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Vera arrivò alla stazione di Torino Porta Nuova alle 18 e 20, in orario. Rifiutò educatamente l'offerta di un ragazzo che voleva aiutarla con la valigia, in fondo ce la poteva fare da sola, pensò. Fece scivolare il trolley giù dalla cappelliera, l'abbracciò prima che precipitasse sulla testa della signora inanellata che sembrava non rendersi conto del potenziale pericolo, barcollò per un attimo e riuscì a posarla a terra. Una piccola vittoria, decretò soddisfatta, e scese dal treno.

Era una bella serata di settembre e l'aria era dolce. Iniziò ad arrancare verso l'uscita della stazione, trascinandosi dietro il bagaglio troppo pesante. Fece la coda, scalpitando, in edicola per comprare il biglietto dell'autobus, il tempo non passava mai ma finalmente arrivò il suo turno e riuscì nella sua missione. Un'altra cosa fatta, si disse. Se riusciva a concentrarsi sulle piccole cose sarebbe andato tutto bene. Come le aveva detto sua cugina Nicoletta un milione di volte: quando tutto sembra troppo grande e difficile e spaventoso, fai qualcosa di piccolo, diventa tu stessa piccola e procedi a piccoli passi, vedrai che in questo modo riuscirai ad arrivare lontano senza neanche accorgerti di come hai fatto! 

Vera si fermò un attimo per ringraziare l'Universo di aver mandato Nicoletta nella sua vita.

Uscì dalla stazione e aspettò l'autobus per un tempo infinito, ma riuscì a resistere alla tentazione di mangiarsi le unghie. Accanto a lei iniziarono a radunarsi persone, giovani e anziane, e Vera iniziò ad avere paura che non sarebbe mai riuscita a salire sul bus con il suo trolley sovradimensionato. Per fortuna, si rese conto che la maggior parte delle persone saliva su altri autobus, diretti chissà dove nella nuova grande città che sarebbe diventata la sua casa. Quando finalmente arrivò il suo autobus, riuscì a tirarsi dietro il trolley e a timbrare il biglietto. Iniziò subito a contare le fermate che la separavano dalla sua meta, ma si distrasse un attimo ad ammirare la sua nuova città e perse il conto.

"Perfetto" borbottò, sentendo di nuovo l'ansia che partiva dallo stomaco e arrivava alla gola.

"Se ti perdi chiedi al conducente" le aveva detto sua cugina, anche se avrebbe fatto meglio a dire "quando ti perdi": Vera non era mai riuscita a entrare in sintonia con google maps. Purtroppo, per raggiungere il conducente avrebbe dovuto attraversare un autobus sovraffollato con appresso quel mostro di trolley carico di vestiti, libri, computer, scarpe, saponi, creme e una scorta illimitata di filo interdentale. Decise di fidarsi del suo istinto. In fondo sapeva che l'appartamento a cui era diretta si trovava lungo la Dora Riparia.

Quando vide il fiume schizzò fuori dall'autobus quasi slogandosi una spalla per il peso del trolley, attraversò il ponte gettando qualche occhiata all'acqua che lambiva gli argini di pietra bianca e trovò senza intoppi l'indirizzo giusto. Miracolo? Il sollievo mutò in disappunto quando alzò lo sguardo sulla casa. Non era nelle migliori condizioni, l'intonaco era scrostato in più punti e i tendoni verdi parasole (o "para-inquinamento", come avrebbe scoperto più avanti) che pendevano flosci dai balconi davano un'impressione di trascuratezza. Ricontrollò. L'indirizzo era proprio quello giusto. Si lasciò sfuggire un sospiro, pensando alla bella casa di campagna degli zii, con le pareti di pietra, il portico e le piante aromatiche. Almeno c'era un piccolo cortile interno che separava le abitazioni dalla strada e il via vai di studenti dava al quartiere un'aria allegra.

Fece un respiro profondo e suonò il campanello della portineria, restando aggrappata all'enorme valigia come se potesse ancorarla a una sicurezza interiore che non provava. Il meccanismo scattò con un rumore sordo e il cancello si aprì cigolando. Vera avanzò sul vialetto, varcò il portone d'ingresso e si avvicinò timidamente allo sportello.

"Ciao, mi chiamo Vera Luminari, credo che Lucia Servadei mi stia aspettando" disse.

Di fronte a lei c'era un ragazzo molto carino. Castano chiaro, occhi verdi, lineamenti dolci. Probabilmente tutte le studentesse che vivevano nel palazzo gli sbavavano dietro. Improvvisamente le sembrò di ritrovarsi catapultata al liceo, con i ragazzi belli e popolari che non la degnavano neanche di un'occhiata. Vera trattenne a stento una smorfia. Non le piacevano i bei ragazzi, soprattutto quando avevano stampato in faccia quel sorrisetto sicuro di sé che diceva "Sì, lo so che mi desideri, vedrò cosa potrò fare per te." 

Tenne i muscoli del viso completamente immobili per nascondere le sue emozioni, e soprattutto per non fargli capire che lo trovava carino, poi pensò a sua cugina Nicoletta che le avrebbe detto di non essere così bacchettona e sciogliersi un po'. Dopo un attimo si accorse che il ragazzo la fissava con aria perplessa. Non aveva sentito una parola di quello che aveva detto.

"Come hai detto, scusa?" chiese, abbassando lo sguardo, imbarazzata.

Lui corrugò la fronte in un'espressione da calendario. "Sì, Lucia mi ha detto che saresti arrivata e ha lasciato un mazzo di chiavi per te. L'appartamento è al terzo piano, interno C1, prendi l'ascensore" disse con tono professionale. "Hai bisogno d'aiuto coi bagagli?" aggiunse dopo aver squadrato la valigia.

Vera smise di trattenere la smorfia. "No, grazie, è una questione tra me e lei" disse. "E comunque, nel caso te lo stia chiedendo, non ti trovo affatto carino."

Come al solito aveva detto la cosa peggiore possibile. Come se l'ansia del nuovo appartamento non fosse abbastanza, adesso avrebbe dovuto convivere con questa figuraccia per tutta la durata dell'università. Il portinaio aveva sgranato leggermente gli occhi e lei optò per un sorriso a trentadue denti, che sul suo viso tondo non riusciva troppo male. Non disse nulla per cercare di riparare al danno, fece dietrofront e marciò verso l'ascensore. Che figuraccia. Nicoletta l'avrebbe presa in giro per l'eternità. Ma Nicoletta non l'avrebbe mai saputo, realizzò un attimo dopo, con un groppo di nostalgia che le stringeva la gola.

In qualche maniera riuscì a coordinarsi e a entrare in ascensore tirandosi dietro la valigia. La sua irritazione era alle stelle. Perché doveva essere sempre così impacciata? Uscì al terzo piano e iniziò a cercare l'interno C1. Sulla porta era attaccato il disegno di un pentacolo con la scritta: L'antro della Strega, girare al largo.

Vera sorrise, anziché sentirsi intimorita, divenne improvvisamente più calma. Era l'ultima cosa che si si sarebbe aspettata, ma la fece sentire a casa. Senza mollare il manico del trolley bussò alla porta.

"Sì?" gridò una voce dall'interno. Non era come s'immaginava la voce di una strega.

"Mi chiamo Vera" disse, "Dovrei abitare qui."

Un attimo di silenzio.

"Hai la chiave, no?"

"Beh, sì, ho bussato solo perché..."

"Entra, dai! Non posso venirti ad aprire adesso."

Vera entrò, convinta di trovare la sua coinquilina chiusa in bagno, e si bloccò a metà di un passo. Il lato positivo era che la casa sembrava carina, la porta d'ingresso dava sul salotto con un grosso tavolo rotondo e vecchie librerie straripanti di libri su tutte le pareti. Quello che lasciava perplessi era la coinquilina.

Doveva essersi data molto da fare per spostare il tavolo a ridosso della parete, in modo da ricavare un grosso spazio vuoto al centro della stanza. Qui campeggiava un cerchio di polvere viola, con dentro un piccolo altare, candele, incensi e tutto il resto. Vera rimase immobile. Che cosa stava facendo la sua coinquilina? E che cosa avrebbe dovuto fare, lei? 

"Scusa se non ti ho aperto! E' che non posso uscire dal cerchio."

Vera cercò di mantenere la calma e non dare a vedere che si sentiva un po' in subbuglio. Non le poteva capitare una coinquilina normale?

"Sì, ovvio, fai con calma, io cerco la mia camera" disse, e senza aspettare la risposta si rifugiò nello stretto corridoio che delimitava la zona notte.


)) Nota dell'autrice ((

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