Si sveglia con un gran mal di testa.
Sono passati appena pochi minuti da quando ha chiuso gli occhi, ma gli sembra che siano passate ore.
È infreddolito.
Ha la nausea.
I vestiti leggeri si sono appiccicati alla pelle completamente umidi e i suoi denti battono tra loro per lo shock e il freddo.
Aveva trovato rifugio in un vecchio casolare diroccato proprio ai margini di un paese e si era attardato per riposare i piedi stanchi e feriti nelle scarpe da ginnastica quasi completamente distrutte e piene di terra.
Si guarda intorno ed è tutto completamente così sporco e spoglio da sentirsi ancora più male. Prende dal suo zaino una bottiglia d'acqua a metà e la beve in un unico sorso. Si sente disorientato ma sa che deve riprendere il cammino. È appena mezzogiorno ma ormai le giornate si stanno accorciando, il freddo si insinua nelle ossa durante la notte e se non trova un nascondiglio accettabile sarà esposto agli elementi e ai pazzi squilibrati che vagano alla ricerca di risorse come lui.
Sa che avvicinarsi a quello che sembrerebbe un paese è una pazzia bella e buona. Non ha altre fottute possibilità. Cammina da giorni, superando città e paesi di varie dimensioni, tutte le provviste che aveva accumulato rubando dalle auto abbandonate ai margini delle strade sono quasi finite e di acqua ce n'è appena di uno o due sorsi nella bottiglia che ha quasi prosciugato due attimi prima.
Il paese sembra vicino e decide di allontanarsi dalla strada principale per costeggiare il bosco dall'esterno. Aumenterà ancora di più il tragitto ma non vuole rischiare la pelle addentrandosi senza alcuna precauzione. Spera anche di trovare facilmente qualcosa, qualsiasi cosa da mangiare e da bere il prima possibile. Ha bisogno di acqua e di vestiti puliti prima di congelarsi. Ad un certo punto sente in lontananza il rumore di alcune auto che arrivano a tutta velocità per il sentiero che sta costeggiando. Si nasconde dietro alcuni alberi, il cuore che batte all'impazzata, lo sente nel cervello e ad un tratto il suo mal di testa sembra passare in secondo piano per la scarica di adrenalina che ha ricevuto. Ci è mancato poco. I suoi piedi sono troppo feriti per camminare ancora nel terreno, la stanchezza che gli toglie tutta la forza di volontà di proseguire, il terrore di essere sorpreso che gli paralizza i muscoli. Sa che non può camminare ancora su questo sentiero ma ancora una volta non altra fottuta possibilità. Aspetta ancora riposando dietro l'albero, i nervi sull'orlo di una crisi isterica, ma non sente più alcun rumore. Non si sente particolarmente fiducioso di avere ancora fortuna. A quanto pare non si tratta di un paese abbandonato, anche se l'ha sperato vista la sua piccola grandezza. Da quando è incominciata l'epidemia di febbre e le persone hanno iniziato a morire come mosche avvelenate da insetticida, la frenesia e il caos si erano scatenati. Tutti stavano cercando di abbandonare le città più grandi per paura del virus, saccheggiando e distruggendo qualsiasi cosa si frapponesse al loro percorso. Il fetore della morte era qualcosa che non avrebbe mai più potuto dimenticare. Cadaveri erano stati accatastati dai militari e focolari a cielo aperto erano stati imbastiti in fretta e furia per cercare di contenere i contagi. Nulla era stato utile e gli stessi militari con l'equipaggiamento antisommossa e le maschere antigas si erano ammalati o erano stati uccisi dai familiari delle vittime che inascoltati cercavano di riprendersi i loro cari, il più delle volte ancora vivi e sottratti agli ospedali sull'orlo del collasso. Da quando il virus si era propagato oltre quattro settimane prima era stato per così dire graziato. Si era contagiato ed era rimasto incosciente per giorni nel suo appartamento nel delirio della febbre che gli imponeva di stare fermo e di vagare tra l'incoerenza dell'inconscienza e la rumorosità della coscienza dovuta ai rumori assordanti esterni. I pensieri che lo tormentavano senza fine, il rumore degli spari, la puzza della morte, il clamore assordante della gente che protestava e lo sferragliare del metallo che si accartocciava quando le macchine impattavano tra loro. Ricorda tutto come se fosse un incubo. Un incubo, talmente orribile, da pregare che fosse solo tale e non realtà.
Quando si è sentito in grado di alzarsi e si è affacciato dalla finestra della sua camera da letto, la città in cui viveva era quasi completamente distrutta, ma la cosa che lo terrorizzava era vedere come certa gente iniziava ad impazzire e a sparare a tutti quelli che si aggiravano per paura del contagio e soprattutto nella frenesia di accumulare risorse. Si vergogna di ricordare i momenti successivi, il pianto isterico, l'impossibilità di chiamare i suoi familiari, la corrente andata e la mancanza di risorse per sopravvivere e la straziante paura di morire solo, non ricordato. Viveva al quinto piano di un elegante condominio quasi al centro della città, nelle zone più ricche e mondane. Le sue possibilità di scappare erano quasi nulle. La città era pattugliata strettamente da militari, barricata senza vie di uscite. Ha aspettato per una settimana il momento migliore per scappare, analizzando i tempi di pattugliamento e cercando di sopravvivere rubando cibo e acqua abbandonati negli altri appartamenti vuoti. Ce ne erano quattro per ogni piano e lui era all'ultimo. Doveva sbrigarsi ad andarsene perché aveva sentito due guardie parlare dell'infame lavoro di dover rovistare negli appartamenti di tutta la città. Aveva paura di essere sequestrato e ucciso ed era l'unico ad essere rimasto nel condominio. Ogni piano non era sigillato ed era aperto sulla tromba delle scale vicino agli ascensori. Questo significava che solo il portone principale e la sua porta d'ingresso lo difendevano da invasori. Di notte il pattugliamento era più serrato ma era il momento il cui di solito usciva per trovare cibo negli altri appartamenti. Aveva trovato un piede di porco nella cassetta degli attrezzi del custode al primo piano ed era stato relativamente facile scassinare le porte. Non aveva trovato nessuno. Poi si era deciso ad andarsene. Aveva sentito degli spari solo in qualche strada più avanti del suo condominio. Sapeva che aspettare un altro giorno gli sarebbe costata la vita. Prese uno zaino e lo riempì con una coperta di pile sottile, accendino, due coltelli, uno nascosto in tasca e l'altro in mano, pochi averi personali, cibo e acqua. Non poteva portare altro perché il peso lo avrebbe ostacolato. Non aveva nemmeno vestiti di scorta dal momento che decise che se ne sarebbe preoccupato solo se fosse riuscito a sopravvivere.
Decise di uscire dall'entrata posteriore quella che conduceva ai garage sotterranei. Dalla finestra della sua camera da letto vedeva che da lì avrebbe potuto scavalcare il muro per spingersi fino all'area più a sud dove c'erano gli accampamenti dei militari. Era un suicidio passargli accanto ma era l'unica possibilità per raggiungere il bosco. Andare dalla parte opposta verso le strade secondarie che portavano ai raccordi con altre strade per raggiungere altre città era impossibile perché pattugliati 24 ore su 24. Ed era così che era riuscito a scappare. Era appena il tramonto quando aveva scavalcato il muretto e si era nascosto tra le ombre dei vicoli che portavano verso sud. Era anche vero che era stato fottutamente fortunato quando si erano sentiti degli spari a nord e lo stridìo assordante di metallo che impattava, di qualcuno che aveva forse cercato di sfondare la barricata per scappare. I militari erano accorsi e pochissimi erano rimasti nella base, consentendogli di sgattaiolare e costeggiare la base, un'ex scuola superiore, per arrivare ai vicoli più lontani e vicini al bosco. Poi da lì non si era più fermato. Aveva camminato incessantemente per tre o quattro giorni per paura di essere seguito non fidandosi di riposarsi nemmeno per qualche minuto. Aveva cercato rifugio in casolari abbandonati come quello che aveva lasciato un'ora prima, non essendo certo che le case di campagna non fossero abitate da gente ostile e pronta ad ammazzarlo e saccheggiando le auto. Ritornando al presente si chiese chi ci fosse in quelle due auto che aveva appena visto passare. Erano persone che scappavano dalla quarantena? Doveva supporre che i militari avessero preso in ostaggio gli abitanti del paese? O era solo gente comune uscita per cercare provviste? Ogni domanda senza risposta era sconfortante. Questo voleva dire in ogni caso che sarebbe stato quasi impossibile trovare cibo e acqua facilmente. Arrivato al limitare del paese vede diverse recinzioni di case che costeggiano il bosco. Ancora una volta non si fida di chi ci potrebbe abitare, quindi decide di aspettare il buio per avventurarsi. Dopo cinque ore di snervante attesa in cui non si è concesso nemmeno di dormire un po' finalmente è sera. È tutto buio, non c'è elettricità e la sua torcia è scarica ma la luna è luminosa e sembra guidare i suoi passi. Nota che tutto è silenzioso, non ci voci o rumori di qualcuno che potrebbe abitare lì. Ad un certo punto vede del fumo uscire da un comignolo di una villetta poco lontana. È sicuramente abitata. Il calore delle fiamme sembra così confortante ma è rischioso avvicinarsi. Vede un negozio di alimentari. La porta sembra aperta e probabilmente è già stato tutto depredato ma deve tentare. Silenzioso si aggira tra gli scaffali vuoti, i sensi in costante allerta. È libero ma vuoto come supponeva. Si siede tra gli scaffali. Lo sconforto aumenta e ha paura che qualcuno lo abbia visto entrare e che gli spari senza remissione di peccato. Passano i minuti e non sa ancora cosa fare. Inizia a piovere. All'inizio è solo una debole pioggia ma poi diventa battente. Almeno è all'asciutto per ora, pensa. Mentre lo sguardo vaga per il negozio vede uno scaffale rovesciato. Nella frenesia dell'evacuazione qualcuno deve averlo urtato ed è caduto. Si avvicina e lo solleva. Fa molto rumore e ha paura ma persiste e spera che la pioggia copri le sue tracce. Sotto non c'è quasi nulla. Trova un singolo accendino e un pacchetto di cereali, mezzo sversato. Di quelli per fare il musli. Inizia a sgranocchiarli, sono stantii, mentre contemporaneamente prova a far funzionare l'accendino. Sembra inutilizzabile, così lo lascia a terra. Il paese sembra disabitato a parte il debole fumo che ha visto. A mano a mano che passano le ore sembra che il fuoco si stia spegnendo come se la legna fosse finita o come se qualcuno non abbia continuato a ravvivarlo. La pioggia è terminata improvvisamente come era iniziata. Pensa che forse non c'è nessuno in quella casa. Forse le persone che aveva visto nelle auto abitavano lì ed erano scappate. Mentre è ancora buio decide di avvicinarsi. Pian piano con il favore delle ombre arriva lì. Sbircia dalle finestre. C'è un materasso accanto al fuoco che si sta spegnendo. Coperte sono appallottolate sullo stesso e non sembra esserci nessun altro al piano superiore. Cercando di non fare rumore si avvicina alla porta sul retro. È aperta e sbatte leggermente a causa del vento. Entra in casa, il coltello strettamente in mano. Non vuole uccidere ma nemmeno farsi ammazzare. Guarda velocemente il piano inferiore e non sembra esserci nessuno. Sale le scale e controlla il piano superiore. È vuoto. Decide di perlustrare meglio il piano di sotto nel timore che qualcuno si sia nascosto sentendolo salire le scale. Appena si avvicina al camino sente un lamento. Il coltello alto e i sensi all'allerta. C'è qualcuno sotto tutte quelle coperte. Con un piede le calcia, pronto ad attaccare. E poi si ferma. L'odore che lo circonda. C'è un esile ragazzo in preda alla febbre ed è un omega.
STAI LEGGENDO
Ti sogno all'improvviso
Romance/James/ Si sveglia con un gran mal di testa. Sono passati appena pochi minuti da quando ha chiuso gli occhi, ma gli sembra che siano passate ore. È infreddolito. Ha la nausea. I vestiti leggeri si sono appiccicati alla pelle completamente umidi e...