Confondevo il tuo cuore coi tuoni

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Contesto: marzo 1944, post-"La Ruota degli Angeli" e a essa blandamente connessa
Genere: drammatico, guerra
Avvertimenti/TW: velati riferimenti a LRDA, sangue, menzioni di morte e violenza
Prompt(s): -
Note: quando dico "drammatico, intendo drammatico. Lo scenario sono i bombardamenti di Napoli durante la Seconda guerra mondiale. Vi sono riferimenti a LRDA e, in teoria, si colloca in una linea temporale con essa coerente, ma è da considerarsi comunque una what-if rispetto al suo sequel, ancora in stesura.

 Vi sono riferimenti a LRDA e, in teoria, si colloca in una linea temporale con essa coerente, ma è da considerarsi comunque una what-if rispetto al suo sequel, ancora in stesura

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15 marzo 1944*

Fuori, il mondo trema sotto i passi di giganti invisibili.

Un rimbombo dopo l'altro, ordinate file di ordigni punteggiano le strade di esplosioni. Le seguono scia di grida nere e distorte, che solcano l'aere come arpie stridenti, attutite da metri e metri di tufo e muratura.

Bruno, quelle grida meccaniche e inumane, se le sente nel cervello. Si sovrappongono a quelle ben più vicine che lo trafiggono ogni giorno, un ferito e un morto dopo l'altro, sotto le arcate sotterranee della Galleria Borbonica.

Là sotto, assieme al lezzo di troppe persone e dei liquami che gocciolano dal soffitto poroso, è stipata da mesi la paura di non rivedere il sole, offuscato anche di giorno dalla caligine delle macerie. Alle stelle sulle ali, adesso, si è sostituita la croce uncinata, ma il carico di morte di cui sono gravide le pance dei bombardieri è rimasto invariato.

Bruno non ci credeva, alla libertà che veniva elargita dalle bombe degli Alleati. Non ci crede nemmeno adesso che gli americani gli permettono di mettere il naso fuori dai rifugi antiaerei, almeno di giorno. La libertà, o almeno una fiacca parvenza di essa, l'avevano già strappata a brandelli dai corpi dei nazisti che hanno lasciato a marcire per strada; e se la sono vista strappare a loro volta per issarla accanto a un vessillo a stelle e strisce e fumarla a suon di Lachi Straic*.

Bruno ci crede sempre meno, a quella libertà, con ogni notte che passa nel ventre di Napoli, avvolto dalla sua placenta tufacea e lasciato a galleggiare in un liquido amniotico che è acqua stagna, muffa e umori umani che stillano infezione.

Ci ha creduto un po' di meno quando ha visto le macerie del Pellegrini ergere le proprie travi al cielo in un grido di resa, tra i resti contorti delle brandine e il fetore di fenolo dei flaconi infranti nei corridoi. Ci ha creduto ancor meno nel metter piede nel chiostro maiolicato di Santa Chiara*, che elargiva ancora chiazze di colori vivaci nella devastazione tutt'intorno, come un Eden artificiale nel mezzo dell'Inferno. Ha provato a crederci di nuovo nel vedere sfollati e rifugiati che, sottoterra, mettevano in circolo file di lanterne e, coi piccirilli 'ngoppa, improvvisavano una tarantella sul ritmo sincopato delle bombe, scacciando a suon di canti e grida quelle della morte là sopra.

Smette di crederci del tutto quel giorno. La speranza si è ormai fatta opaca e appesa all'estremità di respiri sfilacciati che stentano a rincorrere i successivi, incespicando tra loro. Smette di crederci quando non si sente più un medico, ma un derelitto tale e quale agli altri che s'affida più alla taumaturgia dello stringere una mano fiacca e morente come a infonderle la propria linfa vitale, piuttosto che ai tomi di medicina che, adesso, gli sembrano carta straccia e macera da pestare in fondo al cervello.

Il nome che ti darò (domani)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora