Parigi e le Stelle Beffarde

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Parigi e le Stelle Beffarde
Settembre 2016, Punto Di Vista Di Maya.


  Parigi non è mai stata conosciuta per essere una città calda e su questo nessuno ha mai avuto da ridire. Come se questa consapevolezza non bastasse, da quelle parti, già agli inizi di settembre l'aria comincia gradualmente a rinfrescarsi ed a diventare via via più fredda.
Per una persona a cui non piace il freddo, Parigi non è assolutamente la città ideale in cui trasferirsi e questo è stato il presentimento che ho avuto anche io quando mi stabilizzai lì.

Quando ho ricevuto l'email d'ammissione all'accademia di moda di Parigi, sono scappata da Roma a gambe levate senza pensarci su due volte: credevo che andarsene fosse tutto quello di cui avessi bisogno e forse era proprio così.

Dal mio arrivo nella Città Illuminata erano trascorsi quasi tre anni ed in Italia non ci ero mai più tornata: dopotutto perché sarei dovuta tornare? Non avevo nessun motivo per ritornare in quella trappola di casa da cui ero scappata senza guardarmi indietro e non mi ha mai sorpresa il non sentirne neanche la mancanza, di quella vita.
Mi ci è voluto un po' ad abituarmi, non è stato tutto semplice; ma adesso che mi guardo alle spalle penso che questa sia stata la migliore scelta che avessi mai potuto prendere per me stessa.
Ricordo con preoccupante attenzione il pomeriggio in cui la mia vita cambiò per sempre: erano gli inizi di Settembre, tirava un vento leggero ed io ero seduta ad un Café non troppo lontano dall'accademia schizzando alcuni disegni per la sfilata che si sarebbe tenuta a fine semestre.
Ero stata seduta su quella dannata sedia per ore, accartocciato fogli su fogli e cancellato linee su linee, ma per quanto mi piacesse quello che disegnavo, continuavo ad avere la sensazione che ci fosse qualcosa che non andasse.

Da quella mattina di Marzo di tre anni prima, non avevo più rivisto Marco: dopotutto non solo mi aspettavo che il nostro incontro sarebbe rimasto un evento isolato nel tempo, ma mi sono anche convinta del fatto che non ci sarebbe stato nessun modo per piegare la sorte in nostro favore poiché il mio trasferimento in Francia aveva reso tutto altamente più improbabile di quanto già non lo fosse precedentemente.
Si capisce che, continuare a sognare un qualcosa d'impossibile, è segno di cocciutaggine.
Per questo motivo ero andata avanti con la mia vita impegnandomi a non pensare a quello che sarebbe potuto succedere se non fossi partita e sono tornata a guardare il ragazzo dai capelli scuri come tutti gli altri: come una spettatrice, una qualsiasi di cui lui non conosceva neanche il nome.
Non ho mai creduto che potesse ricordarsi di me, non ero nessuno di così importante da essere ricordata.
Nonostante ciò, non sono mai stata in grado di dimenticare quella giornata di Marzo.
"Spero di rivederti presto...." quelle parole mi hanno seguita e confortata per anni, nonostante neanche la speranza le rinvigorisse di nuova vita; se ne sono rimasta lì, penzoloni nella mia memoria a ricordarmi che, in un tempo lontano e buio, c'era stato qualcuno che avrebbe voluto rivedermi per parlarmi ancora, magari davanti un altro caffè.
Sembrerà stupido da dire, ma per anni questa consapevolezza è stata abbastanza.

Capendo che non avrei comunque concluso nulla per quella giornata, raccolsi tutta la mia roba ed abbandonai il salottino delle luci soffuse per tornare nel piccolo appartamento in cui convivevo con la mia migliore amica.
In quegli anni, vivevo all'ultimo piano di un condominio non troppo lontano dall'Accademia che sorgeva in un palazzo storico, motivo per cui non avevamo l'ascensore.
Sospirai sconfitta non appena superai le cassette della posta e mi sistemai la borsa sulle spalle per poi imboccare le scale verso casa, frugando disperatamente alla ricerca del mio pazzo di chiavi, guardai l'ora maledicendomi mentalmente: se non avessi voluto perdermi l'intervista di Marco, mi sarei dovuta dare una mossa.
L'avrei guardata in streaming come avevo guardato tutte quelle precedenti e come avrei guardato tutte le successive.
Girai le chiavi nella toppa della serratura scoprendo che non fosse stata chiusa a chiave, segno che la mia coinquilina stesse già stravaccata sul letto, ed entrai chiudendomi la porta alle spalle con un pesante tonfo che fece quasi tremare tutto il palazzo.
"Matilde!" esclamai a gran voce lanciando le chiavi sul mobiletto all'ingresso " Je suis rentré!" aggiunsi dirigendomi verso la cucina: non avendo mangiato granché a pranzo, non mi sorprese l'avere fame a quell'ora.

Mai e Per sempre [M. M.] (#Wattys2017)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora