Capitolo 6: Il Risveglio dell'Oscurità

11 3 7
                                    


Non era stato via per molto, ma gli sembrava di essere passato attraverso un'eternità. L'incontro con Nyx, la profezia, il Doppio: tutto era irreale, spaventoso. E ora doveva raccontare tutto ai suoi amici, sperando che avrebbero capito, che avrebbero potuto aiutarlo.

Attraversò il cortile della scuola con il cuore che batteva forte, ma c'era qualcosa di strano, di sinistro, nell'aria quella mattina. L'istituto, solitamente gremito e pulsante di vita, era insolitamente silenzioso. Nessun vociare che rimbalzava tra le pareti. Solo un silenzio opprimente, quasi irreale.

Si fermò di scatto al centro dell'atrio, sentendosi osservato. C'erano solo le pareti grigie e le porte chiuse delle aule, come bocche sigillate pronte a rivelare segreti. Con un gesto nervoso ne aprì una; nessuno, era vuota. Allora provò con un'altra, vuota anche quella.

Il panico iniziò a farsi strada nel petto di Marco, il cuore in gola. Ogni passo sembrava più pesante, le gambe quasi cedettero mentre avanzava nei corridoi completamente deserti. La luce filtrava dalle alte finestre in una tonalità livida, e il silenzio era così totale da fargli ronzare le orecchie. Era come se la scuola fosse rimasta congelata in una dimensione estranea, sospesa fuori dal tempo.

Con un moto di disperazione, infilò una mano nella tasca e tirò fuori il cellulare. Doveva chiamare Sara, Giulia, o Luca, qualcuno. Qualcuno che gli dicesse che andava tutto bene.

Sbloccò il telefono e guardò il display. Niente. Nemmeno una tacca. La batteria piena e il simbolo del segnale assente gli facevano venire i brividi. "Ma che diavolo...?" sussurrò, stringendo il cellulare in un pugno quasi tremante.

Provò a richiamare Sara, senza successo. Il telefono rimase muto.

Si guardò intorno, sentendosi stranamente esposto. Era come se un milione di occhi invisibili lo stessero osservando.

Poi qualcosa attirò la sua attenzione: i muri erano tappezzati da poster. Sgranò gli occhi. Era lui, un misto di eccitazione e follia lo travolsero. La figura stampata sui manifesti, con il sorriso smagliante e gli occhi brillanti, sembrava irradiare un'aura di carisma a cui era impossibile resistere, "wow!" esclamò.

I corridoi risuonavano del suo nome, sussurrato in un reverente mormorio che aleggiava nell'aria. Marco si fermò, incredulo. Non si era mai sentito così distante da se stesso, eppure così intimamente connesso a quella proiezione di vita.

Quello che aveva sempre desiderato si era avverato, qualcosa che era talmente sopito nei suoi sogni da non volerlo nemmeno provare ad immaginare, non era più invisibile, al contrario, era più che popolare, lui era venerato e adesso tutto questo era improvvisamente reale.

Sui poster, Marco era rappresentato in pose eroiche, avvolto da un'aura di gloria. Ogni immagine sembrava raccontare una storia di avventure impossibili e trionfi, come se fosse diventato il simbolo di una nuova era, un faro di speranza in un mondo altrimenti grigio. Dopo l'eccitazione iniziale Marco si sentì schiacciato da una strana sensazione di inadeguatezza, schiacciante, soffocante.

"Bastava così poco, potevo essere questo..." pensò, mentre una fitta di ansia gli attanagliava il petto. Cosa significava tutto ciò? I suoi compagni di scuola lo idolatravano, ma non per chi era realmente. Veneravano un'immagine idealizzata, un riflesso distorto e oscuro della sua essenza, qualcosa che Marco stesso era venuto a distruggere, eppure, non faceva che guardare i poster pensando a quanto il suo clone fosse migliore di lui e che forse era più giusto che prendesse il suo posto; se lo meritava di più.

Si sentì un estraneo nella sua vita, perso in un labirinto di specchi, oppresso dalla sensazione di fallimento. Forse quello era il modo migliore per essere qualcuno, essere visto... forse Sara lo avrebbe finalmente amato.

Le cronache di NoxhavenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora