Una raccolta di one shot/storie brevi su Ricciardi e Bruno, sia autonome che blandamente collegate alla storia principale, "La Ruota degli Angeli".
Introspettivo, romantico, erotico, umoristico, slice of life, angst... insomma, di tutto un po' sui m...
Contesto: Vago, 1930 ca., slegata dalle altre storie. Genere: erotico. Avvertimenti/TW: PWP, scene esplicite, choking, dub-con, drunk sex, una punta di fluff finale. Prompt(s): La Tombola delle Lande, prompt 11: "Metodo Monte Carlo" + P0rn Fest #18 - The Age of Coming: "Qui dentro non si respira" - choking/erotic asphyxiation. Note: È p0rno, raga, nient'altro da aggiungere ahahah
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Svestirsi a vicenda è ormai un rituale che non ha bisogno di pensieri – soprattutto quando pensare vuol dire perdere tempo che non hanno mai, nel mondo là fuori tempestato da marce e manganelli.
Bruno è sempre molto più rapido nello sfogliar via ogni strato di troppo che avvolge il corpo di Ricciardi; rapido, ma non affrettato. Ha un metodo clinico, si può dire, mirato ed efficiente: prima la cravatta, che impiccia assai, poi tutto il resto, ché lui è sempre troppo vestito e pure per bene – giacca e gilè e bretelle e camicia, sino ai calzoni e all'intimo – senza per questo negarsi lo sfizio di esplorarlo a fior di pelle man mano che la scopre.
Ricciardi non è così metodico: le sue mani viaggiano seguendo l'impulso del momento, tirando e afferrando dove trova, scoprendo ciò che vuol vedere e toccare e baciare di volta in volta. È in quella fregola pulsante, una confusione imprevedibile di gesti alla cieca, che trova, non sa come, sempre la via più breve per farlo uscire pazzo.
Disegna sul suo corpo uno scarabocchio probabilistico che unisce puntini a caso, in grado di suscitare in lui reazioni che mai riuscirebbe nemmeno a immaginarsi – e sono sempre giuste, però, come se fosse un metodo d'azzardo scientifico studiato da qualche capa matta che vuol sempre vincere al gioco.
Capita che gli slacci prima i pantaloni; altre gli sfila prima la giacca, gli sbottona la camicia – e poi si perde sul suo collo, sulle sue labbra, si aggroviglia ai suoi ricci, come dimenticandosi di dovergliela anche togliere, la camicia; altre ancora nemmeno lo spoglia e gli fa perdere ogni senso di sé semplicemente divorandogli la bocca e la lingua, quasi ne andasse di ogni suo prossimo respiro. È disordinato come non appare affatto nella vita – è affamato, gli sembra sempre in tema che quegli attimi insieme fuggano via, sicché gli imprime addosso ogni volta l'urgenza che ha di averlo, di sentirlo.
Stanotte, a quel suo fare irruento, si appaia un tasso alcolico che accopperebbe un bue. Quando varcano la soglia della camera da letto, Ricciardi incespica e Bruno lo riacchiappa per i gomiti non appena lo sente cedere un poco alla gravità, spingendolo invece sul letto di schiena.
Lui rimane semi sdraiato sul materasso, le gambe che sporgono a puntellarsi sui talloni; in mezzo alle gambe, contro la stoffa dei pantaloni eleganti, si erge il gonfiore innascondibile che gli ha premuto addosso sinora.
Bruno lo ammira per un istante, avvolto dal chiarore che filtra dai vetri. La luce calda di un lampione, ammischiata a quella più fredda della notte invernale, mette in risalto il suo incarnato pallido tra il bianco della camicia mezzo aperta, così come l'inchiostro dei suoi capelli sfatti e degli occhi. Appaiono anch'essi neri e profondi sotto le ciglia folte, le pupille dilatate a oscurare l'iride azzurrino.