giusto» o che «l'evento era noioso». Non importa come ci scanniamo, siamo sempre lì l'uno per l'altro, soffocanti come una coperta troppo calda, anche quando preferiremmo allontanarci.

Nonna, travolta dal dolore, ha scatenato una crisi di pianto così violenta da far temere a una cugina un possibile attacco di cuore. La perdita del suo «unico figlio maschio, il più giovane» era, in effetti, devastante. Stringeva mia madre con una forza quasi disperata, mentre mia madre, per pudore e rispetto, evitava di piangere apertamente.

Abbiamo atteso di essere sole per cercare conforto, ma anche dopo quella notte, non avevamo ancora accettato la sua assenza. La mattina seguente, alle sette precise di lunedì, senza la sveglia a scandire il tempo, mia madre si è alzata cercando mio padre in ogni angolo della casa. Al suo posto, a preparare il caffè in cucina, c'ero io.

Il mio cuore batteva come non era mai successo. Prima di rabbia, quando ho visto che lo sguardo di mia madre si era spento, facendomi sentire trascurata. Poi di frustrazione, mentre la relazione con Giulio era messa alla prova e mi sentivo costretta a scegliere qualcun altro, accettando di rinunciare a me con una facilità che mi feriva. Infine, pelle contro pelle, ci siamo amati per la prima volta.

In quel momento, non mi importava più del mondo esterno, della ragione o dei dubbi. Solo noi due, lui e il presente, erano importanti. Ho vissuto un piacere senza pari, respirando la stessa aria, mescolando i nostri fluidi e diventando un'unica entità, unica e irripetibile. I nostri cuori battevano all'unisono.

Ma l'angoscia mi ha sopraffatta: domani mattina sarebbe partito... e io sarei rimasta come tutte le altre prima di me. Non era accettabile. Non potevo sopportare una tale umiliazione. Strisciando lentamente da sotto di lui, mi sono allontanata silenziosamente verso casa.

Mi sveglio di soprassalto: «Merda! Che ore sono? Perché non ho sentito la sveglia?» Mi scaglio contro il muro con il palmo della mano, colpendo la parete che fino a quel momento non aveva mai tradito. Le lacrime scendono di rabbia e disperazione.

Sapevo che, al suono della sua porta che si apriva, avrei scopiazzato a piangere. Ma perdere la sua partenza mi distrugge. Ho dormito a terra ai piedi di quel muro, come se volessi abbracciare la mia disperazione. Mi rialzo e rimetto il letto al suo posto, ma non trovo sollievo nemmeno pensando che presto sarebbe tornato e avrei potuto partecipare, seppur da lontano, alla sua esistenza.

«Papà, che ne pensi? Sono pazza?» Non immaginavo quanto potesse fare male. «Che senso ha la mia vita ora? Avrei dovuto parlare di lui con te. L'unica opinione che mi importava era la tua e quella della mamma.» Il mio telefono squilla. Sospirando rumorosamente, rispondo:

«Mamma?» Che telepatia.

«Petronilla, piccola, ti stavo pensando. Ho sognato di te. Mi manchi, figlia mia. Come stai?»

Parlane con il muroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora