Capitolo 5 - Un tirannosauro in smoking

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Teo

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Teo

Non era tanto per la grossa macchia marrone che continuava ad espandersi inesorabile sulla mia maglietta bianca, né per il fatto che il caffè bollente mi avesse causato una probabile ustione di primo grado sul petto. Ciò che più mi provocava irritazione era che davvero avevo avuto uno scontro-incontro quella mattina - e non con una donna soltanto, ma con una donna e mezzo – e l'idea che, per l'ennesima volta, Amanda avesse avuto ragione con la storia del suo stupidissimo oroscopo, ecco, io quello non potevo proprio accettarlo.

«Fa' attenzione, cazzo!» me la scrollai di dosso con eccessiva foga, allontanandola da me con una spinta brusca.

Il vassoio con il suo intero contenuto piombò a terra e il frastuono provocato dal tripudio dei cocci rotti ammutolì per qualche istante il rumoroso vociare mattutino dell'affollato locale. Gli sguardi interessati dei presenti mi strisciarono sulla pelle facendomi sentire stranamente esposto, ma fu l'espressione spaventata e confusa della bambina tra le esili braccia di Mina a provocarmi un'inaspettata sensazione di vuoto all'altezza della stomaco.

«Scusami» bofonchiai, avvicinandomi a loro con passi incerti.

Insomma, era chiaro che non mi fosse caduta addosso di proposito, era palesemente inciampata e io avevo avuto una reazione più che esagerata. Mi ero comportato da gran maleducato e mi sentivo abbastanza in colpa.

«Vi siete fatte male?» continuai, nel goffo tentativo di riparare al mio atteggiamento di poco prima.

Mi aspettai che si scusasse per l'incidente o che mi urlasse addosso qualche insulto colorito, invece compì un gesto che, in un certo senso, mi ferì. Strinse più forte la piccola al suo petto mettendole una mano sulla testolina riccioluta, come a volerla proteggere da me, mi trafisse con uno sguardo gelido e, senza degnarmi di una sola parola, mi sorpassò per dirigersi fuori dalla caffetteria.

La osservai sfilare decisa davanti alla luminosa vetrata, attraversare la strada e puntare verso quello che Amanda mi aveva indicato come uno degli addetti al complicato impianto elettrico dell'Incanto. Parlottarono animatamente tra di loro per alcuni minuti, gettando di tanto in tanto lo sguardo nella mia direzione, poi lei, dopo averle stampato un tenero bacio sulla fronte, consegnò al ragazzo la bambina e tornò nel locale a passo di marcia, evitando accuratamente di passarmi accanto. Si sistemò velocemente dietro il bancone e riprese a lavorare come se nulla fosse accaduto, con un sorriso cordiale e disteso stampato sul suo viso bellissimo.

Io rimasi lì ciondolando da un piede all'altro come un perfetto idiota, continuando a fissarla senza ritegno per un tempo che mi parve infinito. Mi chiesi come potesse una persona capace di uno sguardo tanto duro e glaciale, sfoderare poi una così spudorata dolcezza nell'arco di qualche minuto.

Mentre il chiacchiericcio nella caffetteria tornava a farsi prepotente e a coprire il flusso dei miei pensieri sconclusionati, impedendomi di darmi delle risposte che fossero quantomeno soddisfacenti, i miei occhi si poggiarono sulla macchia scura che ormai ricopriva gran parte della mia maglietta. Dopo aver lanciato alla ragazza un'ultima sbirciatina furtiva, ovviamente non ricambiata, mi affrettai ad uscire da quel posto che stava diventando davvero troppo affollato e caotico.

E se domaniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora