«È in arresto per l'omicidio di Alexander Coops e Mia Dormer,venga con me senza fare storie.» Mi ritraggo.
«No...no, dev'esserci stato un errore. Questa le sembra la faccia di un assassino?»
Continuo a bluffare.
Lo so, li ho uccisi io.
Cerco di risultare innocente nel modo più credibile in cui possa sperare, dopotutto, alle elementari ho frequentato un club di teatro.
«Venga con me.» Oppo mi si avvicina creando delle manette da quel sul stupido quaderno.
Ma che cazzo?
«Voglio un avvocato!» Urlo. Mi sta salendo l'ansia.
«Lo avrà mentre sarà in prigionen, anche se, le prove contro di lei sono schiaccianti, non vedo come potrà anche solo sperare di uscirne fuori senza, almeno, 20 anni di prigionia.»
A quel punto è a pochi cm da me. Con un gesto secco mi immobilizza e mi mette quegli aggeggi nei polsi.
«Non può farlo sul serio.» Chiedo. Sto delirando.
«Oh, si che posso.»
Mi tira il ginocchio nello stomaco impedendomi di respirare in qualche secondo.
Ma che cazzo?
Provo a ricambiare il colpo ma il luogo dove ha calciato mi fa troppo male, così tanto che non mi resta che accasciarmi al pavimento e contemplare la mia stupidità.
Lo guardo. Guardo i suoi occhiali neri quadrati e quel maledettissimo codino che ha.
Vorrei strapparglielo, così farti da fargli andare via anche la pelle.
«La smetta di fissar male i miei capelli. Sono io quello che potrebbe strapparglieli in qualsiasi momento, non il contrario. Venga con me senza fare storie, ogni parola che dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale.»
La cella è fredda e buia. Il mio compagno di stanza si mangia le coccole e appiccica le gomme da masticare nel cesso.
Che schifo.
Questo luogo mi ricorda la stanza insonorizzata in cui mi buttava mio padre per picchiarmi.
Non sono bei ricordi, ma lo sono, e sono serviti per forgiare questo carattere, così impenetrabile e apatico- naturalmente con chiunque non è il mio Chuuya.
La ragione per cui sono ancora vivo. Ne abbiamo passate tante e ancora tante voglio viverne ancora insieme.
Lo amo, lo amo così tanto che mi sento morire se non sono con lui.
Ho solo voglia di vederlo, di strappargli i vestiti e ricoprirgli il corpo di succhiotti, di baciarlo affettuosamente e stringerlo nelle mie braccia nel mentre che lui si dimena e arrossisce.
Non vedo l'ora che i miei avvocati facciano il loro lavoro.
Mi va bene che mi faccino passare per il malato mentale che sono, mi basta solo poter tornare dal mio rossignolo preferito.
Starò qui per pochi giorni e poi uscirò subito; tornerò a casa e guarderò un film su Netflix con ChuChu- continuo a ripeterlo incessantemente nella mia testa.
Poi però penso a cose più sporche e mi ripeto di non essere così pervertito.
Un paio di giorni e sarà tutto come prima.
Menomale che ho ucciso quei due coglioni.
Mi fanno numerose analisi, quelle del sangue, salute mentale, intelletto e la macchina della verità.
Mi faccio passare come un cretino, essere considerata per quel genio che sono sarebbe un problema.
Passo l'ultimo test e in men che non si dica si arriva all'ultima riunione in tribunale, quella decisiva.
Mi siede accanto al mio avvocato. Si chiama Joseph Suzuki, mezzo giapponese mezzo americano, ha un incredibile odore di caffè e sigaretta.
Vedo anche Chuuya lì, in mezzo alla stanza.
Deve essere venuto per testimoniare a mio favore.
Gli faccio cenno per salutarlo ma lui si gira con sguardo cupo.
Qualcosa mi dice che questa giornata andrà di merda.
Le prove che presentano sono schiaccianti.
Vengo presentati foto e video di quel momento, informazioni che solamente chi sarebbe stato vicino a me, in quel momento, avrebbe potuto assistere.
Chuuya Nakahara.
Chuuya parla sputtanandomi a gran voce.
Racconta di come io li abbia uccisi e architettati tutto; dice di come mi sia sbarazzato dei cadaveri e il motivo.
Lo guardo in lacrime.
Perché?
Chuuya gli ha dato le prove. La sentenza è data: colpevole.
Mi ritrascinano in quella cella buia e stretta con quel mangia caccole.
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