Kyler
Ho fatto una cazzata.
Ho.
Fatto.
Una.
Cazzata.
Non dovevo mettere quel cazzo di bigliettino in quel cazzo di libro.
<<Fanculo.>> Sbraito.
Le pareti sembrano stringersi attorno a me, e io, in preda a un misto di rabbia e tristezza, inizio a colpire il muro con i pugni.
Quella data, perché non riesco a dimenticarla?
Perché cazzo non riesco a smettere di pensare a lei?
Urlo dentro di me, mentre il dolore si diffonde dalle nocche alle braccia.
Ogni colpo che infliggo al muro è come un tentativo disperato di liberarmi da questa prigione di ricordi che mi tiene in ostaggio.
La mia mente è un caos.
Ricordo il suo sorriso, quel modo in cui i suoi occhi brillavano quando parlava delle sue passioni.
Ogni dettaglio è vivido: il modo in cui i suoi capelli ricadevano sulle spalle, il profumo che lasciava nell'aria, una miscela di vaniglia e qualcosa di fresco, come l'aria di primavera.
Mi manca così tanto che il pensiero di lei mi fa venire voglia di piangere.
Mi fermo un attimo, il respiro affannoso, e guardo la mia camera.
È un disastro.
I vestiti sparsi ovunque, i libri accatastati in un angolo, e il letto disfatto.
Ogni oggetto sembra un ricordo di lei.
La maglietta di Michael Jackson che indossavo quando quel maledetto giorno ci siamo incontrati per la prima volta, è ancora lì, appesa alla parete.
Sono passati undici cazzo di anni dalla prima volta che mi ha parlato.
Undici anni da quando è morta mia madre e lei era lì, ad asciugarmi le lacrime e dirmi che non sarei mai stato solo.
Undici anni dal 15 settembre, il giorno in cui capii di amarla.
E io ho scelto di ricordarglielo attraverso il bigliettino infilato nella pagina del suo libri preferito.
Ma non a caso, ho scelto la pagina 159.
Quindici, il giorno.
Nove, il mese.
11 anni prima
Ogni pugno che infilo nel cemento è un tentativo disperato di liberarmi da questa sensazione opprimente che mi stringe il petto, come se un enorme peso mi schiacciasse.
Le lacrime scorrono lungo le mie guance, calde e salate, e non riesco a fermarle.
Sento il mio cuore battere forte, come un tamburo che annuncia una battaglia che non voglio combattere.
Il muro è freddo e duro, ma in questo momento non mi importa.
La mia mente è un turbinio di pensieri confusi e arrabbiati.
Perché deve essere così difficile?
Perché non riesco a far capire agli altri come mi sento?
Vorrei urlare, ma la mia voce è bloccata, soffocata da un groppo in gola che non riesco a sciogliere.
Mentre continuo a colpire il muro, sento un rumore dietro di me.