Il sole illumina la città con i suoi raggi e le rondini annunciano l'arrivo della primavera. Apparentemente è una giornata come le altre ma nella stessa data, ovvero 7 aprile del 2012, morì mia madre. Ricordo questo giorno come se fosse ieri, è impresso nella mia mente come un tatuaggio indelebile.
Dal momento in cui siamo arrivati, io e papà, in questa data, andiamo in un parco qui vicino per ricordare mamma, in particolare in questo angolo non molto frequentato dove c'è un bellissimo prato di papaveri che, oltre a essere i fiori tipici dell'Albania, erano anche i fiori preferiti di mia madre (e i miei). Sono le 17 e sono appena uscita dalla doccia, invece papà si sta sistemando. È sempre molto pensieroso durante questa giornata. Lui e mamma erano veramente una bellissima coppia, se dovessi descrivere l'amore in poche parole parlerei di loro. Qualunque cosa facessero la facevano insieme, dove non arrivava uno ci pensava l'altro. Il primo giorno dopo la morte di mamma, papà non parlò per una settimana intera e usciva raramente dalla loro camera, infatti in quel periodo perse anche qualche chilo. Quel giorno insieme a mia madre morì anche una parte di lui, una parte che onestamente mi manca.

Finisco di vestirmi e nel frattempo arriva papà «Hai finito? Non voglio arrivare tardi che poi si riempie di gente» beh non aveva tutti i torti. Allaccio le scarpe, mi lavo i denti, prendo la borsa e «Ok, adesso sono pronta, possiamo andare» il parco dista a venti minuti da casa. Trascorriamo il tragitto senza parlare ma con un po' di musica in sottofondo, giusto per non rendere l'aria più tesa di quanto già non lo sia, e dopo una breve sosta dal fioraio dove abbiamo ritirato i fiori da mettere nella specie di tomba che abbiamo fatto io e papà, quando festeggiammo il primo anniversario di morte di mamma. Dato che la vera tomba si trova in Albania.

Percorrendo il parco notai che non c'erano tanti bambini, anche perché era giovedì, saranno tutti a fare i compiti per l'indomani. Anche io dovrei essere in università ma ci sono delle priorità, di solito questo giorno mi assento sempre. Arrivati davanti al prato ricoperto di papaveri posiamo i fiori sopra la tomba. Ci sediamo, io a destra e papà a sinistra, e rimaniamo lì un bel po', ma era il minimo che potevamo fare per la donna che era il pilastro fondamentali della nostra famiglia. Papà inizia a parlarmi con un tono di voce malinconico
«È cambiato tutto dal giorno in cui ha scoperto della sua malattia. Inizialmente era come se mi mancasse l'ossigeno, non riuscivo a mangiare e pensavo solo a come andare avanti senza di lei. Io l'amavo. L'amavo come non avevo mai amato nessuno. E lei amava noi. Tu eri piccola, Layla, e dopo la sua morte ti ho trascurato. Dentro di me avevo un dolore così grande che il mio cervello riusciva solo a pensare alla donna della mia vita ma non tenevo conto del regalo che mia moglie mi ha fatto. Ovvero tu."»
Rimango lì stupita dalle sue parole, non è un tipo che esprime i suoi sentimenti molto facilmente, lo faceva solo in compagnia di mia madre. Lo abbraccio, ne sono grata per questo suo sforzo ma dalla mia bocca non esce alcun suono, nessuna parola da rivolgere a mia mamma.
Dopo mezz'oretta seduti, decidiamo di alzarci, pure perché cominciavano a farmi male le gambe. Ma prima di sollevarmi completamente faccio un ultimo saluto a mamma. Prendo un papavero lì vicino, bacio un petalo cercando di imprimergli il rossetto sopra e lo lascio vicino agli altri fiori «te dua, mami».
Mentre facciamo per andarcene sento qualcuno chiamarmi. «Ehi, Layla!» era la voce squillante di una bambina, quando mi giro la riconosco. L'ho aiutata qualche giorno fa sempre in questo parco, mi pare si chiamasse Karen.

Sto passeggiando tranquillamente con le cuffie alle orecchie e la musica con il volume al massimo (cosa che mi porterà a diventare sorda). Di solito non presto molta attenzione a ciò che mi circonda ma sta volta viene catturata da una figura dall'altro lato della strada. Una bambina a terra nel marciapiede che...piange! Mi tolgo le cuffie e vado verso di lei per accertarmi che sia tutto apposto. «Ehi piccola cosa è successo?» mi abbasso alla sua altezza, ora noto che accanto a lei c'è una bicicletta. Penso di aver capito ma aspetto che me lo dica lei. «M-mi s-sono fat-ta mal-e» singhiozza e continua a piangere.
«Sei caduta dalla bici?», annuisce. La faccio sedere sopra al muretto la vicino e controllo la ferita. È una normale sbucciatura al ginocchio «Non è niente. La devi solo disinfettare un po'. Casa tua è qua vicino?»
«Ehm...si. È dopo queste due case qua davanti» capisco dai suoi occhi che non sa se fidarsi o meno. «Sali sulle mie spalle. Ti porto a casa» le faccio un sorriso rassicurante e mi abbasso per farla salire, e dopo qualche secondo si convince e lo fa. Prendo la bici e mi incammino. «Come ti chiami?» le domando
«Karen, tu?» ora che ha smesso di piangere la sua voce è così carina. «Hai un bellissimo nome. Io mi chiamo Layla»
«Bello» la sento giocare con i miei capelli. Ho slegato le trecce qualche settimana fa, quindi per ora ho i miei capelli naturali. «Ti piacciono?» le chiedo
«Si! sono bellissimi, anche io li vorrei. I miei capelli sono troppo semplici!» mi fa ridere, soprattutto perché ha dei bellissimi capelli lisci di un arancione ramato. Sono stupendi «Io penso che i tuoi capelli siano bellissimi, questo colore è molto raro sai?»
«Davvero?»
«Assolutamente. Mi ricorda il colore delle carote e ti svelo un mio piccolo segreto» nel mentre la faccio scendere dalle spalle dato che siamo arrivati a casa sua.
«Io adoro le carote. Sono ossessionata.»
si mette a ridere «Come un coniglio?» e continua a ridere mostrando i suoi piccoli dentini.
«Si come un coniglietto. Però non dirlo a nessuno, mi raccomando» mi fa una specie di occhiolino e fa il segno del lucchetto sulle labbra «Sono muta come un pesce, coniglietta Layla» le sorrido e mi alzo. «Ci vediamo in giro pesciolino Karen» mi allontano e nel mentre sento le sue risate.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 03 ⏰

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