17. Happier than ever

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Just fucking leave me alone.
Billie Eilish



LIGHTON

La voce di Savannah è un'eco lontana e indistinta. Forse, blatera dei coreani che si sono autoinvitati negli States. C'entra persino Maometto, che in questo caso sarebbe Tricia, se ho capito bene. Perché, se lui non va dalla montagna, la montagna va da lui. Quindi, loro stanno venendo qua.

Fisso la penna che stringo tra le dita. Senza rendermene conto ho scarabocchiato il foglio invece di prendere appunti. Come si chiamava il nome di quel locale dove Carol ha proposto di portarli? Cavolo, non l'ho appuntato. Verrò licenziata? Forse, era un locale karaoke, uno di quelli in cui ti chiudi in una stanza per dare sfoggio di pessime abilità canore senza traumatizzare nessuno. Me li immagino i nostri amici orientali a cantare YMCA.

«Leighton!»

Mi sistemo sulla sedia e penso a come piantarla di essere distratta. Lo sono da quando mi sono svegliata nella stanza di Jamie, questa mattina alle prime luci dell'alba. Non basterebbero le pagine di questa agenda per prendere note di tutte le parolacce e maledizioni che mi sono lanciata da quando ho aperto gli occhi e me lo sono ritrovato accanto, sdraiato a pancia in giù, con il viso che sprofondava nel cuscino e una matassa di capelli rossi e disordinati a coprirgli gli occhi.

«Leighton!»

Il soggiorno era come lo avevamo lasciato. I calici vuoti abbandonati sul tavolo, le candele ormai spente, le scatole di cibo aperte ma vuote, Rocky sdraiato in balcone... Non doveva succedere.

«Leighton!»

Alzo lo sguardo dal foglio. «Sì?»

Tricia sgrana per un attimo gli occhi e poi scuote la testa.

«Hai sentito una parola di quello che abbiamo detto?» L'inflessione della voce di Savannah è indispettita anche più della sua espressione.

Preferivo i bei tempi in cui mi chiamava Peyton, almeno non ero costretta a partecipare alle riunioni "intime" tra lei, Tricia e Carol.

Incespico in un paio di tentativi di articolare una risposta sensata, ma finisco per sembrare ancora più stupida di quanto non sia. Quando Carol sbuffa in modo davvero molto rumoroso, capisco di essere nei guai.

«Okay, tutti fuori!» Il comando di Tricia risuona minaccioso. Scatto in piedi, proprio come Savannah e Carol.

«Non tu, Leighton.»

Chiudo per un attimo gli occhi e mi rimetto seduta. Quando la porta si richiude e rimaniamo sole, sento il bisogno di rimpicciolirmi fino a sparire.

Le sue unghie lunghe e smaltate di nero non smettono di picchiettare sul tavolo. Mi sento osservata, quasi studiata. Azzardo a ricambiare il suo sguardo e lei ne approfitta.

«Non fare quella faccia da cucciolo abbandonato. Non verrai licenziata perché oggi ci stai facendo la grazia solo della tua presenza fisica. Forza, sputa il rospo. Che ti è successo?»

«È il mio compleanno» confesso.

«Auguri» afferma con zero entusiasmo.

«Ma io non lo festeggio. Non mi piace, anzi, lo detesto.»

«Allora li ritiro.»

Prendo più aria di quanto me ne serva per dare un senso a tutto ciò che mi tormenta. «Ieri ho spento una candelina.»

I solchi che piegano la fronte di Tricia mi confermano di essere preda di deliri.

«È stato Jamie.» L'accusa mi esce carica di tutte le gravità successe nelle ultime dodici ore.

Come l'odio per cui ti amoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora