6. Dominatio (1/2)

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6.


Dominatio



23:04


«Giuro su Dio che ho finito di scarrozzarti da una parte all'altra della città.»

Damiano, sul sedile del passeggero, si voltò verso Ludovico inclinando un po' la testa. «Mmmh, probabilmente no» gli disse con una pacca sul braccio, proprio nel punto più tonico del suo bicipite. Nell'ultimo mese doveva aver intensificato di proposito gli allenamenti con il personal trainer per prepararsi all'estate. Non aveva mai visto una camicia aderirgli addosso a quel modo. «La mia vita sarebbe finita senza di te, e tu non vuoi che la mia vita finisca, vero?»

Ludovico gli rivolse un sorriso sarcastico. «Vaffanculo, Damià. Se ti fanno una rapina in questa fogna col cazzo che ti vengo a prendere.»

«Non ce ne sarà bisogno.»

Si girò di nuovo a guardare la strada buia, oltre il finestrino. Temporeggiò per qualche altro secondo. Aveva bisogno di calarsi nel suo stato di completa lucidità prima di scendere dall'auto. Gli turbinava dentro una smania che andava soppressa a tutti i costi.

Ludovico tamburellò le dita sul volante. Tra le clavicole gli pendeva una catenina d'oro e dalla manica arrotolata della camicia emergeva il tatuaggio che si era fatto a inizio maggio, un pugnale antico avvolto dalle spire di un pitone. Come gli altri quattro o cinque e l'orecchino al lobo destro, era riuscito a nasconderlo abilmente alle suore, finora.

Nel quadro d'insieme, ogni dettaglio inscritto su di lui emanava un lusso e un potere per cui le persone comuni si sarebbero fatte ammazzare, eppure Damiano intravedeva sempre in Ludovico, al di là di quella patina, una debolezza di fondo da cui in realtà era molto semplice attingere, all'occorrenza. Anche se nella vita non gli mancava nulla, sembrava che ci fosse sempre uno standard che non riusciva a raggiungere, per quanto si sforzasse, per un misero passo o due.

Nonostante fosse in estremo ritardo per la serata a cui lo avevano invitato, non protestò oltre. Non aveva fiatato nemmeno un paio d'ore prima, nel momento in cui gli aveva chiesto quel favore.

Solo quando Damiano si decise a uscire gli disse, piegandosi verso la portiera aperta: «Oh. Spero davvero che ne valga la pena.»

Damiano gli sorrise con un angolo della bocca. Comprese al volo che quella frase, ricoperta da un sottilissimo velo di imbarazzo, avesse un doppio significato. Ludovico sapeva perfettamente cosa stava andando a fare. Si appoggiò con un gomito alla portiera e lo guardò negli occhi. «Quando lo conoscerai ti sarà tutto più chiaro.»

Dopo qualche secondo, vide la Mercedes allontanarsi in direzione di chissà quale discoteca esclusiva e, poi, la casa di chissà quale ragazza, con dell'r&b sparato a tutto volume nelle casse.

Damiano si avviò verso la palazzina. L'ultima e unica volta che era stato in quel posto l'inverno non aveva ancora lasciato spazio alla primavera, ma neanche a distanza di mesi la desolazione era cambiata. Il marciapiede era ancora costellato di cartacce, mozziconi di sigaretta e piscio di cane.

Non aveva più accompagnato Iggy a casa, dopo quella notte fuori al Mirage. Le volte in cui si erano visti, in due mesi, Iggy gli aveva sempre indicato un punto di incontro in cui poi si presentava magicamente, un bar, una birreria o una piazza in centro. Ogni volta veniva verso di lui – sempre con almeno un quarto d'ora di ritardo – con le mani infilate nella sua giacca di pelle e una specie di sorrisetto di sfida, che Damiano avrebbe tanto voluto cancellargli dalla faccia in mille modi creativi. Per quanto avesse provato a farlo confessare riguardo alla lettera di Achille, Iggy aveva tenuto la bocca cucita.

Hotel AntharesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora