xvi. riconoscere

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Si conobbero.
Lui conobbe lei e se stesso,
perché in verità non s'era mai saputo.
E lei conobbe lui e se stessa,
perché pur essendosi saputa sempre
mai s'era potuta riconoscere così.
Italo Calvino

Italo Calvino

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La notte passò e i primi timidi raggi solari che filtrarono dalla finestra, come delle frecce, le colpivano il volto. I capelli ribelli le ricadevano sul volto, donandole un'aria innocente.

Levi la osservava.

Nonostante fosse da poco passata l'alba, lui era già sveglio. Non che avesse dormito molto, in verità. Già gli risultava difficile normalmente, figuriamoci dopo le rivelazioni della sera prima.

Ciò che gli aveva confessato la bionda lo scosse, ma allo stesso tempo, lo tranquillizzò—non era pazzo a percepire che qualcosa non andava in lei; il suo sesto senso non lo aveva tradito nemmeno questa volta. Un ghigno soddisfatto gli apparve in viso, mentre sorseggiava la sua tazzina di tè.

Quindi, ricapitolando, Aura veniva dal futuro. Conosceva la loro storia, gli eventi principali. Sapeva quello che sarebbe successo. Tuttavia, non gli aveva voluto rivelare niente del futuro, né tantomeno lui si era arrischiato a chiedergli qualcosa. Il futuro non lo spaventava e non lo interessava: qualunque cosa fosse accaduta, era pronto ad affrontarla. Dopotutto, era o non era il soldato più forte dell'Umanità?

Immerso com'era nei suoi pensieri, non si accorse che nel frattempo la giovane aveva aperto gli occhi, trovandosi il suo sguardo addosso. Aura si ridestò di colpo, chiedendosi da quanto tempo la stava osservando con quel ghigno in volto.

«Hai smesso di osservarmi o vuoi una foto?»

Levi sfarfallò le palpebre, ritornando alla realtà. Che gli aveva chiesto? «Una foto

«Sì, un'invenzione del mio tempo: è in grado di catturare un'immagine e imprimerla sulla carta. O sul telefono.» Si rese conto di ciò che aveva detto e prima che Levi potesse nuovamente chiederle di cosa stesse parlando, sventolò una mano davanti al volto. «Non chiedere, non so come descrivertelo e non ho le forze a prima mattina.» Poi sbadigliò, stiracchiandosi.

«Non che m'interessa, non vivo nel tuo tempo.» Sbottò lui, leggermente offeso per il tono di sufficienza che aveva usato. Poi si alzò di scatto, riponendo la tazzina sul tavolino. «Sbrigati a prepararti: ti porto a fare un giro per la città.»

«Non torniamo alla base?» Domandò lei, curiosa, dato che Erwin e Hanji avevano parlato di una notte al Castello.

«Ho pagato per stare un'altra notte, dato che ieri siamo arrivati tardi e non abbiamo avuto modo di fare niente.» Spiegò Levi, intento a sistemarsi la camicia e il solito fazzoletto che teneva legato al collo. «Preparati, ti porto a fare un giro in città.»

「 outlander 」 levi ackermanDove le storie prendono vita. Scoprilo ora