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Faccio sempre lo stesso sogno ogni notte da anni che non voglio ricordare, penso che il mio cervello lo faccia apposta. Rimuove le parti del sogno visibili, le più dolorose, e lascia solo i rumori.
Solo che i rumori sono la cosa peggiore.
Pugni contro la porta, mi perseguitano e questa mattina non è diversa dalle altre.

Quando risalgo dell'incubo tutto mi appare sfocato, solo un leggero solletico mi attraversa il collo mi accorgo di star piangendo. Qualche lacrima mi bagna il viso ma l'asciugo in fretta.
Mi alzo e raggiungo il maestoso bagno della mia camera, troppo grande, troppo vuoto. Mi sciacquo il viso e poi lo guardo, nel riflesso dello specchio, naturale eppure così innaturale per me. Le lentiggini sono ben visibili sulle gote come anche delle leggere sfumature violacee sotto gli occhi e...gli occhi. Neri, nero pece li vado subito a coprire con le lenti verdi, e io so bene cosa succede se non le indosso. Il mio sguardo scende a quella cicatrice sulla mano, se la tocco a volte mi sembra ancora di sentire dolore.
Spazzolo e controllo l'attaccatura dei capelli per fortuna perfetta, quel biondo platino mi fa quasi ribrezzo eppure ci sono ben abituata.
Sospiro, la mattina è il momento peggiore della giornata.
Tiro fuori dal beauty sul lavello, che distrattamente avevo appoggiato lì la sera prima, un metro da sarta e comincio:
Giro vita...apposto,
Avambracci...apposto,
Cosce...un centimetro sopra quanto dovrebbero stare...dio no.
Guardo oltre me, il gabinetto e mi maledico ogni secondo.
Non lo voglio fare, non l'ho mai voluto fare.
I ricordi dei pugni sulla porta mi appaiono davanti agli occhi ogni secondo, dieci, quindici volte.
Sbatto la testa contro il legno della porta e mi decido a rigirare la chiave finché non sento un click.
Se sarò capace di controllarmi, un giorno non lo dovrò più fare. I polpastrelli mi sfiorano le labbra...

Quando scendo giù in sala trovo una tavola enorme imbandita con qualsiasi cosa dolce salato...cose strane mai viste prima, quattordici sedie ma un solo piatto a uno dei due capo tavola.
"Signorina Nora buongiorno!" Sobbalzo quando sento la voce squillante di Lauren accanto a me.
Da dove è sbucata?
"Buongiorno Lauren." Sorrido ma non troppo penso si arrabbierebbe se vedesse croste di fondotinta sul parquet lucido, penso che anche per i standard Osborne ne ho messo un po' troppo.
"Non sapevo cosa le piacesse perciò ho fatto preparare un po' di tutto." Guardo quel banchetto e lo stomaco si stringe, e il retrogusto amaro nella mia bocca quasi mi impedisce di parlare. "Mi dispiace vi siate impegnati tanto e vi ringrazio, ma io la mattina prendo solo un espresso amaro" e corretto, ma questo mi astengo dal dirlo.
Riesco a vedere la delusione dipingersi sul suo viso e mi maledico da sola. "Mi sa che oggi farò uno sforzo" mi siedo e le torna subito il buon umore. Non riesco però a non notare l'assenza del coperto all'altro capotavola.
"Il signorino Osborne si sveglia molto presto per andare a lavoro, e torna generalmente verso l'ora di cena. Mi ha detto di dirle che l'aspetta alle sette e trenta puntuale per cena." Risponde ai miei dubbi lauren.
Pretende, pretende, pretende,
Il caro signorino Osborne.
"Bene, grazie Lauren."
Per i successivi trenta minuti bevo il mio caffè e spelucchio il cibo nel piatto parlando con lauren.

...

Quando arrivo con la macchina all'entrata della culumbia non mi sorprendo di trovare Manon ferma ad aspettarmi. La portiera è bloccata all'interno quindi come una bambina pronta a lanciarsi in strada devo aspettare che sia l'autista a venirmi ad aprire. Manon subito mi prende per mano e mi catapulta fuori "Allora com'è, com'è?" Faccio un cenno con la mano all'autista che risale in macchina.
"L'autista? Simpatico, non ha detto una parola per tutto il viaggio proprio come piace a me, neanche il nome."
"Roger, sicuramente si chiama Roger, tutti gli autisti si chiamano Roger!"
Mi passa un bicchiere di carta con un tappo in plastica nera.
"Ho già preso il caffè stamattina."
"È corretto alla sambuca."
"Ma avevo proprio di un altro, grazie!"
Ridacchia "allora mi vuoi dire com'è lui?" Freme dalla voglia di sapere lo vedo dai suoi occhi.
"Non taciturno come piace a me, anzi chiacchiera parecchio." Mi affretto a bere il caffè e quel leggero pizzicore alla gola mi scioglie abbastanza la lingua da continuare mentre attraversiamo il campus.
"È un bello stronzo e non ho capito perché ma porta sempre dei guanti."
"È un Osborne, avrà paura di toccare un essere impuro." Ride Manon e vorrei unirmi a lei ma più camminiamo per arrivare all'aula di biochimica più sento gli occhi su di me. E vorrei dire di non sapere perché, le informazioni degli Osborne sono riservate tuttavia, qualcosa da mangiare alla stampa la devono pur dare così il giorno del matrimonio l'identità della sposa diventa pubblica e a poco poco sparisce dalle scene, le persone dimenticano il suo viso e poi di lei non si sa più nulla. Loro non smentiscono così tutti pensano che siano...morte.
Evidentemente Manon mi ha detto qualcosa perché mi accarezza la spalla e mi guarda consapevole. "Tu stai bene?" Domanda stupida, ma capisco dove voglia arrivare.
Sto bene? Certo che no ma...
"Non mi ha fatto del male." La vedo sospirare di sollievo "allora già metà delle voci possiamo considerarle false." Mi abbraccia le spalle.
"Mh non penso."
"Beh non sei stata sacrificata a satana durante la prima notte, non è già un traguardo?" Mi concedo una risata "già immagino che sia così."
Prendiamo posto nell'aula e guardo poche file avanti a me, un ragazzo che non avevo mai visto si siede. I capelli di un castano scuro e gli occhi verdi addosso un chiodo di pelle e un sacco ma davvero troppi tatuaggi.
Do un colpetto a manon "sono ceca io o lui non c'è mai stato? Siamo a metà corso." Il suo sguardo sfreccia su di lui "mai visto e fidati uno così lo avrei senz'altro notato!" Lo squadra da capo a piedi mangiandoselo con gli occhi.
"Già." Nascondo una risatina e lei mi restituisce il colpo. "Tu sei sposata, questo è mio."
"Tranquilla è tutto tuo." Sorrido ma alzo di nuovo lo sguardo sul ragazzo e lo trovo a guardarmi, quando vede che lo fisso anch'io mi sorride e si rigira verso il suo foglio e anch'io faccio lo stesso.

OsborneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora