Dove diavolo ero finita.
Questo è il mio primo pensiero quando mi ritrovo sul viale di una villetta nella periferia di Boston.
«Hai intenzione di rimanere impalata lì tutto il tempo?»
Helena mi sorride divertita e mi tira una pacca sulla spalla in un gesto bonario.
«Non so se fa per me.»
La musica ad alto volume si sente fino all’esterno e non capisco come i vicini lo permettano. La porta principale è aperta e riesco a scorgere l’elevata quantità di persone già presente all’interno.
In fin dei conti l’organizzatore è Jason, il rappresentante degli studenti, che conosce chiunque sia iscritto all’Università. Anche me che credo sempre di passare inosservata.
«Non voglio sentire ragioni, Rosemary. Già l’anno scorso mi hai dato buca e non sei voluta venire.»
Helena è la mia compagna di stanza e segue medicina. Ha dei bellissimi capelli ricci e neri che le ricadono sulle spalle e due occhi scuri che ha messo in evidenza con un bell’ombretto glitterato. Il suo abito rosso non la fa passare inosservata ma lei è così semplice nei modi che non ci bada minimamente.
È stata lei a costringermi ad indossare questo abito nero decisamente troppo aderente. Mi mette in evidenza le forme e lo scollo a cuore fa risaltare troppo la scollatura.
Per questo ho lasciato volutamente i capelli sciolti così da riuscire a nascondermi allo sguardo altrui.
Quando entriamo all’interno mi rendo conto che la festa deve essere iniziata già da parecchio perché in molti sembrano alticci e le conversazioni sono urlate per cercare di superare il volume della musica.
L’angoscia che provo nel trovarmi circondata da così tante persone viene subito meno quando compare dinanzi a noi Nut.
«Vi ho viste arrivare!» dice sorridente, offrendoci due bicchieroni ricolmi fino all’orlo. «State tranquille, è analcolico.»
Sorrido e raccolgo il bicchiere tra le mani.
Tra le cose che adoro di Nut c’è la sua infinita gentilezza e premura, tranne quando diventa eccessiva.
Stasera è sorridente, ha le guance arrossate dall’alcol e gli occhi gli brillano per il divertimento. So che ha successo con le donne e non fatico a crederlo a giudicare da quanto sia carino stasera. Il jeans e la camicia sbottonata che indossa lo rendono intrigante.
Ci accompagna nell’altra stanza per permetterci di salutare il padrone di casa, intento a chiacchierare con alcuni dei suoi compagni di Basket. Jason è alto e ben piazzato e, quando ci vede arrivare, si separa dagli altri per venirci incontro.
«Mi sembrava che mancasse qualcuno!» si passa distrattamente una mano tra i capelli castani e mossi e i suoi occhi indugiano con particolare interesse sull’abito rosso di Helena. «Come indossi tu il rosso, nessuna.»
Nel sentire quel complimento imbarazzante per poco non mi strozzo con il drink che stavo tranquillamente sorseggiando. Inizio a tossire convulsamente, al mio fianco Nut ride e non fa assolutamente nulla per aiutarmi.
Jason punta lo sguardo su di me e lo sento scorrere sul modo in cui il vestito mi fascia il corpo.
«Rosemary.» il modo in cui mi guarda dritto negli occhi mi fa arrossire di colpo. «Finalmente ci onori con la tua bellissima presenza.»
Quel complimento, per quanto gradito, mi sembra esagerato se rivolto a me.
«Tranquillo, Jason. Mi ha promesso che non mancherà mai più a nessuna delle feste che organizzerai.» Helena sorride e mi indirizza un occhiolino fugace.
«So che il prossimo fine settimana avete la partita con l’Università di Chicago.» Nut interviene improvvisamente e mi toglie dall’imbarazzo di dover rispondere sia a Jason che ad Helena.
I due ragazzi si mettono a discutere di punteggi, strategie e allenamenti, di cui non mi interessa assolutamente nulla. Il mio sguardo vaga, come sempre, alla ricerca dei dettagli che mi circondano. La casa ha un mobilio semplice e moderno, nulla che attiri la mia curiosità, ma è resa viva da tutti quei volti, dalle loro emozioni e dalle loro interazioni. Ne sono come sempre affascinata.
E poi lo vedo, e inizialmente mi sembra impossibile che lui sia davvero lì.
Thomas si trova dall’altra parte della stanza intento a fumare vicino alla porta-finestra che dà al giardino sul retro. Sorride ad una ragazza che gli sventola le lunghe ciglia finte sotto il naso e coglie ogni occasione per toccargli distrattamente un braccio.
In fin dei conti posso capirla, Thomas catalizza l’attenzione sia per il suo aspetto maturo sia per la sua bellezza rude. Il modo con cui poggia i suoi occhi neri sulle cose è graffiante e quell’accenno di sorriso sulle labbra mi causa un brivido.
Rivolgo lo sguardo sui suoi indumenti. Non ci sono felpe a coprirlo, anzi. Sopra un paio di jeans neri e sbiaditi indossa una canottiera nera che mette in risalto la corporatura allenata e assolutamente perfetta, coperta in parte dalla camicia sbottonata che indossa.
Quando torno a sollevare lo sguardo lo incrocio col suo già rivolto su di me. Il sorriso beffardo che mi rivolge, pur senza smettere di conversare con la ragazza al suo fianco, mi imbarazza all’istante.
Sono sicura che mi abbia sorpresa a guardarlo. Butto giù l’ultimo goccio di drink rimasto nel bicchiere come se potesse alleviare quei pensieri.
«Vado a riempirmi il bicchiere.» spiego ad Helena, tutta intenta a seguire il discorso sulla partita che io stavo appositamente ignorando.
Riesco a farmi largo tra le persone per raggiungere il lungo tavolo su cui sono esposte diverse tipologie di bevande tra alcoliche ed analcoliche. Capire cosa prendere sarà difficile.
«Per me due birre, grazie.»
Quelle parole mi vengono quasi urlate nell’orecchio per contrastare la musica.
Mi volto di scatto e mi ritrovo gli occhi neri di Thomas a fissarmi.
«Scusami?!» aggrotto le sopracciglia senza capire.
Lui sorride, uno di quei sorrisi che preannunciano un commento poco carino.
«Non sei qui per portare da bere alla gente? Dopotutto è quello che fai in caffetteria…» ghigna dopo aver pronunciato la sua cattiveria.
Mi supera al tavolo senza darmi modo di rispondere. Non saprei neanche cosa dire in effetti, mortificata come sono per l’ennesima frase sgradevole che mi rivolge.
Thomas afferra due bottiglie di birra e si volta a guardarmi.
«Vado, c’è una ragazza che mi aspetta.»
«Come se mi interessasse!» gli rispondo con tutta l’acidità che ho in corpo ma la sua reazione è nuovamente sorridere di me.
«Dal modo in cui guardavi poco prima, direi di sì.»
Si allontana, lasciandomi finalmente da sola al tavolo delle bevande che osservo senza realmente vedere. Sembra che qualsiasi cosa gli dica lui riesca a ribaltarla a suo vantaggio e a umiliarmi.
Stringo il bicchiere di cartone tra le mani e, come una furia, punto una grande ciotola di vetro al cui interno vi è un liquido scuro condito con ghiaccio e limone. Ho già visto diverse ragazze servirsi con un mestolo e prendo a fare lo stesso.
«Un po' di tè freddo è proprio quello che mi serve per calmarmi.» borbotto tra me e me.
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The Devil's Garden
ChickLitRosemary è una ragazza come tante. Ha iniziato a frequentare l'Università di Boston e lavora in una caffetteria. La sua quotidianità sta per essere stravolta dall'arrivi di un misterioso assistente...