Capitolo 32 - Tutto crolla

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Beril Kahraman rientrò a casa stanca e con la mente affollata di pensieri. Quando Ezgi, la governante, le aprì la porta, la sua espressione premurosa non riuscì a dissipare la nube di preoccupazione che aleggiava su Beril.
"La cena è pronta, signorina Beril," le disse Ezgi con il suo solito tono rassicurante.
Ma Beril non aveva fame, non riusciva a pensare al cibo in quel momento.
"Grazie, Ezgi, ma non mangerò stasera," rispose Beril distrattamente, già con la mente alla prossima cosa da fare. "Mio padre è sveglio?"
"Sì, signorina" rispose la governante con una leggera nota di preoccupazione nella voce. "È nella sua stanza."
Beril annuì, senza aggiungere altro, e si diresse verso la camera del padre. Aprì la porta lentamente, e la vista che le si presentò le strinse il cuore.
Vedat Kahraman era seduto sulla sua sedia a rotelle, indossava un pigiama di seta grigio chiaro, morbido e costoso, con sopra una vestaglia di velluto blu scuro, ricamata con sottili fili dorati. Era un abito che parlava di eleganza e di un tempo in cui suo padre era un uomo forte e potente, ma ora sembrava solo un involucro di ciò che era stato.
Il suo volto, solitamente impassibile, mostrava segni di turbamento. Il suo sguardo, che spesso rimaneva perso nel vuoto, si mosse lentamente verso di lei, reagendo alla sua presenza. Quando i suoi occhi finalmente incontrarono quelli di Beril, c'era qualcosa di diverso in quel suo sguardo stanco.
Non era il solito vuoto, ma qualcosa di più intenso, quasi un riflesso di coscienza che raramente mostrava.
Beril si avvicinò a lui, il cuore pesante. Ogni passo sembrava più difficile, come se la stanza fosse colma di un'energia che la opprimeva. Si inginocchiò accanto a suo padre, prendendogli una mano tra le sue.
"Papà," iniziò, la voce più morbida di quanto avesse previsto. "Devo chiederti una cosa, qualcosa di molto importante." Lo osservò attentamente, cercando una reazione nei suoi occhi. "È riguardo a quei bonifici che fai ogni mese... Vorrei sapere perché lo fai. Chi è Athena Demirel per te?"
Vedat continuò a fissarla, ma non rispose subito. Per un momento, Beril temette che non avrebbe detto nulla, che sarebbe rimasto nel suo silenzio impenetrabile come sempre. Ma poi, lentamente, con uno sforzo visibile, le sue labbra si mossero.
Un un suono soffocato uscì dalla sua bocca, ma c'era. Una parola sola, appena udibile.
"Perdono..."
Beril si bloccò, il cuore che batteva all'impazzata. "Cosa intendi, papà? Di cosa stai parlando?"
Vedat abbassò lo sguardo, la mano che Beril teneva iniziò a tremare leggermente. Era evidente che stava lottando con qualcosa di profondamente radicato dentro di lui, qualcosa che gli causava un dolore quasi insopportabile.
"Perdono." ripeté, con un tono appena più forte. Beril si sentì gelare. Non aveva mai visto suo padre in quello stato, così vulnerabile, così... colpevole. Ma nonostante il peso della rivelazione imminente, sapeva che doveva continuare a chiedere, doveva capire.
Beril rimase inginocchiata accanto a suo padre, sentendo il peso della sua impotenza crescere. La breve parentesi di lucidità di Vedat sembrava essere già svanita, e il suo sguardo stava tornando a quello stato assente che aveva imparato a temere. Si sentiva frustrata e impotente, incapace di penetrare la barriera di silenzio e colpa che sembrava circondarlo.
"Papà," sussurrò, con la voce tremante, "di cosa stai parlando? Che cosa hai fatto?" Il suo cuore batteva forte, mentre una parte di lei temeva la risposta, ma un'altra disperatamente la cercava.
Vedat non rispose immediatamente. I suoi occhi, persi nel vuoto, si chiusero come per rifugiarsi in un luogo lontano dal dolore che sembrava emergere. Beril, ancora aggrappata alla sua mano, sentì un brivido percorrerle la schiena. Sembrava che stesse per cedere del tutto, per abbandonarsi di nuovo a quell'apatia che lo aveva avvolto per mesi.
Poi, quando Beril stava ormai per rassegnarsi a non ottenere più nulla quella sera, un altro suono sfuggì dalle labbra di suo padre. Era appena un sussurro, un mormorio quasi impercettibile, ma Beril lo udì chiaramente.
"La... bambina..."
Le parole colpirono Beril come un fulmine a ciel sereno.
"La bambina?" ripeté, il cuore che le si fermava per un istante. Si piegò ancora di più verso di lui, cercando di afferrare il senso di quella frase.
"Che bambina, papà? Di chi stai parlando?"
Vedat non rispose subito, il suo sguardo si fece ancora più sfocato, come se il solo pronunciare quelle parole lo avesse sfinito. Beril lo osservò con una crescente angoscia. Chi era quella bambina? E cosa aveva fatto suo padre?
"P... proteggere...Yaman." mormorò Vedat, con un filo di voce, quasi soffocato dall'emozione.
Beril trattenne il respiro, ogni muscolo del suo corpo teso mentre cercava di afferrare il significato delle parole di suo padre. "Proteggere... Yaman?" ripeté, incredula. Le parole sembravano sospese nell'aria, dense di un significato che ancora le sfuggiva.
Vedat non rispose, il suo sguardo tornato nuovamente assente, come se lo sforzo di parlare lo avesse completamente esaurito. Ma quelle poche parole, seppur frammentarie, avevano colpito Beril come un pugno allo stomaco.
Proteggere Yaman? E quale collegamento aveva con una bambina?
Beril si sentì sopraffatta da un'ondata di pensieri confusi, ma anche da un'intuizione crescente, un'ombra che si stava lentamente delineando nella sua mente. Le frasi spezzate di suo padre, il suo tentativo di proteggerla, la storia dei bonifici... Tutto sembrava puntare verso un'unica direzione, una verità che non aveva voluto vedere fino a quel momento.
"Papà... Papà, per favore," implorò, la voce tremante. "Devi dirmi di più. Di chi è quella bambina? Cosa c'entra Yaman?"Ma Vedat non rispose. Le sue palpebre si chiusero pesantemente, come se fosse scivolato di nuovo in quell'abisso di silenzio da cui era emerso per pochi, preziosi istanti.
Beril sentì il cuore martellarle nel petto, mentre la mente correva veloce. Yaman. Suo fratello. E quella bambina... Proteggere Yaman. Il padre stava proteggendo suo figlio. Ma da cosa? E chi era quella bambina? Un lampo di comprensione attraversò la mente di Beril.
Quella bambina... La bambina che aveva visto in banca quella mattina, la bambina con quegli occhi così familiari... Quegli occhi verdi, così rari. Come gli occhi di Yaman.
"No..." mormorò Beril, quasi senza fiato, mentre la verità si faceva strada nella sua mente con una forza schiacciante.
Non poteva essere, eppure... Tutto cominciava a combaciare.
Si alzò di scatto, un groviglio di emozioni nel petto, tra cui rabbia, incredulità, e una crescente determinazione. Doveva parlare con Yaman. Doveva dirgli quello che aveva scoperto, doveva trovare le risposte a tutte le domande che ora la assalivano.
Se Ada era davvero sua figlia, se quella era la verità che suo padre aveva cercato di nascondere per tutto quel tempo, allora tutto stava per cambiare.
Beril si avvicinò al padre, posandogli una mano sulla spalla.
"Grazie, papà," sussurrò, la voce rotta dall'emozione. "Ora so cosa devo fare." Poi, senza perdere altro tempo, uscì dalla stanza.

Ultima Estate a IdosthenaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora