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L'omega è delirante in preda alla febbre, il volto bianco quasi trasparente e il corpo racchiuso in abiti così larghi che poco nascondono la sua magrezza in ogni caso. Si abbassa per osservarlo meglio e un odore ricco ma debole gli risveglia i sensi avvolgendolo. Si tratta di cioccolato fuso fondente con una sfumatura calda primaverile, come in un campo di fiori soleggiato che sbocciano per la prima volta al suono degli uccellini che cantano. Non sa descriverlo ed è la prima volta che lo percecisce. Gli tocca la fronte ed è così calda ed così sudato ma tremante. Gli si stinge il cuore. È solo e ha bisogno d'aiuto. È lui stesso infreddolito ancora un po' umido di sudore per aver camminato per così tanto tempo e puzzolente. Si guarda intorno nella stanza. È come se qualcuno abbia sperato fino all'ultimo che il ragazzo si potesse riprendere dalla malattia e si sia premurato di lasciargli tutto ciò di cui avrebbe potuto aver bisogno. O almeno immagina che il motivo sia quello. C'è un barile d'acqua pieno di quelli dove si conserva il vino, tanto cibo inscatolato sul mobile di fronte al materasso e una piccola bacinella d'acqua accanto al corpo dell'omega. Sembra essere stato tutto lasciato per lui. Forse quelle auto erano della famiglia dell'omega che stava scappando per timore del contagio.
Potrebbe prendere tutto e scappare, a nord come si era ripromesso.
Lasciare l'omega morente lì.
Dovrebbe farlo subito per timore di ricontagiarsi.
Si avvicina al tavolo.
Con quelle provviste potrebbe sopravvivere per due settimane, o forse di più se sta attento a razionarle.
Sente un lamento delicato alle sue spalle.
Afferra il cibo.
Può farlo.
Deve farlo.
Deve fottutamente farlo.
Deve maledettamente andarsene subito.
Se la famiglia dell'omega non ha avuto scrupoli ad abbandonarlo perché lui dovrebbe farsi venire pensieri compassionevoli? Nessuno ha mai avuto pietà di lui nella sua fottuta vita.
Merda. Impreca tra sé.
Non è un fottuto bastardo.
No. È un fottuto idiota.
Lascia il cibo e si avvicina all'omega di nuovo. Butta il suo zaino a terra freneticamente e lo apre. Aveva tenuto per sé quest'ultimo blister di antibiotici. Era l'ultimo che teneva nell'appartamento e che aveva afferrato prima di scappare precipitosamente. Merda. Merda. Merda, pensa.
Se lo spreca per l'omega e muore è fottuto.
Se l'omega guarisce ma lui si ammala è pur sempre fottuto.
Ma se non lo aiuta sente che non riuscirebbe a perdonarselo.
Versa un bicchiere d'acqua dalla brocca lì vicino, forza l'omega ad aprire la bocca e insieme a versargli pillola e acqua in gola. La pillola cade e l'omega tossisce. Vorrebbe gridare e spaccare tutto. Ci riprova e poi alla fine quando ormai ha perso le speranze riesce a ficcargli in gola quella fottutissima pillola. Merda. Merda. Ancora merda.
Ora deve assisterlo come l'idiota fottuto/ infermiera che è diventato in quel preciso momento. Per tutta la notte cambia e bagna la pezza sulla fronte dell'omega. Non sembra ci siano cambiamenti e il tempo si trascina perennemente inconcludente. I suoi pensieri riprendono a vagare. L'ansia che gli logora i nervi già tesi.
Spera che l'antibiotico faccia effetto. Spera che non muoia.
Non vuole vedere più nessuno morire. Nemmeno questo ragazzino.
È sull'orlo di una crisi isterica, ma continua a prendersi cura di lui.
Passa il tempo, ormai ha perso la cognizione.
Ravviva il fuoco, fa un giro nervoso per la stanza, cerca di guardare fuori dalle finestre all'esterno e poi si prende cura dell'omega.  I sensi all'allerta come sempre. Ancora e ancora e ancora.
E poi finalmente si sdraia, accanto a lui quando è ormai iniziato ad albeggiare, la febbre sembra che sia leggermente scesa e lui è talmente esausto che non si regge più in piedi, gli occhi secchi e stanchi.
Non vorrebbe invadere lo spazio dell'omega ma non può lasciarlo solo nel caso succedesse qualcosa. È quello che si ripete ma in cuor suo sa che la verità è che si sente così bisognoso di affetto, dopo così tanto tempo in solitudine e con la paura della morte costante, con il solo tremendo desiderio di poter stringere un corpo caldo, di poter placare il gelo che gli attanaglia il petto. E così fa e dormono abbracciati per ore, fino a quando non è arrivata di nuovo la sera ed è il momento di dargli un'altra fottutissima pillola e di continuare a tenere idratato il ragazzo.
Per tre giorni lo assiste mangiando il minimo indispensabile delle scorte sul tavolo perché si sente in colpa e non vuole approfittarsene.
Qualsiasi cosa accada.
Il quarto giorno c'è un cambiamento. La febbre è totalmente scesa, le guance dell'omega sono rosee e all'improvviso i suoi occhi si aprono.
Quando l'uomo si accorge che il ragazzo è  finalmente sveglio, si avvicina a lui, inginocchiandosi accanto al materasso. Si osservano per minuti interminabili.
"Sei sveglio." afferma ad un certo punto, sfinito dell'attesa e non sembra una domanda.
"Chi...dove...chi sei?" balbetta il ragazzo confuso, ancora sdraiato. È ancora troppo debole ma ha gli occhi di un guerriero e l'alfa l'ha capito dalla prima volta che il suo sguardo si è posato su di lui.
" Sono James. Ti ho trovato in preda alla febbre, qui. Da solo. Ti ho dato delle pillole di antibiotico per aiutarti. È il quarto giorno da quando ti ho trovato." spiega.
L'omega non risponde e si rannicchia in posizione fetale. Non sa se ha la forza di alzarsi. L'uomo ha paura di averlo scioccato e che entri in una spirale di frenesia da abbandono. Si avvicina a lui e pian piano gli tocca una guancia. Teme che il ragazzo si ritragga impaurito e invece lui si preme leggermente in risposta, in cerca di calore. E poi all'improvviso sono abbracciati. Il primo vero abbraccio consapevole tra i due. Il collo del ragazzo è spinto sul suo di uomo, le braccia che si stritolano a vicenda. Per la prima volta da tempo si sente anche lui a casa. Si sente in pace.
Dopo quelle che sembrano ore e invece sono solamente pochi minuti riescono a lasciarsi andare.
"Non avere paura. Cercherò di proteggerti, se lo vorrai." sussurra.
"Non ho paura. Non sono un omega debole." dice e alza il mento con orgoglio.
"Non l'ho mai detto. Hai sconfitto la malattia e quindi sei un grande combattente." lo rassicura.
"Non sarei qui senza le tue medicine...io solo..." si intristisce.
"Come ti chiami? Cosa è successo prima che io arrivassi? Con chi eri? Ho visto due auto andarsene mentre stavo per arrivare in città. Erano i tuoi genitori?" chiese.
"Mi chiamo Erle. Non è successo niente. A parte l'epidemia. Ero qui da solo. Tutto quello che ho qui l'ho racimolato dalle case qui intorno e dai pochi negozi in paese. Questa è casa mia. O meglio ci abitavo con mia nonna ma è morta anni fa. Quando è scoppiato il contagio mi sono nascosto qui e poi ho cercato cibo e accumulato acqua dal pozzo della casa per giorni fino a quando sono rimasto l'unico in paese."
"Non sei un po' troppo giovane per abitare qui da solo da anni?"si sorprese.
"Ho 24 anni, non sono poi tanto piccolo. I miei zii abitano...abitavano a due case di distanza da qui. Hanno cercato di convincermi ad andarmene ma non ho voluto. Sto aspettando qualcuno."
"Capisco...quindi quelle macchine erano di altre persone che abitavano qui o comunque dei tuoi zii, suppongo." cercò di capire.
" Perché ti interessa? Tanto ora sono solo!" grida e si alza, cercando di scappare al piano di sopra. Ad un tratto non riesce a sopportare la vista del bel alfa e le sue domande incalzanti. Non vuole dare risposte. Si sente esausto e non sa cosa fare, la frustrazione che cresce di nuovo.
" Ehi ragazzo, fermati! Fammi spiegare!" riesce a fermarlo sulla soglia dei primi gradini, toccandogli il braccio piano.
L'omega ha le lacrime agli occhi, non rifiuta il tocco ma non si gira, vergognandosi e sentendosi nauseato e intristito insieme. È un ammasso di emozioni contrastanti, con la debolezza nelle ossa e nei muscoli sempre presente.
" È importante perché c'è gente pazza là fuori. Militari che prelevano le persone per ammazzarle e pazzi che uccidono per il gusto di farlo. Voglio solo capire se quelle persone stavano scappando per paura del contagio o se i militari ci stanno raggiungendo. E possibilmente da quale direzione stanno arrivando. Capisci? Ti prego di aiutarmi a studiare un piano d'azione, perché se è vero quello a cui sto pensando dovremo andarcene subito di qui." supplica l'alfa.
" Non lo so. Te lo giuro. I miei zii se ne sono andati da tempo e non ho idea di chi fossero quelle persone. Sono qui da tempo da solo. E in ogni caso io non mi muovo di qui."
" Perché non vuoi andartene? È carino qui e mi piacerebbe davvero restare se fosse sicuro ma ti assicuro che se quei militari dovessero mai venire qui neanche tu ne saresti entusiasta. Non hai visto quello che fanno alle persone. Soprattutto agli omega come te."
" Ho promesso che avrei aspettato la mia sorellina. È con i suoi genitori adottivi. Ero troppo giovane per adottarla, non avevo un buon lavoro e la nonna era morta da poco. Le ho promesso che saremmo tornati insieme." scoppia in lacrime, si gira finalmente, fronteggiando l'alfa, mostrandogli i suoi occhi azzurri da guerriero ancora una volta.
" Dov'era tua sorella?" chiede stringendolo in un abbraccio. Capisce il tormento del ragazzo, perché sono gli stessi sentimenti che lo stanno dissanguando da settimane, ma non possono perdere la lucidità proprio ora. Sono troppo esposti. Troppo vulnerabili.
"Non ricordo. Va bene? Si erano trasferiti da pochi giorni in questa città,  me l'hanno detto durante una chiamata e avrebbero dovuto venire a trovarmi una volta sistemati, quando all'improvviso è scoppiata questa dannata epidemia e la corrente è saltata e io non ho più ricevuto notizie. Ricordo solo che lei si trova in una città a 100 km di distanza da qui, un piccolo paesino a sud."
" Quella zona è sotto quarantena ora e io vengo proprio da lì. Tutto nel raggio di km è stato sequestrato e ci sono barricate ovunque. Non credo siano lì e se lo erano, oramai non ci sono più."
" Tu non sai proprio un bel niente! Loro devono essere ancora lì! Altrimenti sarebbero già qui!" grida e si stacca dall'abbraccio.
" Ehi ragazzo, tranquillo, non volevo farti agitare. Può essere che se ne siano andati, magari in un'altra direzione, ma  la strada è sbarrata. Forse loro si trovano in un punto più sicuro a est o ovest e non possono raggiungerti." cercò di farlo ragionare.
" A maggior ragione devo aspettare qui."
" Non possiamo farlo. I militari stanno salendo a nord e a sud la strada è sbarrata. Te lo ripeto. Dobbiamo andarcene presto, ancora più a nord, possibilmente sulle montagne. Trovare una baita isolata o qualche comunità di gente sopravvissuta dove aspettare che tutta questa merda finisca."
" Noi? Tu! Se vuoi, puoi andartene dove credi...ti ringrazio di avermi aiutato ma il tuo mandato è finito qui. Sei libero. Puoi prendere metà delle scorte per ringraziamento."
" È una pazzia rimanere qui. Lo vuoi capire? Non abbiamo molto tempo..."
" Vattene! Vattene! Vattene! Non sei il primo a lasciarmi e nemmeno voglio che tu sia qui! Lasciami in pace!" urla e va via, probabilmente nella sua stanza al piano di sopra.
James ha i nervi a fior di pelle. Si strofina gli occhi con un gesto violento, la stanchezza di settimane che si fa sentire e poi decide che è meglio uscire e andare ad esplorare.
Ha bisogno di capire se c'è un punto strategico per osservare gli accessi alla città.
Ha bisogno di rassicurarsi che sono al sicuro pur al momento.
Non può restare un minuto di più qui a farsi maltrattare da un fottuto ragazzino. Non quando ha rischiato la vita per lui e non ne è minimamente riconoscente.
È ora di mettersi all'opera.

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