Protagonisti: Emmanuel (insegnante), Innah, Ňabaiel, Roțulïem e Unniam (alunni della scuola privata di Nidovecchio).
«Buongiorno» disse Emmanuel non appena si fu messo a sedere.
«Buongiorno» risposero in coro i ragazzi che si trovavano nell'aula: Innah, l'unica ragazza, e Ňabaiel, Roțulïem e Unniam.
«Quella di oggi sarà una lezione particolare» annunciò Emmanuel, attirando l'attenzione degli alunni. «Visto che più della metà della classe è assente, proporrei di discutere di un argomento a piacere.»
Tutti rimasero per qualche attimo di stucco. Mai e poi mai Emmanuel aveva accennato a rinviare una lezione per la mancanza di qualcuno.
«E di cosa dovremmo parlare?» domandò perplesso Ňabaiel.
«Non so: rasentate la maggiore età, potete scegliere autonomamente e civilmente, soprattutto.»
«Vogliamo parlare di quell'uomo che ieri si è gettato da Pontenero nonostante l'acqua fosse praticamente gelata?» propose Unniam. «Chi non c'era si è perso uno spettacolo a dir poco sensazionale.»
I presenti risero; pure Emmanuel lo fece.
«In verità» disse, dopo aver smesso di ridere col suo abituale contegno, «intendevo che dovremmo discutere di qualcosa di serio. Nessuno conosce una piaga che affligge il mondo odierno?»
Intercorsero attimi di silenzio. Chi si aspettava una mattinata simile?
Poi una voce risuonò dal banco nell'angolo più vicino alla cattedra. Era quella di Innah.
«Forse potrei dire qualcosa io» osservò, fungendo da magnete per gli occhi e le orecchie degli altri.
«Parla, non essere timida» disse Emmanuel.
«Lei ha mai avuto a che fare coi pregiudizi razziali?»
«Ovvio» rispose Emmanuel, «talmente tante volte che non mi ricordo la prima. Ho sempre vestito il ruolo del commentatore esterno, poiché non ho origini straniere, ma frequentemente mi sono trovato immischiato in una conversazione, sia educata che non, nella quale il tema principale era il razzismo.»
«E perché proprio questo argomento?» chiese Roțulïem, che ogni volta che apriva bocca Innah si risvegliava magicamente.
«Non siete al corrente del sangue che possiedo?» domandò Innah.
Neppure uno osò proferir parola, e probabilmente successe perché nessuno era certo della veridicità di quello che avrebbe detto, oppure perché temevano l'imbarazzo che avrebbe causato una semplicissima negazione.
«Bene, allora ve lo dirò. Mia madre era figlia di una schiava Genghaart liberata, e quindi, seppur non totalmente, appartengo alla loro stirpe.»
Un silenzio tombale calò nella classe.
Emmanuel lo ruppe pochi momenti dopo: «Ma questo non simboleggia nulla» affermò. «Vivi fra le Tribù della Nebbia e al tuo interno fluisce anche il nostro sangue. Dei tuoi nonni solo uno era Genghaart, non dovrebbe bastare nemmeno agli stolti per etichettarti come diversa.»
«E invece è proprio questo il problema: qualunque scusa è buona per attaccarmi con offese inutili e insensate, per scaricarmi addosso la colpa di atti che non ho commesso.»
«Però devo dire che quei capelli biondi non è che evitino alla gente di attribuirti il titolo di Genghaart» s'intromise Unniam, rievocando alcune caratteristiche peculiari dei Genghaart, come ad esempio la bassa statura e i capelli biondissimi.
«Quindi anche tu sei razzista?» domandò indignata Innah. «Come ti permetti di giudicarmi solamente in base ad un colore di capelli che oggigiorno si sta diffondendo sempre più velocemente?»
«Non ti ho giudicato» precisò con un sorriso odioso stampato nel mezzo della barba incolta, «ho solo espresso un parere.»
«Calmiamoci, ragazzi» disse Emmanuel. «Non dobbiamo insultare nessuno. Continua, Innah, per favore. »
«No, voglio sentire se qualcun altro deve intervenire» asserì Innah, guardando torva intorno a sé.
«Qualcuno ha da aggiungere qualcosa?»
«Be', secondo me questo disprezzo è parzialmente giustificato» disse Ňabaiel. «Bisogna pensare che fino a qualche centinaio di anni fa i Genghaart venivano allevati con l'unico scopo di massacrare Uomini della Nebbia; un odio irrazionale che ora si sta riverberando su di te.»
«E per quale motivo?» chiese Innah. «Forse per covare una vendetta che non sta né in cielo né in terra? La giustizia dove la vedi? E l'equità tra le parti? È forse sfociata in una repulsione illogica per chi ha cacciato ma è stato cacciato allo stesso tempo?»
«Cosa intendi?» intervenne Roțulïem.
«Intendo che sì, gli Uomini della Nebbia sono stati angariati per anni sebbene cercassero solamente la pace, ma in tutto questo scenario, successivamente, sono stati proprio loro a falcidiare i Genghaart e a ridurli in schiavitù quando sembrava che fossero possibili rapporti pacifici tra i due popoli umani.»
«Se la metti così, allora possiamo anche considerare la vicenda del Campo di Olimbad, dove i Genghaart hanno teso un'imboscata ad un convoglio di Uomini della Nebbia e li hanno ammazzati senza pietà.»
«Proprio non capisci! Il passato è passato! Se una persona proviene da qualche Genghaart, il suo obiettivo non sarà per forza uccidere ogni Uomo della Nebbia che incontra! Sia i Genghaart che gli Uomini della Nebbia hanno commesso azioni deplorevoli senza ottenere alcun profitto a parte il sangue che bagnava i palmi delle loro mani; ma quei tempi sono ormai finiti. Pensaci... I Genghaart sono deboli e male organizzati, trattati come bestie e schiavizzati; non hanno più la forza di volontà necessaria per riscuotersi e innescare una ribellione. E quelli che hanno trovato la libertà grazie ai loro precedenti padroni sono ancora più meschini, dato che poltriscono nelle proprie case come parassiti mentre potrebbero creare un movimento per affrancare i vecchi compatrioti. E per completare in bellezza, bisogna annoverare quelli che credono che, trucidando e malmenando chiunque gli si opponga, possano risolvere qualcosa.»
«Quindi tu, sotto sotto, ti senti una Genghaart...» disse Unniam, giusto per provocarla.
«Io non mi sono mai considerata una Genghaart» confessò Innah in un sussurro, chiudendo parzialmente gli occhi acquamarina. «Io mi sono sempre sentita un'appartenente alle Tribù della Nebbia; ma quando la discriminazione dilaga, quando gli stereotipi affollano la mente della gente, quando il disprezzo dei padri fomenta il timore nei figli, vorrei non aver mai posseduto sangue della Nebbia. È un supplizio per me dividermi tra due popolazioni. E il bello è che questo bivio non è stato nemmeno dettato da me. Sono quelli che osano chiamarsi "miei concittadini", che appena mi vedono dimenticano ogni cosa e iniziano ad insultarmi. Ma fosse solamente così, sarei tranquillissima. Talvolta cercano di picchiarmi, mi portano agli angoli della strada e con le cinture dei pantaloni prendono a colpirmi ovunque. Forse adesso non lo notate, ma sotto questa maglia ho più di dieci lividi e cicatrici che mi segnano il busto. Ora ditemi perché dovrei rispecchiarmi in generazioni di uomini che hanno sfornato persone del genere. Quando tutto ciò accade, per cause maggiori, divampa in me la consapevolezza di essere Genghaart seppur non lo sia.»
Ci volle un po' di tempo affinché le parole di Innah fossero digerite; poi esordì Emmanuel: «La tua storia è struggente, lo devo ammettere, e credo anche che rivolgersi alle autorità ormai sia quasi inutile, ma non tutti i Genghaart o i loro discendenti vengono maltrattati. In ogni modo, tali eventi non dovrebbero nemmeno avere luogo nell'immaginazione, ma quando si è convinti di una cosa, essa attecchisce all'interno degli animi come un morbo scaturito da una magia sciamanica. È molto complicato estirpare un'idea, e quasi impossibile dissuadere un individuo da qualcosa che in precedenza aveva posto come basamento per il proprio vivere. Si ritroverebbe spaesato.»
«Stia sicuro che non sono l'unica in questa situazione. Comunque, non deve essere sempre così! Lei sa cosa significhi essere bersagliati da ogni dove? Prima del dolore si percepisce una sfera di sentimenti che è arduo spiegare. Ti aggredisce la paura che chi ti sta davanti possa perdere la ragione e mettere fine alla tua vita in un istinto ferino; ti sale il terrore di quello che potrà succedere in seguito se ne uscirai incolume; arde la rabbia che conduce verso strade tenebrose e abiette, e allora ti balenano in testa miriadi di soluzioni che per lo più non si concludono in maniera positiva. L'odio non è incondizionato. A meno che non derivi da un malato di mente, l'odio è cagionato da altro odio.»
«C'è da dire che molti dei Genghaart che sono stati affrancati a causa della legge Cahian, hanno perpetrato crimini efferati quasi volessero confermare le opinioni che gli altri hanno su di loro» disse Ňabaiel.
«E secondo te perché questo accade?» chiese Innah. «Te lo dico io: perché mostri producono mostri. Praticamente nessuno è così dalla nascita, e se qualcuno lo è diventato, è solamente per via di quello che ha subito. Non lo posso dire con certezza, tuttavia sono convinta che se non ci fossero diseguaglianza, disgusto, estraniamento, non si paleserebbero i problemi che angustiano la nostra società. Ma è ovvio che pretendo troppo, che la mia è e rimarrà soltanto un'utopia.»
«Innah, tu cosa faresti a riguardo?» domandò Emmanuel, che desiderava riportare la conversazione ad un livello essenzialmente didattico.
«Io? Il cambiamento non deve avvenire totalmente per mano di chi è oltraggiato, ma deve partire da chi si eclissa nell'ombra e non si schiera a favore di nessuno, da chi non esprime giudizi nonostante sappia cosa bisogna fare. Deve essere graduale e colpire in primo luogo gli indecisi, così da poterli guidare verso il giusto cammino. Solamente allora dovrebbe inglobare a noi vessati. Esclusivamente noi tutti potremmo essere abbastanza forti da suggestionare i più ignoranti e chi si comporta in maniera radicale.»
«Parole molto sagge» disse Emmanuel.
La campanella suonò in quell'attimo. Dopo il ritardo del professore, la pseudolezione era durata veramente poco.
Tutti si alzarono dai rispettivi posti. Andarono a salutare Emmanuel e si diressero fuori dalla classe, entusiasti che quella fosse l'ultima ora alla scuola privata di Nidovecchio. Solo Innah si fermò per un momento ulteriore dinanzi ad Emmanuel.
«Cosa c'è?» chiese lui.
«So che lei è d'accordo con me. Tutto questo deve finire, poiché una vita vissuta nel tormento non è una vita vera, e chiunque ha diritto a trascorrere un'esistenza pacifica, finché non compie qualcosa d'orribile. Io non ho compiuto nulla di sbagliato.»
Detto questo, uscì pure lei.
Emmanuel rimase da solo, a riflettere.

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Concorso Fantasy: La Fantasia non ha Limiti
FantasiQuesto è il luogo nel quale porrò le prove sostenute nel concorso fantasy indetto da Emma-Blues. ~ 1a: La Gloria della Sventura (parte 2, 3, 4, 5 e 6) -> Terzo classificato ~ 2a: Il Lucchetto Nebbioso (parte 7) -> Secondo classificato ~ 3a: Dialogo...