Davide. Un anno e mezzo prima. Marzo.
Io e Luca eravamo seduti sulla balaustra che costeggiava il pontile di Ostia accanto a piazza dei Ravennati.
Le onde del mare, alte e impetuose alle nostre spalle, si infrangevano contro la battigia per poi ritirarsi al largo verso il molo e prepararsi a un nuovo viaggio.
Si ci siamo accesi una sigaretta e abbiamo iniziato a fumarla in attesa dell'uomo, che è arrivato con più di mezz'ora di ritardo.
«Siete tutti due maggiorenni, ve'?» è la prima cosa che ci ha chiesto.
Sembrava un tipo serio, tranquillo, curato e sulla cinquantina. Non aveva per niente l'aspetto dello spacciatore, anche se la sua espressione era quella di uno che non era lì per scherzare.
«Che vòi, i documenti?» è scattato Luca. «O te fidi?»
Il tizio ha alzato un po' la voce. «Ehi regazzì, non è che non me fido. È che non ce finisco nei guai pe colpa de due pischelletti figli de papà come voi»
«E perché dovresti finì nei guai? Non è roba buona?»
«Oh, non me sfidà. È la migliore in circolazione. È meglio da' a redbull. Non te mette du' ali, ma quattro»
«Devi stà tranquillo» ho detto guardandomi intorno con circospezione. Quello non era né il luogo né il momento più opportuno per mettersi a fare discussioni inutili. Dovevamo chiuderla in fretta. «Ne abbiamo venti. Meglio conclude'»
L'uomo ha allungato verso di me la mano chiusa a pugno. «C'hai fretta d'andà in paradiso, eh, regazzì?».
«No, c'ho fretta d'andà all'inferno. Dal paradiso ce vengo e gli angeli proprio non li reggo»
Ho afferrato la bustina e me la sono messa in tasca mentre Luca, invece, infilava in quella dell'uomo una banconota da cento euro.
L'uomo non si è scomposto perché sapeva come funzionavano quelle cose. Era tutto calcolato. Bisognava muoversi con indifferenza e discrezione in modo da non destare sospetti; come se nulla di illegale stesse accadendo sotto gli occhi di centinaia di passanti e turisti.
Poi ha detto: «se ci venissi io dar paradiso vostro, lascerei perdere sta merda pe' diventà 'n pezzo grosso. Comunque bevete tanta acqua, ed evitate di fumarci sopra. Ah, e voi non m'avete mai conosciuto»
«Pòi dormì su sette cuscini»
Ci siamo infilati in macchina e Luca ha guidato fino a una vecchia fabbrica abbandonata nella zona periferica.
Una volta lì ho tolto la bustina fuori dalla tasca del giubbotto. «Davero m'hai fatto brucià mezza piotta pe sta cosa?»
"Sta cosa" erano due minuscole pillole gialle. Mi sembravano insulse.
Le studiavo accigliato, quando Luca ne ha afferrata una e l'ha mandata giù con mezza bottiglietta d'acqua.
«Mo che ta' a cali me ringrazierai»
Prima di strappargli dalle mani la bottiglietta d'acqua, l'ho fissato per qualche secondo come a volergli dire "me sò trovato n'amico deficiente come te, che cazzo c'ho da perde'?".
Poi, senza starci più a pensare, ho infilato la pillola in bocca e l'ho ingoiata.
Luca è ripartito e dopo qualche minuto, le pillole gialle hanno cominciato a fare affetto. A un certo punto mi sono sentito scoppiare il cervello, letteralmente.
A un tratto avevo voglia di muovermi, di ballare, di fare casino, di ridere. Non riuscivo a stare fermo.
«WOOOOOOOO. ADESSO SÌ CHE LO FAMO BALLÀ STO MOTORE»
Luca ha sorpassato un camion a 180 km/h. mentre la musica house martellava a tutto volume nelle casse stereo. Il contachilometri ha sfiorato i duecento, ma lui, anziché rallentare, ha continuato a premere il piede sull'acceleratore.
Io non lo incitavo di certo a rallentare. «Corriiiiiii Lù. Corriiiiiiiii» gridavo, ridendo.
«Woooooo, sìììì. Che t'avevo detto? Sta roba spaccaaaaaa»
«È na bombaaaaaaaa»
«SPACCAAAAAA DE BRUTTO, WOOOO»
In quel momento mi è squillato il cellulare. «Oh Lù, abbassa n'attimo» ho detto. «E rallenta. È mia sorella»
Luca ha abbassato.
Io ho risposto. «Dimmi»
«Dove sei?»
«Tutto ok?»
«Mamma e papà hanno litigato di nuovo. Puoi venire?»
«Merda!»
Luca mi ha accompagnato ed è sceso con me.
Valeria ci stava aspettando nel soggiorno.
Quando ci ha visto entrare ha sussurrato con un filo di voce: «Finalmente sei arrivato...»
«L'ha menata?» ho chiesto.
Valeria ha abbassato la testa e io ho capito tutto. Ho serrato i denti e i pugni. Mi erano uscite le vene sul polso e i muscoli, sotto il giubbotto, me li sentivo sul punto di scoppiare. Cercavo di mantenere la calma, ma era difficile. Avevo voglia di menare qualcuno. Avevo voglia di spaccargli la faccia a quel bastardo di mio padre.
«Dov'è?» Sono andato su per le scale.
Valeria mi ha seguito. Luca ha cercato di calmarmi e di afferrarmi per un braccio mentre mi inoltravo in ogni angolo della casa come un toro inferocito.
Il bastardo non era in cucina, non era nelle stanze da letto, non era nel bagno piccolo e neanche nello studio.
Non era da nessuna parte.
«'Ndò cazzo sta????? Dimmelo Valè»
Sono andato nell'altro bagno, l'unico posto in cui non avevo ancora controllato.
Ho abbassato il pomello più volte prima di arrendermi all'evidenza e di capire che la serratura era chiusa a chiave.
Così ho iniziato a sbattere i pugni contro la porta. «Apriii bastardoooo, apri. Altrimenti giuro che sfondo tutto.»
Ho alzato un piede e l'ho rotta con un calcio.
All'interno del bagno, però, non c'era traccia del bastardo. «Mamma?»
Valeria, dietro di me, ha tirato su con il naso. «Stavo per dirtelo, ma non m'hai dato il tempo. Lui non c'è. È uscito come una furia. Non penso ritornerà per oggi»
Mia madre si stava medicando le ferite davanti allo specchio.
Sono entrato, orripilato dai suoi occhi castani circondati da lividi. Sono entrato con la voglia di vomitare. Un pugno nello stomaco avrebbe fatto meno male.
Una donna splendida, ridotta in quel modo. Con quel sangue in faccia non sembrava neanche più lei.
«Mamma...» L'ho abbracciata. «Se non lo lasci, va a finire che l'ammazzo. Te lo giuro»
Avevo paura di romperla in pezzi ancora più piccoli di quelli in cui già era rotta. Sapevo che, in caso contrario, raccogliere i cocci e rimetterli al loro posto sarebbe stato impossibile.
Io dovevo limitare i danni. Dovevo tenere insieme la nostra famiglia.
Mamma ha appoggiato la guancia sulla mia spalla, mi ha messo le mani intorno al collo ed è scoppiata a piangere.
Le macchie di sangue ancora ci sono, su quel giubbotto. Nessun detersivo è riuscito a mandarle vie e io non l'ho mai più infilato. L'ho relegato nell'angolo più buio del cassetto, dove non arriva la luce.
Sono ritornato in soggiorno e anche Valeria stava piangendo, ma sul petto di Luca, il mio amico, un ragazzo che conosceva a malapena. Non ci aveva mai parlato, ma non era importante.
Ho pensato che se il mondo intorno a me stava crollando, non significava che dovessero crollare anche le persone.
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Destini Incrociati
Romansa© 𝗧𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗶 𝗱𝗶𝗿𝗶𝘁𝘁𝗶 𝗿𝗶𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝘁𝗶 (𝗔𝗹𝗹 𝗿𝗶𝗴𝗵𝘁𝘀 𝗿𝗲𝘀𝗲𝗿𝘃𝗲𝗱) Qualsiasi riproduzione dell'opera, totale o parziale, è vietata e punibile dalla legge. **Destini Incrociati segue le vite di Elisa, una giovane pianista con un...