- 2 GIORNI ALLA PARTENZA

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"Vincere il Giro d'Italia" era questo che rispondevo fin da quando ero piccolo quando le maestre mi chiedevano cosa avrei voluto fare da grande.

E, a differenza dei miei compagni che rispondevano astronauta, pompiere o calciatore, io ero rimasto fedele per tutti quegli anni alla mia idea.

Non avevo mai avuto dubbi, era quello il mio sogno.

Sogno che però, per molte volte, avevo creduto irrealizzabile per vari motivi: mancanza di soldi, di tempo, cadute, fratture, ma soprattutto, primo tra tutti, mio padre che mi metteva i bastoni tra le ruote.

Mio padre, Daniele Artis, voleva che il suo unico figlio maschio avesse una buona istruzione, che si laureasse, magari prendesse anche un master e poi che trovasse un lavoro fisso ben retribuito.

Ma di quei lavori a me non importava niente. Non volevo finire su una sedia tutto il giorno davanti al computer a gestire clienti arrabbiati o fornitori.

Non volevo seguire l'esempio delle mie due sorelle più grandi, laureate entrambe con ottimi voti e con una vita stabile davanti.

A me piaceva stare all'aperto, macinare chilometri e chilometri in sella alla bici senza mai stancarmi, scalare montagne e faticare.

Tornare a casa scottato, assetato e bloccato da quella stanchezza fisica che più volte mi aveva colto facendomi addormentare esausto sul letto della mia camera senza nemmeno darmi il tempo di mangiare.

Per fortuna qualcuno mi aveva supportato, mio nonno Ernesto.

Mio nonno era un appassionato di bici ed era stato lui il primo a spiegarmi come funzionasse quel mondo.

Quando ero piccolo guardavamo sempre i gran tour in televisione insieme e mi spiegava le varie tattiche, in più aveva un amico che gestiva un negozio di bici piuttosto grosso e ogni volta che ne avevamo l'occasione andavamo a vedere quelle bici meravigliose, che però non potevamo permetterci.

All'età di 25 anni avevo ormai raggiunto vette che mai più mi sarei immaginato da piccolo. Obiettivi che pochi corridori al mondo potevano vantare.

Avevo vinto una volta la Vuelta e due volte il Tour de France e ora mi apprestavo ad iniziare il mio primo Giro d'Italia.

Avevo reso mio nonno molto fiero, ma non potevo dire lo stesso di mio padre, che ormai non mi parlava più da due anni.

Nonostante avessi finito le superiori senza problemi, quando gli avevo annunciato che non mi sarei iscritto all'università e che una squadra professionistica mi aveva contattato per offrirmi un contratto, mi aveva urlato contro.

"Non ce la farai mai! Non sei abbastanza per quel mondo!" aveva detto cercando di farmi cambiare idea.

Ed era a quello che stavo pensando, cinque anni dopo quel giorno, mentre mi allenavo pedalando sui rulli nella palestra dell'hotel in cui soggiornavo con la squadra di cui ero diventato capitano e ciclista di punta: la EU SPRINT.

Quel discorso era stato l'inizio della fine, avevo provato più volte e parlargli, ma non ne voleva sapere. E alla fine mi era arreso, avevo deciso che se doveva andare così sarebbe andata così.

Mia madre era oltre oceano con il nuovo compagno da quasi 8 anni, le mie sorelle avevano la propria vita e io non avevo intenzione di rimanere bloccato in quel piccolo paesino con un padre che mi disprezzava e mi criticava continuamente.

Allora avevo firmato ed ero partito.

E in meno di 5 anni ero diventato uno dei corridori più pagati al mondo.

Rushed (BoyxBoy)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora