Chapter ten.

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Louis

Eravamo giunti alla corsetta finale, la solita faticaccia abituale da quando era iniziato il corso di yoga indotto da Harry. Non riuscivo a capacitarmi della resistenza delle mie gambe che, dopo le assurde posizioni che ci aveva fatto praticare quel giorno il riccio – ritenendoci già ad un livello avanzato ed in grado di sostenere quel ritmo – , resistevano ancora a quella corsa che mi stava facendo perdere ogni briciolo di forza.

Harry, braccia conserte al petto e maglia umidiccia a causa del sudore, ci spronava a correre più velocemente respirando in modo adeguato. 

acile, pensai, dato che il riccio non stava consumando le sue ultime e rimanenti forze imbattendosi in quella corsa perdifiato. Piuttosto se ne stava appoggiato al tavolino su cui riposava un vecchio stereo, perfettamente inutile dal momento che non mettevamo mai alcun genere di musica e se serviva qualche amplificatore per i rumori naturali che, a detta di Harry, "ci immergevano nelle riflessioni", utilizzavamo le casse che Niall collegava al suo iPhone.

Quando il ragazzo ci disse di fermarci, appoggiai le mani alle mie ginocchia, respirando profondamente.

"Per oggi è tutto, potete andare" ci avvertì Harry ed io, seppur percettibilmente, riuscii a scorgere la nota triste di quella frase.

Stava davvero congedando i miei altri compagni, facendo intendere che per quel giorno era stato necessario ciò che avevano fatto, e che si sarebbero rivisti presto. Tuttavia, quella frase per me suonava come un addio bello e buono.

Avevo fatto le valige prima di prendere parte a quella che sarebbe stata, per me, l'ultima lezione del corso di yoga. Il giorno dopo avrei preso un aereo diretto a Londra e la lezione si sarebbe svolta, come ogni Venerdì, ma senza di me.

E non pensai che fosse un grande problema per i miei compagni di corso. Certo, avevo legato con Stan, e Niall non sembrava poi così restio ad i miei tentativi di socializzare, ma ero più che sicuro che a persone come Nick non sarebbe importata minimamente la mia partenza. E me ne resi conto quando, febbricitante di felicità, si incamminò verso Harry cominciando a parlargli.

Maledissi mentalmente tutte le volte in cui, nei giorni seguenti, Nick avrebbe potuto toccare, osservare, apprezzare Harry. Ma finché ero lì, seppur col fiatone, avevo il diritto di non lasciare che le cose fluissero in quel modo.

"Harry" richiamai, osservando i fari verdi del riccio puntarsi sui miei occhi.

E, no, non potevo semplicemente accettare che il giorno dopo non l'avrei più rivisto. Non c'eravamo nemmeno baciati ancora, dopo il nostro primo bacio. Tutto era continuato normalmente ed avevo agognato centinaia di volte quelle labbra rosee, ma avevo preferito sentirlo parlare del suo libro preferito, della sua famiglia, del suo lavoro. Avevo scelto di conoscere quanto più possibile Harry, evitando qualsiasi tipo di interruzione. E non me ne pentivo affatto. Certo, la sensazione delle sue labbra sulle mie e le nostre lingue ad intrecciarsi era stata a dir poco divina. Ma ora sapevo che il suo gelato preferito era quello al pistacchio, che non andasse mai a fare compere insieme a Zayn perché quest'ultimo inevitabilmente gli suggeriva di comprare cose orribili che Harry acquistava ugualmente ma che non avrebbe mai indossato, che non possedesse un computer portatile ma solo un vecchio iPhone ammaccato con il quale aveva passato felicemente gli ultimi tre anni. E mi bastava, la sua voce roca e piena era sufficiente a riempire quel vuoto angosciante provocato da quel biglietto aereo ancora conservato gelosamente da Liam all'interno di una busta trasparente.

"Non vedi che stiamo parlando?" mi apostrofò il cavallo e sentii di odiarlo più che mai.

"Non vedi che non me ne frega niente?"

Tropical Kiss.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora