Una raccolta di one shot/storie brevi su Ricciardi e Bruno, sia autonome che blandamente collegate alla storia principale, "La Ruota degli Angeli".
Introspettivo, romantico, erotico, umoristico, slice of life, angst... insomma, di tutto un po' sui m...
Contesto: Vago, 1934 ca., slegata dalle altre storie. Genere: erotico Avvertimenti/TW: scene esplicite, dinamiche dom/sub, accenni di choking, delayed gratification, switching Prompt(s): La Tombola delle Lande, prompt 13: "Principio di azione e reazione" + P0rn Fest #18 - The Age of Coming: "La bocca ora non ti serve per parlare" Note: Buon Natale, belli ✨ Trovate una noticina qui accanto (o in fondo al capitolo tra i commenti generali se Wattpad me la sminchia) perché non mi va di fare il mammozzone nella storia :P ->
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L'aria all'interno degli archivi della Questura è soffocante.
Ricciardi non sa se ciò sia dovuto alla quantità esorbitante di annosa documentazione lasciata lì a incartapecorire da generazioni di uomini sullo stesso stampino di Garzo, o se sia complice l'afa che ha stretto Napoli in una morsa quell'estate. L'unica finestra, rotta da quando ricorda e con un vetro pericolante, è chiusa e non offre alcuna frescura, se non qualche spiffero che, d'inverno, rende quella stanza una ghiacciaia.
Seduto a uno degli scrittoi di consultazione, con le nocche puntate sulle tempie e i gomiti piantati sul legno, Ricciardi cerca senza successo di lenire il dolore ora sordo, ora acuto che gli trapassa il cranio. Il caldo non aiuta. Nemmeno il freddo aiuta. Né gli spifferi, né la polvere, né la luce del primo pomeriggio. Né il ricordo della voce dell'ultimo fantasma, probabile causa di quel tormento. Tanto meno i documenti che cerca di leggere, battuti da una macchina da scrivere di terza mano, coi contorni delle lettere un poco sbavati che gli fanno incrociare le pupille.
«Riccia', tu oggi dovevi rimanere a casa.»
Non aiutano nemmeno i commenti di Bruno.
Contro le sue emicranie aiuterebbero forse solo il buio assoluto, un impacco di camomilla sugli occhi e nessun contatto sociale per ventiquattr'ore. Nemmeno gli risponde, ma rinuncia a leggere per la settima volta la stessa riga e cala i palmi a coprirsi il viso, in un sipario tiepido che non gli reca alcun sollievo.
«Non capisco perché ti devi sfinire. Non ti pagano di più se soffri mentre fatichi, eh.»
Il medico, seduto all'altro lato dello scrittoio è intento nel medesimo, tedioso compito di visionare faldoni su faldoni alla ricerca di una menzione della loro vittima in vecchi casi di sei anni fa. S'è offerto di assisterlo, contro ogni sua avversione per le scartoffie, nel notare quanto quell'attacco d'emicrania lo stesse prostrando e una volta saputo che Maione doveva dirigere gli interrogatori in sua vece, poiché a lui riusciva difficile persino seguire il filo di un discorso senza avere la nausea.
«Sei un caso perso.» La sedia di Bruno struscia sul pavimento; lo sente mettersi in piedi, aggirare il tavolo. «Non ti vorrei mai come paziente.»
Ricciardi bofonchia qualcosa a caso, senza curarsi di articolare.
L'intensità della sua emicrania è pari solo alla voglia che avrebbe di chiudere la bocca a Bruno. In maniere poco consone. Strizza gli occhi sotto i palmi a quel pensiero sconnesso: tende ad averne molti, quando è sotto il fuoco serrato del proprio cervello, molti dei quali piacevoli e assolutamente sconsiderati, visto che riesce a malapena a muovere il collo senza vedere le stelle.