Cane rabbioso.
Una serata all'Alveare era bastata a farmi guadagnare il soprannome che adesso sentivo sussurrare quando camminavo lungo i corridoi della Sapienza. Un appellativo scontato, considerato quello che si vedeva nel video che la Regina mi aveva inoltrato, e per quanto faticassi a riconoscermi in quelle immagini, ero davvero io la belva che aggrediva e spaccava la faccia a quel poveraccio. Erano mie, le mani sporche del suo sangue.
Suggestione la mia, quando mi sentivo tutti gli occhi puntati addosso, ne ero conscio. Non tutti avevano visto quel video, ma era anche vero che, se qualcuno l'aveva visto, non poteva nasconderlo. Occhi bassi, lievi mormorii, timore e ammirazione sui volti che ricordavo appena di avere incrociato a quella festa. Le reazioni erano varie, disprezzo, diffidenza, rispetto, ma quello che contava per me, era che l'ordine si era ristabilito.
Mi sentivo di nuovo in cima alla catena alimentare, e mi sarei goduto il momento, almeno fino a quando il video non sarebbe finito nelle mani di mio fratello. Fino a quel momento avevo avuto fortuna, ma si trattava solo di una questione di tempo, ne ero sicuro.
Tuttavia, qualcun altro non se l'era cavata altrettanto di lusso, per non dire che stava proprio sul fondo. Celeste l'avevo vista appena, nell'arco di quel paio di settimane. Mi ero mantenuto a distanza, avevo smesso di starle con il fiato sul collo, avevo riflettuto attentamente, e avevo capito delle cose.
Una delle cose, era che avvicinare Celeste, che aveva pochi amici e una brutta fama, era un suicidio sociale, ma non mi interessava.
Sarei tornato da lei, fedele come il cane che ero.
Non avevo dimenticato i suoi orari. Un pomeriggio di metà novembre, un pomeriggio in cui un sole gentile scaldava l'asfalto umido, l'attesi all'uscita della facoltà e, una volta tanto, lei non sembrò turbata nel vedermi, solo leggermente sorpresa. «Iniziavo a chiedermi che fi-fine avessi fatto.» osservò con un sorriso mite. «Ciao, ca-cane rabbioso.»
«Possiamo parlare? Il tempo di una sigaretta.» Celeste non rispose, ma cacciò una mano nella tasca del suo cappotto, tirò fuori un accendino, e me lo porse. Decisi che non avrei perso nemmeno un secondo del tempo che mi aveva concesso.
«Non ti rimane niente da nascondere, quindi non scapparmi di nuovo.»
La fiamma divampò all'improvviso allo scattare del meccanismo. Celeste si avvicinò, la sigaretta tra le labbra e gli occhi chiari fermi nei miei mentre accendevamo insieme. Non l'avevo mai avuta tanto vicina, e mi accorsi di non averla mai desiderata tanto come in quel momento. «Ti ho vista, e ti voglio ancora.»
«Che culo.» commentò sarcastica, sollevando le sopracciglia. «Tutti mi hanno vi-vista.» mi corresse in tono aspro mentre sedeva sul gradino più alto della scalinata. «Anche se mi hai vista, non-non mi conosci, Ludovico. Non è ca-cambiato niente.»
«D'accordo, forse non ti conosco, ma... vorrei conoscerti, e vorrei arrivare a capirti.»
Celeste dischiuse appena le labbra piene, le serrò di nuovo per non lasciare cadere la sigaretta, ma nei suoi occhi acquosi e dolci, potevo ancora leggere lo stupore che quella precisa scelta di parole aveva lasciato, quasi per lei avessero un significato speciale.
No, non mi importava di quanto fosse dimessa o sgraziata, o di come la chiamassero sottovoce, o delle risatine a cui lei aveva smesso di prestare attenzione. Celeste aveva una bellezza tutta sua, diversa da quella di chiunque altro, difficile da notare per chi la giudicava solo per sentito dire, difficile da scorgere persino per lei stessa, eppure io la vedevo con una chiarezza che era quasi abbagliante, per questo era l'unica al mondo per me, e lo sarebbe sempre stata.
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𝐁𝐄𝐄𝐇𝐈𝐕𝐄
Romance🔞 [𝐈𝐍 𝐂𝐎𝐑𝐒𝐎] «𝑀𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎𝑚𝑖 𝑖 𝑑𝑒𝑛𝑡𝑖, 𝑐𝑎𝑛𝑒 𝑟𝑎𝑏𝑏𝑖𝑜𝑠𝑜. 𝑀𝑜𝑠𝑡𝑟𝑎𝑚𝑖 𝑖𝑙 𝑚𝑜𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑖𝑙 𝑐𝑢𝑖 𝑠𝑚𝑒𝑡𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒 𝑢𝑚𝑎𝑛𝑜.» *** Sono passati dodici anni dall'omicidio di Villa Alveare, un caso irriso...