Capitolo 9

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Kyler

Ho fatto una cazzata.

Ho.

Fatto.

Una.

Cazzata.

Non dovevo mettere quel cazzo di bigliettino in quel cazzo di libro.

<<Fanculo.>> Sbraito.

Le pareti sembrano stringersi attorno a me, e io, in preda a un misto di rabbia e tristezza, inizio a colpire il muro con i pugni.

Quella data, perché non riesco a dimenticarla?

Perché cazzo non riesco a smettere di pensare a lei?

Urlo dentro di me, mentre il dolore si diffonde dalle nocche alle braccia.

Ogni colpo che infliggo al muro è come un tentativo disperato di liberarmi da questa prigione di ricordi che mi tiene in ostaggio.

La mia mente è un caos.

Ricordo il suo sorriso, quel modo in cui i suoi occhi brillavano quando parlava delle sue passioni.

Ogni dettaglio è vivido: il modo in cui i suoi capelli ricadevano sulle spalle, il profumo che lasciava nell'aria, una miscela di vaniglia e qualcosa di fresco, come l'aria di primavera.

Mi manca così tanto che il pensiero di lei mi fa venire voglia di piangere.

Mi fermo un attimo, il respiro affannoso, e guardo la mia camera.

È un disastro.

I vestiti sparsi ovunque, i libri accatastati in un angolo, e il letto disfatto.

Ogni oggetto sembra un ricordo di lei.

La maglietta di Michael Jackson che indossavo quando quel maledetto giorno ci siamo incontrati per la prima volta, è ancora lì, appesa alla parete.

Sono passati undici cazzo di anni dalla prima volta che mi ha parlato.

Undici anni da quando è morta mia madre e lei era lì, ad asciugarmi le lacrime e dirmi che non sarei mai stato solo.

Undici anni dal 15 settembre, il giorno in cui capii di amarla.

E io ho scelto di ricordarglielo attraverso il bigliettino infilato nella pagina del suo libri preferito.

Ma non a caso, ho scelto la pagina 159.

Quindici, il giorno.

Nove, il mese.

11 anni prima

Ogni pugno che infilo nel cemento è un tentativo disperato di liberarmi da questa sensazione opprimente che mi stringe il petto, come se un enorme peso mi schiacciasse.

Le lacrime scorrono lungo le mie guance, calde e salate, e non riesco a fermarle.

Sento il mio cuore battere forte, come un tamburo che annuncia una battaglia che non voglio combattere.

Il muro è freddo e duro, ma in questo momento non mi importa.

La mia mente è un turbinio di pensieri confusi e arrabbiati.

Perché deve essere così difficile?

Perché non riesco a far capire agli altri come mi sento?

Vorrei urlare, ma la mia voce è bloccata, soffocata da un groppo in gola che non riesco a sciogliere.

Mentre continuo a colpire il muro, sento un rumore dietro di me.

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