Davide. Un mese prima. Settembre.
Alla fine, Valeria è riuscita a farmi ritornare a casa. Un pomeriggio ho preso il mio sacco da box, i miei vestiti, la mia moto, e ho fatto ritorno nel luogo in cui avevo giurato che non avrei mai messo più piede. Mia madre abitava ad Ostia e il fatto di non averla tra i piedi mi sollevava, anche se sapevo che avrebbe continuato a sorvegliarmi come un mastino, soprattutto perché io non avevo intenzione di cambiare le mie abitudini, o meglio i miei vizi, per niente e nessuno.
Una sera, dopo essermi infilato una maglietta e un paio di cargo neri, ho raggiunto Luca a un rave in un capannone abbandonato vicino Ostia.
Le erbacce circondavano la strada sterrata, snodandosi nel radar di infiniti chilometri dominati dal buio pesto.
Fuori dal capannone si sentiva il rumore del mare e quello delle auto che percorrevano la superstrada.
Dentro era il caos. L'aria satura della puzza di alcol e fumo. Il piazzale polveroso che fungeva da pista da ballo gremito di gente e il soffitto illuminato dalle luci stroboscopiche accecanti.
Tutti muovevano i fianchi a tempo di musica. Il dj, ubriaco e strafatto peggio dei ballerini, continuava a mixare sintetizzatore, drum machine, chitarra acustica e ancora e ancora. Ininterrottamente. Senza fine. Diminuiva la velocità, l'intensità, la frequenza e poi l'aumentava sapientemente, sempre di più, fino al culmine dell'estasi.
Luca comprava la roba dal cinese, n'omo de sessanta anni che con la droga e le puttane ci aveva fatto i milioni.
Questo cinese io non lo conoscevo, ma secondo Luca era un tipo potente che a Roma valeva una cifra e che aveva ammazzato anche un sacco di gente.
Ci eravamo portati dietro la sua roba: cocaina, pasticche ed erba.
Metà ce la siamo sparata in un angolo. L'altra metà l'abbiamo venduta a delle tipe che non smettevano di scuoterci il culo e le cosce sode davanti agli occhi.
Dopo aver sniffato un paio di strisce di coca mi sono messo a ballare con una di loro che, rispetto alle sue amiche, sembrava più propensa a darmela.
Indossava un vestito cortissimo pieno di lustrini, paillettes e brillantini.
Ci ho ballato un paio di canzoni. Alla terza l’ho presa per mano e l’ho spinta fuori.
Mi girava così tanto la testa che per un attimo ho creduto che avrei perso l’equilibrio svenendo per terra.
Dopo qualche metro in cui abbiamo brancolato nel buio alla ricerca di un appiglio, siamo andati a sbattere contro un secchio della spazzatura. In silenzio, senza dirci una sillaba, ci siamo infilati la lingua in bocca, e quando l’ho messa a novanta contro il secchio, non ha fiatato.
Una fitta pungente di paura mi ha morso la pelle, dal bacino in giù. Le ho alzato il vestito e la fitta è diventata solo di piacere. Senza far tremare le mani, ho spostato di lato il suo perizoma e l'ho penetrata, dopo aver strappato con i denti il preservativo che avevo in tasca.
Ecco la mia prima volta, pensavo tra l’incoscienza. Ero convinto che sarebbe stata per amore, invece devo ricredermi.
Me la sono sbattuta in quel modo fino a venire. E mentre la penetravo contro quel cazzo di secchio, mi annullavo del tutto.
Annullavo me stesso.
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Destini Incrociati
Romance© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. **Destini Incrociati segue le vite di Elisa, una giovane pianista con un...