Capitolo 43 - Vedat Kahraman

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Yaman era sdraiato di pancia sul divano nel suo appartamento, il libro aperto davanti a lui su un argomento che da qualche settimana ormai gli occupava la mente: metodologie didattiche avanzate per la formazione clinica. Aveva accettato, seppur con qualche esitazione, la proposta del direttore dell'ospedale di diventare il nuovo Responsabile della Formazione dei Medici Specializzandi. Era una grande opportunità, soprattutto dopo l'episodio in cui, con calma e determinazione, aveva coordinato un'intera équipe per salvare la vita di Ada, durante quella grave intossicazione da nitriti. Quel giorno aveva dimostrato a tutti le sue capacità di leader, che non erano passate inosservate, e ora gli veniva chiesto di assumere un ruolo che avrebbe modellato il futuro della prossima generazione di medici. Inizialmente, Yaman aveva rifiutato l'offerta.
Sapeva che accettare avrebbe significato studiare molto di più, apprendere nuove tecniche di insegnamento e acquisire competenze gestionali che andavano oltre la sua pratica quotidiana come chirurgo d'urgenza. Il pensiero di togliere ulteriore tempo a Eva e Ada, soprattutto ora che avevano finalmente trovato un equilibrio familiare, lo turbava profondamente. Ma Eva, con la sua saggezza e il suo amore incondizionato, era riuscita a convincerlo. Gli aveva detto che quel ruolo poteva essere un trampolino di lancio straordinario per la sua carriera, un passo fondamentale verso ruoli ancora più importanti in futuro. Gli aveva assicurato che lo avrebbero sostenuto, che avrebbero trovato un modo per bilanciare tutto. Per dimostrargli quanto fosse pronta a supportarlo, Eva e Ada si erano praticamente trasferite nel loft di Yaman, portando con loro il caos e la vivacità che caratterizzavano la vita con una bambina piccola. Yaman, che fino ad allora aveva vissuto in un appartamento perfettamente ordinato e silenzioso, si ritrovava ora circondato da giocattoli sparsi qua e là, piccoli vestiti appesi in bagno e disegni colorati attaccati al frigorifero. All'inizio era stato un cambiamento difficile da accettare, ma ogni volta che chiudeva gli occhi e si concentrava sull'idea di avere la sua famiglia con sé, sorrideva e capiva che avrebbe sopportato qualsiasi disordine pur di averle accanto.
Eva, seduta sulla poltrona accanto al divano, lavorava silenziosamente al computer per non disturbare Yaman mentre studiava. Ogni tanto alzava lo sguardo dal monitor e lo osservava. Yaman si era messo i suoi occhiali da vista neri, quelli che lo rendevano irresistibilmente affascinante. Gli occhiali accentuavano il suo aspetto serio e concentrato, e ogni volta che lei lo guardava, sentiva una morsa di desiderio stringerle il petto. Yaman era immerso nella lettura di un capitolo particolarmente complesso che riguardava la valutazione formativa e il feedback costruttivo—elementi essenziali per garantire che i giovani medici acquisissero non solo competenze tecniche, ma anche la capacità di riflettere criticamente sul loro operato. Stava cercando di immaginare come avrebbe potuto integrare queste tecniche nel suo lavoro quotidiano, come avrebbe potuto diventare non solo un capo, ma un vero mentore per i suoi futuri colleghi. Eva continuava a guardarlo, mordendosi leggermente il labbro. Il modo in cui i suoi capelli ricadevano distrattamente sulla fronte, il suo viso concentrato, e quel lieve corrugamento delle sopracciglia mentre leggeva con attenzione, la facevano sentire incredibilmente attratta da lui. Ma Ada stava dormendo nella stanzetta che avevano ricavato in un angolo del loft, e sapeva che non potevano permettersi di lasciarsi andare ai loro desideri in quel momento. Yaman, sentendo lo sguardo di Eva su di sé, alzò gli occhi dal libro e incontrò i suoi.
Il sorriso che si scambiarono fu carico di complicità, e per un attimo tutto il peso dello studio e delle nuove responsabilità sembrò svanire. Anche lui sentiva quell'attrazione crescente, quel desiderio che non si spegneva mai tra di loro. Invece di scacciare l'impulso, Yaman lasciò che il desiderio lo guidasse. "Vieni subito qui." le disse con un tono che era al tempo stesso una richiesta e un comando, il suo sguardo che si fece più scuro di desiderio.
Eva non se lo fece ripetere due volte. Chiuse il portatile e lo mise da parte, avvicinandosi a lui sul divano. Yaman la guardò mentre si avvicinava, e con un movimento rapido ma deciso la tirò verso di sé, facendola sedere sulle sue gambe. Il calore del corpo di Eva contro il suo fece scivolare via qualsiasi pensiero legato allo studio.
"Hai idea di quanto tu sia irresistibile quando mi guardi così?" mormorò, le sue mani che si mossero per circondarla, tirandola ancora più vicina, sentendo il profumo dolce dei suoi capelli che lo avvolgeva. Eva sorrise, un sorriso che era al tempo stesso dolce e provocante.
"E tu hai idea di quanto sia difficile concentrarsi su altro quando sei così vicino?" rispose, la sua voce un sussurro che si mescolava con l'aria intima tra di loro.
Yaman ridacchiò, ma era una risata che conteneva una promessa, una scintilla di ciò che sarebbe potuto succedere.
"Forse è ora di fare una pausa," disse, avvicinando le labbra al collo di Eva, baciandola con una lentezza deliberata che la fece rabbrividire.
"Non posso essere in disaccordo," mormorò Eva, inclinando la testa per dargli migliore accesso, sentendo il desiderio crescere dentro di lei, più forte e più urgente con ogni tocco delle sue labbra. Yaman continuò a baciarla, spostandosi lungo la linea della mascella fino a raggiungere le sue labbra, che catturò in un bacio profondo e carico di passione. Le loro mani si muovevano in sincronia, esplorando, avvicinandosi sempre di più, dimenticando per un momento che al di là di quella stanza c'era un mondo che continuava a girare. Il bacio si fece sempre più intenso, e per un attimo, il pensiero dello studio e delle responsabilità svanì completamente dalla mente di Yaman. L'unica cosa che contava in quel momento era Eva, il suo corpo contro il suo, il calore del loro desiderio che li avvolgeva entrambi in un abbraccio in cui si perdevano completamente. Eva si staccò per un attimo, il respiro affannato, e lo guardò con occhi pieni di desiderio.
"Ti rendi conto che se continuiamo così, non tornerai più a studiare per oggi, vero?" sussurrò, la voce ancora carica di quella complicità che li legava in modo così profondo. Yaman sorrise, le sue mani che si mossero lentamente lungo la schiena di Eva, senza alcuna intenzione di lasciarla andare.
"Forse è proprio quello che voglio," rispose, le sue parole un sussurro carico di promesse. Eva sentì il calore delle mani di Yaman che si muovevano lentamente lungo il suo corpo, e per un momento si abbandonò completamente a quella sensazione, al desiderio che si accendeva dentro di lei. Tuttavia, un pensiero le attraversò la mente, portandola a tornare alla realtà. Con una certa riluttanza, si staccò leggermente da lui, le sue mani che si posarono delicatamente sul petto di Yaman per creare una lieve distanza.
"Yaman," sussurrò con dolcezza, cercando di mantenere un tono fermo ma affettuoso, "dobbiamo fermarci... Ada potrebbe svegliarsi da un momento all'altro. Non voglio che ci interrompa proprio sul più bello. "
Yaman la guardò intensamente, i suoi occhi scuri brillanti di desiderio e comprensione. Sapeva che aveva ragione, ma c'era una parte di lui che non voleva rinunciare a quel momento, non ancora. Senza dire nulla, continuò a sfiorarla dolcemente, le sue mani che tracciavano percorsi lenti e sensuali lungo la schiena e i fianchi di Eva, in un gesto che era al tempo stesso rassicurante e carico di promesse. Eva sentì il cuore battere più forte sotto quel tocco, e per quanto cercasse di mantenere il controllo, il desiderio che Yaman suscitava in lei la travolgeva sempre di più. Chiuse gli occhi, cercando di resistere, ma ogni carezza sembrava portarla sempre più vicina al limite.
"Yaman..." provò a dire di nuovo, ma la sua voce si affievolì, trasformandosi in un sussurro mentre lui la attirava di nuovo verso di sé, i loro corpi che si avvicinavano, quasi fondendosi in quell'intimità.
"Lo so," mormorò infine Yaman, la sua voce profonda e calma, carica di una comprensione che andava oltre le parole. "Ma lasciami godere di questo momento, anche solo per un po'."Eva annuì, il suo respiro che si faceva più lento e pesante, mentre si lasciava andare al calore delle mani di Yaman, consapevole che ogni tocco era un preludio a ciò che li attendeva più tardi, quando avrebbero avuto finalmente tutto il tempo e lo spazio per loro.
Yaman si fermò per un attimo, osservando attentamente il viso di Eva, come se volesse imprimere nella sua memoria ogni singolo dettaglio. Poi, con estrema delicatezza, le sfiorò il viso, le labbra che si incurvarono in un sorriso pieno di complicità.
"Più tardi allora." disse infine, con un tono che prometteva molto di più di quanto le sue parole esprimessero.
Eva sorrise sentendo il battito del cuore che lentamente tornava a un ritmo più regolare.
"Non vedo l'ora..." rispose lei, mentre si allontanava leggermente, lasciando che Yaman la guardasse ancora un po'.
Yaman stava ancora lottando contro il desiderio che provava per Eva, cercando di mantenere il controllo su se stesso, quando il suono insistente del cellulare ruppe l'incantesimo del momento. Con un leggero sospiro di frustrazione, si staccò da lei e si allungò per afferrare il telefono. Vide il nome di sua sorella Beril lampeggiare sullo schermo e rispose immediatamente.
"Beril, che succede?" chiese, percependo subito un'agitazione nella voce di sua sorella.
"Yaman, è papà... ha avuto un malore," rispose Beril, la voce tremante di preoccupazione. "Ezgi, la domestica, ha chiamato un'ambulanza e lo stanno portando all'ospedale di Sariyer. Sto andando lì adesso, ma non so esattamente cosa sia successo. Sono in macchina, non riesco a contattare nessun altro."
Il cuore di Yaman si fermò per un attimo, e sentì un'ondata di ansia attraversarlo.
"Hai idea di cosa potrebbe essere? Hai parlato con Ezgi?" chiese, cercando di mantenere la calma.
"No, Yaman, non so niente di più. Ero in azienda quando mi ha chiamato. Sto andando in ospedale, ma sono bloccata nel traffico. Non so cosa fare!" Beril sembrava vicina al panico, e Yaman si rese conto che doveva mantenere la calma per entrambi.
"Va bene, Beril, calmati," disse con fermezza, cercando di rassicurarla. "Ci vediamo lì. Io parto subito."
Chiuse la chiamata e rimase per un attimo a fissare il vuoto, il telefono ancora stretto nella mano. La notizia lo aveva scosso profondamente. Suo padre, Vedat, già colpito da un ictus che lo aveva lasciato parzialmente paralizzato, era ora in una situazione ancora più critica. Sentiva il peso della responsabilità che incombeva su di lui, come medico e come figlio.Eva, che aveva osservato la sua espressione cambiare in un istante, si avvicinò preoccupata.
"Yaman, cos'è successo?" chiese, il tono dolce ma pieno di apprensione. Yaman la guardò, ancora cercando di riordinare i pensieri.
"Mio padre ha avuto un malore," rispose infine, la voce tesa. "Lo stanno portando al pronto soccorso dell'ospedale di Sariyer. Devo andare subito."
"Oh mio Dio," mormorò Eva, il volto che si dipinse di preoccupazione. "Vengo con te. Sveglio la bambina e la portiamo un secondo qui vicino da Corinna. Non ti lascio solo. "
Yaman sentì il calore dell'amore e del supporto di Eva in quel momento, ma sapeva anche che non voleva svegliare Ada, né farla preoccupare.
Le accarezzò le spalle con affetto, cercando di infondere calma anche a lei. "Non c'è bisogno," disse dolcemente, ma con decisione.
"Non è necessario svegliare la bambina. Beril sarà lì con me." Eva lo guardò negli occhi, leggendo la determinazione e l'urgenza che vi si riflettevano. Capì subito che quello era un momento in cui Yaman aveva bisogno di concentrarsi completamente su suo padre, senza altre preoccupazioni. Annuisce, anche se a malincuore.
"Magari la porto da Corinna quando si sveglia e ti raggiungo, ok?"
Yaman annuì, grato per la sua comprensione. Le tirò a sé in un abbraccio breve ma intenso, come se volesse assorbire un po' della sua forza prima di affrontare ciò che lo aspettava.
"Grazie, Eva," mormorò contro i suoi capelli, sentendo la tensione allentarsi leggermente grazie a quel contatto. Poi, senza perdere altro tempo, si allontanò, infilò le scarpe e si mise il cappotto. Mentre si dirigeva verso la porta, si voltò un'ultima volta verso Eva, che lo osservava con un misto di preoccupazione e amore.
"Stai attento," gli disse, la voce lieve ma carica di emozione. "Lo farò," rispose Yaman, con un piccolo sorriso di rassicurazione prima di uscire rapidamente dalla porta.
Yaman si mise subito in macchina, il cuore che batteva forte nel petto. Il pensiero di suo padre, già debilitato dall'ictus che lo aveva quasi immobilizzato, lo preoccupava profondamente. Sapeva che ogni minuto era prezioso, ma il traffico di Istanbul non faceva che aumentare la sua ansia. Mentre si faceva strada tra le macchine, cercando di mantenere la calma, si rendeva conto di quanto fosse vulnerabile quell'uomo che, nonostante tutte le tensioni e i conflitti passati, restava pur sempre suo padre.
Il tragitto da Bebek all'ospedale di Sarıyer sembrava interminabile. Ogni semaforo rosso, ogni rallentamento del traffico sembrava una tortura. Yaman continuava a guardare l'orologio, stringendo il volante con forza, la mente che vagava tra i ricordi del loro rapporto complesso. Suo padre, Vedat, era sempre stato un uomo autoritario, difficile da avvicinare, e il loro rapporto ne aveva risentito. Tuttavia, il pensiero che potesse succedergli ancora una volta qualcosa di irreparabile lo colpiva profondamente. Finalmente, dopo circa venti minuti di tensione, Yaman arrivò all'ospedale. Parcheggiò in fretta e furia, quasi correndo verso l'ingresso del pronto soccorso. Entrò nel grande atrio dell'ospedale, ancora in abiti da casa, e si diresse immediatamente alla reception.
"Mio padre, Vedat Kahraman, è stato portato qui in ambulanza," disse Yaman, cercando di mantenere la voce ferma. "Dove si trova?" L'infermiera alla reception, abituata a gestire situazioni di emergenza, controllò rapidamente il monitor davanti a sé.
"Il signor Kahraman è attualmente in sala operatoria per un intervento di urgenza," rispose, sollevando lo sguardo verso Yaman con un'espressione seria. Yaman sentì il sangue gelarsi nelle vene.
"Sala operatoria?" ripeté incredulo, ma non ci fu tempo per chiedere altro. Vide Beril, la sua sorella minore, in fondo al corridoio, seduta su una panca di metallo, con il viso tra le mani, mentre singhiozzava. Senza perdere un attimo, corse da lei. Beril alzò lo sguardo non appena lo sentì avvicinarsi e, vedendo il fratello, si alzò di scatto per corrergli incontro. Yaman la strinse forte in un abbraccio, cercando di trasmetterle un po' di forza, anche se dentro di sé si sentiva smarrito.
"Yaman..." mormorò Beril tra le lacrime, "Papà ha avuto un infarto. È grave. Hanno detto che è stato un attacco massiccio e che stanno facendo tutto il possibile, ma... ma non so se ce la farà.
"Le parole di Beril risuonarono nella mente di Yaman come un colpo sordo. Per un attimo, tutte le divergenze, tutti i momenti difficili vissuti con suo padre, scomparvero, lasciando solo la cruda realtà di quel momento: suo padre stava lottando tra la vita e la morte, e lui, nonostante tutto, non poteva fare altro che aspettare.
"Cosa ti ha detto il medico? Hanno parlato di possibilità di recupero?" chiese Yaman, la voce roca per l'emozione, mentre cercava di mantenere la calma per sua sorella. Beril scosse la testa, cercando di frenare le lacrime.
"Mi hanno detto che l'infarto è stato molto esteso. L'ictus lo aveva già debilitato molto, e ora... ora non sanno se il cuore riuscirà a reggere l'intervento. Sono entrati in sala operatoria subito, perché aspettare non era un'opzione. "
Yaman strinse i denti, sentendo un'ondata di frustrazione e impotenza. Nonostante tutto quello che aveva passato con suo padre, il pensiero che potesse perdere quella battaglia lo angosciava profondamente. Vedat Kahraman era stato un uomo forte, un uomo che aveva preteso molto dai suoi figli, spesso senza dare molto in cambio sul piano emotivo. Ma adesso, tutto ciò sembrava irrilevante. Sentì crescere dentro di sé un impulso irrefrenabile: doveva fare qualcosa, doveva essere lì, accanto a suo padre, anche se questo significava infrangere qualche protocollo. Si staccò leggermente da sua sorella, la guardò negli occhi e le disse con determinazione:
"Beril, devo andare in sala operatoria. Devo vedere cosa sta succedendo."
Beril lo guardò sorpresa, sapendo quanto fosse coinvolto emotivamente e quanto la situazione fosse delicata.
"Yaman... sei sicuro? Non sei tu il medico che dovrebbe operarlo, e sai quanto può essere complicato..."
"Lo so," la interruppe Yaman, il suo sguardo fermo e deciso. "Ma non posso stare qui ad aspettare senza fare nulla. Non quando si tratta di papà."
Beril annuì, seppur riluttante, comprendendo la necessità di Yaman di essere vicino a loro padre, anche se solo per osservare o supportare il team medico.
"Va bene, vai," mormorò, la voce spezzata dalle lacrime, "ma per favore, fai attenzione."
Yaman le diede un ultimo abbraccio rassicurante, poi si girò e si diresse verso la porta della sala operatoria, il cuore che gli batteva forte nel petto. Arrivato alla porta, si fermò un istante, cercando di raccogliere i pensieri e di calmare i nervi. Sapeva che ciò che stava per chiedere non era consueto e poteva incontrare resistenza. Bussò leggermente alla porta, e un'infermiera aprì, riconoscendolo subito. La donna aveva infatti lavorato all'Ospedale di Levent, dove lavorava lui, fino all'anno prima.
"Dottor Kahraman," disse con un tono rispettoso ma anche sorpreso, "non dovrebbe essere qui..."
"Lo so," rispose Yaman rapidamente, cercando di mantenere un tono professionale. "Ma mio padre è lì dentro, e sono anch'io un chirurgo. Ho bisogno di sapere cosa sta succedendo."
L'infermiera sembrava in difficoltà, esitante.
"Devo consultare il primario," disse infine, "Non posso autorizzare l'ingresso senza il suo permesso." Yaman annuì, comprendendo la situazione.
"Fallo subito, per favore." L'infermiera chiuse la porta dietro di sé, lasciando Yaman in un'attesa che sembrava interminabile. Ogni secondo che passava lo faceva sentire più impotente, ma sapeva che doveva mantenere la calma, per il bene di suo padre e per quello di sua sorella, che contava su di lui. Pochi minuti dopo, la porta si riaprì e apparve il primario di chirurgia, un uomo di mezza età con un'aria ferma e professionale.
"Dottor Kahraman," iniziò, la voce neutrale ma con un sottotono di comprensione, "capisco la tua preoccupazione, ma il coinvolgimento emotivo in questo momento potrebbe compromettere il tuo giudizio."
Yaman fece un respiro profondo, cercando di controllare le emozioni. "Lo capisco, dottore, ma ho bisogno di essere lì. Non intendo interferire con l'intervento, solo osservare. Voglio essere informato in tempo reale su ogni sviluppo."Il 
primario lo guardò attentamente per qualche istante, valutando la situazione. "Posso permetterti di osservare, ma devi rimanere nella sala di osservazione, dietro il vetro. Non possiamo permetterti di entrare in sala operatoria per motivi etici e professionali. Sei disposto a rispettare queste condizioni? "
Yaman annuì, sentendo una leggera ondata di sollievo.
"Sì, lo farò. Grazie." Il primario annuì a sua volta. "Seguimi, allora."
Yaman lo seguì attraverso i corridoi sterili fino alla sala di osservazione, dove poteva vedere l'intervento in corso attraverso una grande finestra di vetro. Mentre si posizionava davanti al vetro, il cuore gli batteva forte. Lì, disteso sul tavolo operatorio, c'era suo padre, circondato da medici e infermieri che lavoravano freneticamente per salvargli la vita.La visione era straziante, ma Yaman si costrinse a mantenere la calma, a osservare ogni dettaglio con attenzione, come avrebbe fatto con qualsiasi altro paziente. Ma questo non era un paziente qualsiasi, era suo padre, e l'idea che potesse non farcela era quasi insopportabile. Il primario gli spiegò brevemente la situazione.
"Il tuo papà ha subito un infarto massiccio. Stiamo cercando di rimuovere il coagulo e stabilizzare la situazione, ma il suo cuore è molto debole a causa dell'ictus precedente. Stiamo facendo tutto il possibile, ma devo essere onesto con te: le sue condizioni sono critiche." Yaman annuì, stringendo i pugni al fianco, sentendo il peso di quelle parole. "Fate tutto quello che potete," mormorò, sapendo quanto fosse inutile dirlo, ma sentendo comunque il bisogno di esprimerlo. Rimase lì, immobile, a guardare l'intervento svolgersi davanti ai suoi occhi, combattendo contro il desiderio di entrare e fare qualcosa. Ma sapeva che il suo posto era lì, a osservare, a fidarsi dei suoi colleghi. E mentre la vita di suo padre pendeva da un filo, Yaman si aggrappò alla speranza, lottando contro la paura e il senso di impotenza che lo attanagliava. Yaman osservava con il fiato sospeso, ogni muscolo teso mentre il team chirurgico lavorava freneticamente per salvare suo padre. Il suono ritmico delle macchine e dei monitor, il bip costante del battito cardiaco, riempivano l'aria di una tensione palpabile. Nonostante l'ansia, cercava di mantenere la mente lucida, seguendo ogni movimento, ogni decisione presa dai suoi colleghi. Dopo quello che sembrava un'eternità, il primario fece un segno al team, e Yaman notò un cambio nel ritmo dell'operazione. Il monitor mostrava un lieve miglioramento nei parametri vitali, e per un attimo Yaman sentì un'ondata di sollievo. Finalmente, uno dei chirurghi principali si girò verso il primario e fece un cenno di assenso. Era chiaro che, almeno per ora, erano riusciti a stabilizzare Vedat. L'intervento aveva funzionato. Ma Yaman, che conosceva bene le complessità di una situazione del genere, sapeva che questo era solo un piccolo passo in un percorso ancora lungo e incerto. Dopo qualche minuto, il primario uscì dalla sala operatoria e si diresse verso la sala di osservazione, dove Yaman lo attendeva con il cuore in gola. Aprì la porta e gli fece un cenno di avvicinarsi.
"Dottor Kahraman...Yaman," iniziò il primario, la sua voce bassa ma professionale, "siamo riusciti a rimuovere il coagulo e a stabilizzare il battito cardiaco. Per ora, tuo padre è stabile."
Yaman chiuse gli occhi per un momento, lasciando che quelle parole affondassero. Il peggio sembrava essere passato, ma il tono del primario indicava chiaramente che non tutto era risolto.
"E ora?" chiese Yaman, sapendo che la risposta non sarebbe stata semplice. Il primario sospirò leggermente, il volto segnato dalla stanchezza e dalla gravità della situazione.
"Il cuore di tuo padre è molto debole, Yaman. L'infarto è stato massiccio, e il danno è significativo. Abbiamo fatto tutto il possibile in questa fase, ma dovremo tenerlo sotto stretta osservazione. Il problema principale ora è che, con il precedente ictus, il suo corpo è già molto compromesso. Anche se è uscito dall'intervento, il rischio di complicazioni è altissimo." Yaman annuì, comprendendo pienamente cosa significasse. Le probabilità di recupero erano estremamente basse, e anche se suo padre fosse riuscito a superare le prossime ore, la sua qualità di vita sarebbe stata ancora più compromessa.
"Quindi non ci sono molte speranze," disse Yaman, la voce più piatta di quanto avesse voluto, come se le parole stesse gli togliessero il respiro. Il primario lo guardò negli occhi, la sua espressione era quella di un uomo che aveva visto troppe volte situazioni simili.
"Non posso darti false speranze, Yaman. In questi casi, la situazione può cambiare da un momento all'altro. Dobbiamo aspettare e vedere come reagirà nelle prossime ore. Ma devo essere chiaro: anche se supererà questa notte, la strada sarà lunga e difficile. E c'è la possibilità che non riesca a riprendersi del tutto considerando la sua condizione precedente." Yaman si passò una mano sul viso, cercando di assimilare tutto ciò. La tensione nel suo corpo era ancora presente, ma sentiva un vuoto dentro, un senso di impotenza che non riusciva a scrollarsi di dosso. Avrebbe voluto fare di più, ma sapeva che in quel momento, tutto quello che poteva fare era aspettare.
"Grazie, dottore," disse infine, con un cenno del capo. "Apprezzo la tua onestà."
Il primario posò una mano sulla spalla di Yaman, un gesto di conforto che significava molto in quel momento.
"So quanto sia difficile. Tuo padre è un combattente, e ha resistito a molte cose. Ora dobbiamo solo essere pazienti e sperare per il meglio."
Yaman annuì, guardando attraverso il vetro verso suo padre, che giaceva ancora immobile sul tavolo operatorio mentre il team si preparava a trasferirlo in terapia intensiva. Non poteva fare altro che sperare, anche se la speranza sembrava un lusso difficile da permettersi. Il primario si allontanò per tornare dai suoi colleghi, lasciando Yaman solo con i suoi pensieri. Dopo un attimo di esitazione, Yaman si girò e tornò verso il corridoio, dove Beril lo attendeva, ancora visibilmente scossa. Quando lo vide arrivare, Beril si alzò di scatto.
"Com'è andata? Papà sta bene?" Yaman la abbracciò, cercando di trasmetterle un po' di calma. "L'intervento è andato bene, Beril. Per ora è stabile, ma... il primario ha detto che la situazione è ancora molto critica. Dobbiamo prepararci al fatto che potrebbero esserci complicazioni. Non sarà facile."
Beril annuì, stringendo forte Yaman, come se cercasse di trovare la forza di accettare quelle parole. "Lo so... lo so, ma voglio crederci. Voglio sperare che ce la farà."
Yaman la tenne stretta, sentendo il peso di quelle speranze sulle proprie spalle. Anche lui voleva crederci, voleva sperare, ma sapeva quanto fosse fragile quella speranza.
"Anch'io, Beril. Anch'io," mormorò, chiudendo gli occhi mentre cercava di trattenere le lacrime. Yaman rimase fermo nel corridoio, con Beril ancora tra le braccia. I pensieri gli ronzavano nella testa, confusi e caotici, ma uno più di tutti si faceva strada: nonostante tutto, nonostante l'odio che aveva provato per suo padre, non lo voleva morto.
Aveva odiato profondamente Vedat per tutto quello che aveva fatto, per le scelte egoistiche e crudeli che avevano segnato la sua vita e quella delle persone che amava. Il controllo asfissiante che aveva esercitato su di lui, l'ossessione per il potere e la reputazione che avevano portato il padre a manipolare la sua vita, a cercare di costringerlo a un matrimonio senza amore con un'altra donna, pur di mantenere il suo dominio. E, più di tutto, odiava Vedat per quello che aveva fatto a Eva, alla sua famiglia, e soprattutto alla loro bambina. Yaman ricordava ancora la rabbia cieca che aveva provato quando aveva scoperto la verità, quando aveva saputo che suo padre aveva deliberatamente fatto in modo che lui non sapesse nulla della gravidanza di Eva. Quella bambina, Ada, era sua figlia, e per colpa di Vedat, lui non aveva potuto essere lì per lei nei primi anni della sua vita. Era una ferita che bruciava ancora, che probabilmente non sarebbe mai guarita del tutto. Eppure, nonostante tutto, nonostante l'odio e la rabbia, Yaman non poteva fare a meno di sentire un dolore profondo all'idea di perdere suo padre. Vedat era stato un uomo difficile, spesso crudele, ma era comunque suo padre. E sotto tutto quell'odio, sotto la frustrazione e la rabbia, c'era ancora un legame, una connessione che non poteva semplicemente spezzare. Dopo qualche tempo, mentre Yaman e Beril sedevano in silenzio nel corridoio dell'ospedale, persi nei loro pensieri, la figura familiare di Eva apparve in fondo al corridoio. Il suo viso era teso per la preoccupazione, ma quando vide Yaman, i suoi occhi si addolcirono immediatamente. Aveva lasciato Ada con Corinna, sapendo che in quel momento Yaman aveva bisogno di lei più di ogni altra cosa. Yaman si alzò di scatto appena la vide, e senza esitazione si avvicinò a lei, stringendola in un abbraccio forte e rassicurante. Eva lo circondò con le braccia, sentendo la tensione che pervadeva ogni fibra del suo corpo. Senza dire una parola, gli sfiorò delicatamente i capelli, cercando di trasmettergli tutto il suo amore e il suo sostegno.
"E Ada? Dove sta la bambina?" chiese, la voce carica di urgenza. Eva gli sorrise dolcemente, cercando di rassicurarlo.
"Si è svegliata poco prima che me ne andassi," rispose con calma. "Era un po' confusa, ma Corinna l'ha presa subito con sé e le sta dando la merenda. Ada sta bene, è a casa di mia sorella al sicuro col cuginetto Andreas."
Yaman annuì, sentendo un leggero sollievo al pensiero che la loro bambina fosse in buone mani. Sapeva quanto fosse importante per lui sapere che Ada stava bene, soprattutto in un momento così difficile. "
Eva," mormorò Yaman, la voce rotta dall'emozione, "non so come fare. Ho provato così tanto odio per lui, per tutto quello che ha fatto... ma adesso... adesso non voglio che...."
Eva si staccò leggermente da lui, guardandolo negli occhi con un'espressione di comprensione e dolcezza.
"Yaman," disse con una voce calma e rassicurante, "so quanto sia difficile. So quanto ti abbia fatto soffrire. Ma adesso non è il momento di pensare a quelle cose. Questo è il momento di essere qui per lui, per la tua famiglia."
Yaman abbassò lo sguardo, sentendo un nodo stringersi in gola. "L'ho odiato così tanto, Eva. Per tutto quello che ha fatto a noi, a te, alla nostra bambina. Ma nonostante tutto... non voglio che muoia. Non così."
Eva lo prese per il viso, costringendolo a guardarla negli occhi.
"Yaman, ho imparato a perdonare. Ho perdonato tuo padre per tutto il dolore che ci ha causato, e anche mia madre, lo ha fatto. Abbiamo scelto di andare avanti, di non lasciare che l'odio ci consumi. Non devi fare questo percorso da solo. Io sono qui con te."
Yaman annuì lentamente, lasciando che le sue parole lo confortassero. La forza e la bontà di Eva erano sempre state il suo rifugio, e in quel momento sentì il peso del rancore allentarsi leggermente.
"Non so cosa farei senza di te," mormorò, stringendola di nuovo a sé, le labbra che si posarono brevemente sulle sue in un bacio dolce, quasi disperato, cercando un conforto che solo lei poteva dargli. Dopo quel momento di intimità, Eva si girò verso Beril, che li aveva osservati con un misto di sollievo e tristezza. Eva si avvicinò e la abbracciò calorosamente.
"Beril, mi dispiace tanto," disse, la sua voce piena di affetto. "Come stai?"
Beril rispose all'abbraccio, trovando conforto in quella presenza familiare.
"Eva... sono così spaventata," ammise, la voce tremante. "Non so come faremo ad affrontare tutto questo. "
Eva le accarezzò la schiena con dolcezza.
"Siamo qui insieme, Beril. Non sei sola in questo. Qualunque cosa succeda, ce la faremo. Dobbiamo solo essere forti, per lui e per noi stessi."
Beril annuì, sentendo le lacrime bruciare nei suoi occhi, ma riuscì a trattenersi.
"Grazie, Eva. Sei sempre stata così buona con noi, nonostante tutto."
Eva sorrise, anche se con un velo di tristezza.
"La famiglia è importante, Beril. E nonostante tutto quello che è successo, siamo una famiglia. Dobbiamo ricordarlo, soprattutto in momenti come questi." Beril la guardò con gratitudine, riconoscendo quanto fosse preziosa la presenza di Eva nella loro vita.
Le due donne rimasero abbracciate per un momento, trovando forza l'una nell'altra, mentre Yaman osservava in silenzio, sentendo una strana ma confortante pace interiore. Sapeva che quel momento era solo l'inizio di una strada lunga e incerta, ma con Eva e Beril accanto a lui, sentiva di poter affrontare qualsiasi cosa.
Yaman, dopo aver trascorso del tempo con Eva e Beril nel corridoio, fu informato da un'infermiera che suo padre era stato trasferito in terapia intensiva. La notizia che Vedat era ancora vivo, nonostante tutto, portò un misto di sollievo e di apprensione. Tuttavia, sapeva che il momento era critico e che doveva essere forte, per sé stesso e per la sua famiglia.
"Lui è sveglio?" chiese Yaman all'infermiera mentre si dirigeva verso la terapia intensiva.
"Si è svegliato da poco, ma è molto debole," rispose l'infermiera. "Potete vederlo per qualche minuto, ma vi chiedo di essere brevi e di non stressarlo. Ogni sforzo potrebbe essere troppo per lui in questo momento."
Yaman annuì, prendendo un respiro profondo. Si voltò verso Beril e Eva, stringendo la mano di sua sorella.
"Vai tu per prima, Beril. Io entrerò dopo."
Beril lo guardò con occhi pieni di emozione, annuendo lentamente. Entrò nella stanza con passo incerto, e Yaman rimase fuori, appoggiato alla parete, cercando di raccogliere i suoi pensieri. Poteva sentire il battito del suo cuore martellare nelle orecchie, l'adrenalina ancora alta mentre cercava di prepararsi a vedere suo padre in quelle condizioni.
Dopo pochi minuti, Beril uscì dalla stanza, visibilmente scossa, ma con una luce di speranza negli occhi.
"È sveglio, Yaman," disse, la voce tremante. "È molto debole, ma è sveglio."
Yaman annuì, dandole una stretta di conforto sulla spalla, poi si preparò a entrare. Eva gli diede un breve abbraccio, il suo tocco caldo e rassicurante. "Mi raccomando, Yaman, perdonalo." gli sussurrò, sapendo quanto fosse difficile quel momento per lui. Yaman entrò nella stanza, trovandosi immediatamente immerso nell'atmosfera silenziosa e quasi irreale della terapia intensiva. I monitor emettevano un costante bip, e il corpo di suo padre era circondato da tubi e macchinari che sembravano quasi soffocarlo. Nonostante la vista devastante, Yaman si avvicinò lentamente al letto, sentendo il peso di tutte le emozioni che aveva cercato di sopprimere fino a quel momento.
Vedat era lì, il viso pallido e tirato, gli occhi semichiusi, ma quando Yaman si avvicinò, notò che il padre apriva lentamente gli occhi, cercando di mettere a fuoco la figura davanti a lui. Yaman si chinò leggermente verso di lui, il cuore che batteva forte.
"Papà... sono io, Yaman," disse, la voce che usciva più dolce di quanto avesse previsto. Vedat lo guardò con fatica, e sembrò tentare di dire qualcosa, ma la sua voce era solo un sussurro indistinto.
Vedat mosse leggermente le labbra, e Yaman dovette avvicinarsi ancora di più per sentire le parole che il padre cercava di pronunciare.
"La... bambina..." mormorò Vedat, con un fil di voce che si spezzava a ogni parola. Yaman sentì un nodo stringersi nel petto. Sapeva esattamente di cosa stava parlando suo padre. Anche in quel momento critico, Vedat pensava a quella bambina che aveva cercato di tenere lontana da lui. Sentiva la rabbia emergere, ma la soffocò, sapendo che quel momento non era il luogo né il tempo per riaprire vecchie ferite.
"Papà, ascolta," iniziò Yaman, il tono della voce controllato ma carico di emozione. "So tutto. So cosa hai fatto, so perché l'hai fatto... e sì, ho conosciuto Ada, la mia bambina."
Vedat cercò di dire qualcosa, forse una scusa, forse una spiegazione, ma Yaman lo fermò, il suo tono un po' più morbido ma ancora fermo. "Non c'è bisogno di parlare di questo adesso. Quello che hai fatto... non posso semplicemente dimenticarlo. Ma non importa più in questo momento. Quello che importa è che tu ti concentri sul rimetterti in sesto."
Yaman guardò il volto pallido di suo padre, il suo sguardo che sembrava cercare una qualche forma di perdono, di riconciliazione. Yaman sospirò, lasciando che il peso delle emozioni gli scivolasse via, almeno per un momento.
"So che hai sbagliato, papà. E non sto dicendo che ho superato tutto," continuò Yaman, la voce più bassa, quasi un sussurro. "Ma ora non è il momento di parlare di questo. Ora devi pensare solo a una cosa: a rimetterti in forze."
Vedat chiuse gli occhi per un momento, come se le parole di Yaman lo avessero colpito, forse dandogli un po' di sollievo. Yaman osservò la tensione allentarsi leggermente dal viso di suo padre e sentì il cuore stringersi. Anche se c'erano ancora tante cose non dette, sapeva che in quel momento doveva mettere da parte il rancore.
"Forse potrò perdonarti," ammise Yaman, la voce quasi spezzata dall'emozione, "ma voglio che tu abbia la forza di affrontare quello che verrà dopo. Abbiamo ancora  molto da affrontare, ma per farlo, devi essere qui."
Vedat cercò di stringere la mano di Yaman, ma la sua presa era debole, quasi impercettibile. Era un gesto che non avevano mai condiviso prima, e per Yaman, quella debole stretta sembrava portare con sé tutto il peso di un passato pieno di conflitti irrisolti.
Restò accanto a suo padre per qualche altro istante, cercando di farsi forza mentre combatteva le emozioni contrastanti dentro di sé. Quando un'infermiera entrò per avvertirlo che il tempo per la visita era finito, Yaman si staccò lentamente dal letto, il cuore ancora pesante ma con un po' di speranza.Prima di uscire, si fermò per un attimo, guardando Vedat un'ultima volta.
"Riposa, papà," disse con dolcezza. "Io sarò qui fuori."
Attesero delle ore in quella sala d'aspetto, un luogo sospeso nel tempo, carico di ansia e preoccupazione. Le pareti grigie, i sedili scomodi e il rumore lontano delle attività ospedaliere rendevano l'attesa ancora più angosciante. Il tempo sembrava scorrere lento, ogni minuto un'eternità.
Eva rimase vicina a Yaman, le dita intrecciate alle sue in un gesto silenzioso di supporto. Sapeva quanto fosse tormentato dentro, quanto fosse complesso quel mix di emozioni che stava affrontando. La rabbia che provava per suo padre, per tutto il dolore che gli aveva inflitto, si scontrava con la paura di perdere quella figura che, nonostante tutto, era stata centrale nella sua vita. Yaman non parlava molto, il suo sguardo fisso nel vuoto, perso in pensieri che sembravano allontanarlo da tutto ciò che lo circondava.
Ad un certo punto, le porte della sala d'aspetto si aprirono ed entrò un giovane uomo, Erdem, il fidanzato di Beril. Eva non lo aveva mai incontrato prima, e avrebbe voluto che quel primo incontro avvenisse in circostanze molto diverse. Erdem si avvicinò a Beril, che si alzò immediatamente per andare a incontrarlo. I due si abbracciarono, cercando conforto l'uno nell'altra. Eva osservò la scena con una leggera stretta al cuore, sapendo quanto fosse difficile per Beril affrontare tutto questo.
Erdem fece un cenno di saluto a Yaman ed Eva, il viso segnato dalla preoccupazione, ma con una determinazione che mostrava il suo sostegno per Beril.
"Yaman, mi dispiace per tutto questo," disse con voce bassa, abbracciandolo brevemente.
"Sono qui per qualsiasi cosa abbiate bisogno."
Yaman annuì leggermente, ma non riuscì a rispondere con parole. Si limitò a stringere la mano di Erdem, un gesto che racchiudeva tutta la gratitudine che non riusciva a esprimere in quel momento. Eva, accanto a lui, sorrise a Erdem, cercando di comunicare silenziosamente che apprezzava la sua presenza lì.
Passarono ancora delle ore, il tempo scivolava lento, quasi insopportabile. Yaman continuava a rimanere in silenzio, il suo volto impassibile, ma Eva poteva sentire la tensione che lo pervadeva. Lo conosceva abbastanza bene per sapere che dietro quella maschera di calma si celava un tumulto di emozioni: la rabbia per tutto quello che suo padre aveva fatto e la paura di perdere quella figura così impotente e fragile. Poi, il silenzio venne rotto dal suono dei passi del primario, che si avvicinò alla sala d'aspetto. L'uomo aveva un'espressione seria, il volto segnato dalla stanchezza di chi porta sulle spalle il peso di notizie difficili. Yaman lo notò subito, e il suo cuore iniziò a battere più velocemente. Si alzò lentamente, seguito da Eva, Beril ed Erdem. Il primario li prese da parte, lontano dalle altre persone in attesa, e li guardò negli occhi con una gravità che fece presagire il peggio.
Yaman cercò di prepararsi a quello che stava per sentire, ma niente poteva davvero prepararlo.
"Mi dispiace dirvi che il cuore di vostro padre si è fermato," iniziò il primario, la voce bassa e piena di compassione. "Abbiamo fatto tutto il possibile per rianimarlo, ma le sue condizioni erano troppo gravi. Purtroppo, non ce l'ha fatta."
Quelle parole colpirono Yaman come un pugno allo stomaco. Per un attimo, il mondo intorno a lui sembrò fermarsi. Sentì le gambe cedere, e fu solo il sostegno di Eva, che gli strinse forte la mano, a impedirgli di crollare. La rabbia, la frustrazione, la paura... tutto si mescolò in un turbinio di emozioni che lo lasciò stordito.
Beril scoppiò in lacrime, il dolore che aveva cercato di trattenere fino a quel momento esplose in singhiozzi che scossero il suo corpo. Erdem la prese tra le braccia, cercando di consolarla, mentre anche lui lottava per mantenere la compostezza.
Yaman guardò il primario, cercando di trovare le parole, ma nulla venne fuori. Il senso di perdita lo travolse, nonostante tutto quello che aveva provato per suo padre. Anche se il loro rapporto era stato complesso, pieno di conflitti e incomprensioni, la realtà della morte di Vedat lo colpì profondamente.
Eva, con gli occhi pieni di lacrime, si avvicinò a Yaman e lo abbracciò forte, sentendo quanto fosse devastato. 
"Sono qui con te," gli sussurrò, cercando di dargli il conforto di cui aveva disperatamente bisogno. Yaman si aggrappò a lei, sentendo il suo mondo crollare intorno a lui, e per la prima volta da quando tutto era iniziato, lasciò che le lacrime scorressero, liberando la tensione e il dolore che aveva trattenuto così a lungo.

I funerali di Vedat si tennero il giorno dopo, avvolti in un'atmosfera di solenne tristezza. Il cielo sopra Sarıyer era coperto da nuvole grigie, come se anche il tempo volesse partecipare al lutto. Il Cimitero di Sarıyer, situato in una zona verde e tranquilla, si era riempito di amici, dipendenti e colleghi di Vedat, venuti a rendere l'ultimo omaggio a un uomo che, nonostante i suoi difetti, era stato una figura di spicco nella comunità. Anche Hakan Topal, suo socio e padre di Meryem era presente.
Yaman, Beril ed Eva arrivarono insieme, accompagnati da Athena. Nonostante il loro legame non fosse sancito dal matrimonio, Eva sentiva profondamente la responsabilità di essere lì, non solo per Yaman, ma anche per sostenere Beril. Tuttavia, consapevole delle tradizioni e delle convenzioni sociali, Eva si tenne un passo indietro rispetto a Yaman, lasciandogli lo spazio necessario per essere al centro di questo doloroso addio.
Yaman indossava un abito nero, il volto segnato dalla stanchezza e dal dolore. Era una presenza imponente, ma il peso della perdita si leggeva chiaramente nei suoi occhi. Accanto a lui, Beril si aggrappava al braccio di Erdem, cercando forza in quel contatto. Quando arrivarono al cimitero, Yaman si portò in testa al corteo funebre, vicino alla bara di suo padre, che era avvolta in un semplice drappo verde, come richiesto dalla tradizione islamica. Anche se non erano una famiglia strettamente religiosa, la cerimonia seguiva i riti tradizionali, un modo per onorare le radici e la memoria di Vedat. Eva rimase leggermente dietro, accanto ad Athena. Le due donne si tenevano per mano, una stretta silenziosa che comunicava più di mille parole. Athena, pur con la sua compostezza, mostrava nei piccoli gesti tutta la sua sofferenza per la situazione, ma nonostante tutto, non aveva esitato a venire per sostenere la figlia e Yaman, che ormai considerava quasi come un figlio. Eva, pur sentendosi parte della famiglia, era consapevole del suo ruolo e rispettava il protocollo, lasciando che Yaman e Beril fossero al centro della cerimonia.
La cerimonia si svolse con sobrietà, seguendo i riti tradizionali. Un imam recitò le preghiere funebri, e tutti i presenti risposero con un sommesso "Amin" alla fine di ogni supplica. Il corpo di Vedat venne adagiato con cura nella tomba, mentre Yaman, con un volto impassibile ma con gli occhi pieni di emozioni trattenute, partecipò simbolicamente alla sepoltura, gettando una manciata di terra sulla bara, come voleva la tradizione.Mentre il terreno copriva lentamente la bara, Yaman sentì il peso di quel gesto simbolico gravare sul suo cuore. Nonostante tutto il rancore e le incomprensioni, quello era suo padre, e l'ultimo legame fisico tra loro stava per essere sepolto per sempre.
Eva osservava in silenzio, il cuore stretto per il dolore che vedeva nei gesti e nello sguardo di Yaman. Avrebbe voluto avvicinarsi, prendere la sua mano e condividere quel momento, ma rispettava le convenzioni che la separavano in quel momento. Athena, accanto a lei, posò una mano sulla sua, come a dirle che capiva e che, nonostante la distanza fisica, Eva era lì con loro, parte integrante di quel dolore. Dopo la sepoltura, gli amici e i parenti si avvicinarono a Yaman e Beril per porgere le loro condoglianze. Eva si avvicinò a Yaman solo dopo che la maggior parte delle persone se ne fu andata, quando i parenti più stretti rimasero a offrire le ultime preghiere. Si avvicinò lentamente, cercando il suo sguardo. Quando i loro occhi si incontrarono, Yaman la guardò con una stanchezza infinita, ma anche con un silenzioso ringraziamento per la sua presenza discreta e costante.
Eva, senza dire nulla, si avvicinò e gli prese la mano, stringendola forte.
"Sono qui." sussurrò, con una voce che solo lui poteva sentire.Yaman annuì, stringendo la mano di Eva come se fosse l'unica cosa che lo ancorasse alla realtà in quel momento.
Athena si avvicinò e, con una dolcezza che aveva sempre caratterizzato il suo modo di essere, poggiò una mano sulla spalla di Yaman.
"Tuo padre... nonostante tutto, ha sempre voluto il meglio per voi," disse, la voce calma ma carica di significato. "Ora è tempo di guardare avanti."Yaman, che fino a quel momento aveva cercato di mantenere la sua compostezza, sentì il nodo alla gola sciogliersi leggermente. Si voltò verso Athena, trovando in lei un conforto inaspettato. "Grazie, Athena," rispose, la voce che si spezzava leggermente. "Grazie per essere qui."
Il funerale si concluse nel silenzio, con l'eco delle preghiere ancora nell'aria. Mentre lasciavano il cimitero, Yaman sapeva che, nonostante la complessità del loro passato, avrebbe dovuto trovare un modo per fare pace con i suoi sentimenti verso suo padre. E con la sua famiglia accanto a lui, sentì che, forse, con il tempo, avrebbe potuto riuscirci.

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