Sofia

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Torno a casa molto tardi. Credo che tutti siano a letto. Cerco di fare il meno rumore possibile. Ma quando passo vicino allo studio di papà, sento delle voci. La porta è leggermente aperta, e la curiosità è tanta, ma non voglio problemi. Tuttavia, decido di avvicinarmi e dare un'occhiata con cautela. Mio fratello Leo e papà sono presenti, mentre lui è al telefono.

"Ti ho detto che il potere di Cesar sta calando. I messicani sono pericolosi. La settimana prossima ho un incontro con Rodrigues. Se troviamo un accordo, sono favorevole a un alleanza." Di cosa sta parlando? Chi è Cesar? E i messicani? In cosa è coinvolto mio padre? 

"No... Donald, la mia lealtà è evidente... Sì... certo... ti do mia figlia..." Porto una mano alla bocca per soffocare un urlo. Leo si gira verso la porta, ma riesco ad allontanarmi velocemente e a salire le scale. Appena entro nella mia stanza, mi chiudo in bagno. 

Le lacrime mi bagnano il viso. È doloroso rendersi conto che anche il tuo genitore, quello che dovrebbe proteggerti, ti offre come garanzia. Come se fossi un oggetto, non un essere umano nelle vene del cui scorre il suo stesso sangue. È doloroso prendere coscienza che anche l'unico genitore rimasto non prova amore per te. A nessuno importa di me. Dei miei sentimenti, della mia sofferenza. Come può un padre vederti solo come uno strumento per raggiungere i suoi obiettivi? E mio fratello, può davvero essere così insensibile da non reagire? Chris avrebbe reagito? O forse anche lui non ha la forza di opporsi a papà? Questi pensieri non fanno altro che aumentare le lacrime che mi rigano il viso. Sono destinata a lottare da sola. Ma meglio morire che sposarmi con lui. Dal momento che a nessuno importa di come mi sento, perché dovrei sacrificarmi per i loro obiettivi? Mi alzò ed entrò sotto la doccia, per allontanare quella sensazione opprimente che mi soffoca. La pecora nera si sta preparando al sacrificio. Ma giuro che non succederà. Piuttosto sacrifico me stessa prima che siano loro a sacrificarmi per i loro scopi. Devo scoprire di più su cosa si nasconde dietro tutto questo. Donald lo odio con tutta me stessa. Mi viene disgusto solo a pensare a lui.

Dopo la doccia, mi sdraio per dormire, ma faccio fatica ad addormentarmi.

La mattina arriva molto presto, e le occhiaie sotto i miei occhi mi spaventano. Mi preparo il più velocemente possibile per uscire di casa prima degli altri. Non voglio vederli perché so che non riuscirò a trattenermi e reagirò. Visto che è presto, decido di andare al Mid-Park sulla 66th Street, dato che è vicino al lavoro. Al mattino è pieno di persone che fanno jogging e di visitatori come me che si siedono su una panchina a godersi il verde. Metto le cuffie nelle orecchie e mi siedo su una panchina, da sola. Chiudo gli occhi, alzò il viso verso il sole e mi godo qualche minuto di tranquillità, liberando la mente dai pensieri negativi. Ma non dura molto. Qualcosa mi blocca il sole e mi costringe ad aprire gli occhi. Vin è davanti a me, con tutto il suo aspetto maestoso. Anzi, direi più che maestoso. Vestito con abiti sportivi e sudato, oserei dire che sembra un'altra persona. I capelli disordinati e il respiro affannato mi fanno pensare che sia stato a correre.

"Cosa fai qui a quest'ora?" mi chiede seriamente. Ora mi chiede spiegazioni?

"Quello che fa chiunque in un parco," gli rispondo fredda. Non ho voglia di discutere così presto.

"Ok." Vedo che improvvisamente si siede accanto a me sulla panchina. Lo guardo sorpresa. "Cosa stai facendo?"

"Quello che fa chiunque in un parco," mi risponde allo stesso modo.

"Ascolta, ho dormito pochissimo, la mia mente sta per esplodere dai pensieri, per favore non aggiungerti alla lista. Oggi non è giornata." Il suo sguardo si incupisce, e vorrei tanto sapere cosa sta macinando nella sua testa.

"Nick non ti ha soddisfatta abbastanza?" Ok, ora ha esagerato. Mi alzo, infuriata, dalla panchina.

"Che ti importa, eh? E poi come osi chiedermi una cosa del genere?" Anche lui si alza in piedi e mi afferra per il braccio, senza fare pressione.

"Non rivolgerti a me in questo modo. Che c'è? Non ti ha soddisfatta abbastanza? Non te lo sei goduto come con me?" Uno schiaffo involontario finisce sul suo viso. Lui serra la mascella ma non reagisce.

"Anche se fosse come dici tu, non dovrebbe importarti." Una lacrima mi scivola dall'occhio, ma la asciugo in fretta. Tolgo il braccio dalla sua presa e mi avvio di corsa verso l'ufficio, lasciandolo lì. Non tenta di fermarmi o di chiedere scusa. Ancora una volta nella mia vita, ho confermato che a nessuno importa se le parole mi feriscono o no. Comunque, sono abbastanza forte per andare avanti da sola. Non ho bisogno di nessuno. Ma le sue parole mi hanno davvero ferita. Non so perché quell'uomo abbia tanto potere su di me.

Con questi pensieri, arrivo in ufficio per prima e inizio a lavorare, così da non avere il tempo di pensare.

Tame my heartDove le storie prendono vita. Scoprilo ora