quattro; ritratti di famiglia.

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«Guarda, siamo arrivati. Entra e riposati, va bene? Smettila di rovinarti così.»
Mi guardò dritto negli occhi, ancora. I suoi brillavano nonostante fosse buio pesto, i miei erano più neri del buio stesso. Mi appoggiò una mano sul viso e chiusi gli occhi mentre si avvicinava.
Lasciò un morbido bacio sulla mia guancia e poi, lentamente, si spostò.
«Sei bellissima, lo sai?» sussurrò.
Sorrise e si girò per andarsene, e come folgorata all'istante scattai e gli gridai «Aspetta, posso sapere almeno come ti chiami? Se vuoi proprio farmi da angelo custode fallo bene, no?».
Lui mi guardava divertito, ghignando.
«Non ora, Dreena.» disse facendo suonare il mio nome con tono di sfida, tanto per ricordarmi che lui lo sapeva ed io no.
Sorrisi di ripicca e replicai «Bene, bel misterioso, tanto lo scopro da sola se non sarai tu a dirmelo.- feci schioccare la lingua sul palato - Ci si vede in giro.» conclusi civettuola sbattendo le ciglia. Mi avvicinai alla porta ed appoggiai la mano alla maniglia, quando sentii due mani calde premere sul mio bacino.
Mi girò di scatto e mi fece sbattere contro la porta di casa, fissandomi. Si soffermò a lungo sulle mie labbra poi alzò lo sguardo ed incastrò i suoi occhi con i miei ancora. Ormai l'enorme sbronza doveva essermi passata, anche perchè non avrei voluto dimenticare assolutamente nulla di tutto ciò. Sbattei le palpebre più volte.
Si avvicinò paurosamente.
Chiusi gli occhi ed annaspai.
Posò le sue labbra sulle mie, dolcemente, per pochi secondi, poi si staccò ed aggiunse «Non credo proprio». Si incamminò verso il marciapiede e svoltò l'angolo girandosi e facendomi un luccicante occhiolino.

Rimasi nel letto per parecchi giorni. Non volevo uscire dal torpore del mio piumone e soprattutto non volevo assolutamente vedere Charlie.
Mi mancava da morire, però ero ancora arrabbiata con lui per tutte le cattiverie che mi aveva detto.
Afferrai la cornice sul comodino e la osservai bene, come non avevo mai fatto prima. Capii che c'era qualcosa che stonava, ma non ci arrivai subito. Una persona sembrava lì per caso, che non faceva per nulla parte di quell'ambiente.
Io.
Assomigliavo incredibilmente a Meredith. La pecora nera che non aveva niente a che vedere con il resto di pecore bianche.
Mio padre, biondo indomabile e sorridente, nonostante l'età, rimaneva un gran bell'uomo. Fiero e felice della sua vita sempre ottimista. Charlie, biondo e riccio, copia sputata di mio padre nel fiore degli anni, allegro anche lui, con un braccio attorno alle spalle di sua madre, una donna luminosa e dai capelli rossi.
Poi c'ero io, nell'angolo, con i capelli e gli occhi color carbone, sembravo l'incarnazione di tutto ciò chr c'era di sbagliato in quella famiglia. Ed era tutta colpa di Meredith.
Lei si era intrufolata nella loro vita meravigliosa e se n'era andata lasciando la sgradita sorpresa a rovinare tutto.
La sorpresa che era stata cresciuta in modo che non diventasse mai come stava diventando. Ma ormai il tempo delle speranze era finito.
Meredith era tornata, più forte, più giovane e più devastante che mai.

Ero a due passi dalla porta di casa, avevo paura. Guardai il mio indice avvicinarsi lentamente e tremando al campanello. Perchè diavolo ero lì? Non ne avevo la più pallida idea. Anzi, lo sapevo benissimo, era solo perchè non volevo ammetterlo a me stessa.
Volevo sapere di più su quella donna. Dopotutto era mia madre. C'era solamente un piccolo problema, o forse anche più di uno; come ad esempio il fatto che non l'avessi mai vista prima e che tutti parlassero malissimo di lei. Ma mi interessava veramente. Suonai con tutta la forza morale che possedevo e deglutii. Sentii dei borbottii e dei passi avvicinarsi alla porta, pesantemente. Quella si aprì poco dopo e vidi un corpo magro dentro una maglietta visibilmente troppo grossa per la sua taglia fare capolino. Mi squadrò per diversi secondi.
«Se cerchi la roba io non la vendo oggi, devi andare da Josh, mi dispiace», aggiunse.
Perfetto, oltre ad essere una puttana spacciava pure.
Stava per chiudere la porta ma la fermai «Aspetta!- dissi avvicinandomi -Sono Dreena. Anzi probabilmente non lo sai nemmeno chi sono.»
Mi levai il cappello che avevo schiacciato sulla fronte e lasciai che i miei capelli neri scivolassero fino alla vita, straordinariamente simili ai suoi. La guardai e colse al volo la situazione, ancora in religioso silenzio. Mi invitò ad entrare con un sorriso cupo e mentre camminava davanti a me si strinse le braccia. Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto fare, si capiva facilmente da ogni suo movimento maldestro e da tutte le volte che apriva la bocca per dire qualcosa ma alla fine non diceva nulla.
«Allora, Dreena, è così che ti hanno chiamata allora.» deglutì sorridendo pacamente.
«Sì, cioè in realtà mi chiamerei Margareth Dreena. Ma il nome Margareth non mi è mai piaciuto e appena compiuti i diciotto anni l'ho fatto levare» ammisi.
«Che scelta... particolare.»
«No, per la verità. È il tuo secondo nome, l'ho scoperto solo più tardi. E non so il motivo per il quale mio padre abbia deciso di darlo anche aa me, ma mi è sempre piaciuto molto di più del mio.» ammisi nuovamente.
Lei mi guardò perplessa e alla fine mi chiese «Come mai sei qui?»
Non lo sapevo. Non lo sapevo per niente, a dire il vero. Immagino che volessi vederla, capire già da allora che ero molto più simile a lei di quanto tutti avrebbero voluto.
«Io volevo vederti, nessuno mi ha permesso di farlo.»
«Se non l'hanno fatto ci sarà un motivo. Credo che tu sia abbastanza sveglia da arrivarci.»
«È solo che credo di essere molto più simile a te. Mi sembra di non c'entrare nulla con essi. Hanno paura di me, e l'hanno sempre avuta, solo perchè non sono come loro, e la cosa li spaventa. Tu li spaventi. Ed io non mi sento così libera da quando mi drogavo l'anno scorso, ma ero nel 'periodo nero' e non so più cosa pensare di me.» conclusi il mio monologo respirando profondamente. Lei sorrise appena e pensai che fosse davvero bella. Poi disse «Piccola Dreena, sei già nella merda fino al collo. Ormai sei caduta nel tartaro, ed a meno che qualche angelo non ti aiuti a risalire, dovrai morire tentando di farti crescere le ali o arrendendoti. Non fare come me, non distruggerti da sola. Vieni, ti riaccompagno alla porta.» si alzò e la seguii. Mi guardò per svariati secondi e sorrise.
«Sai, ti ho sempre immaginata uguale a tuo padre, invece l'unica cosa che hai di lui è il modo con cui guardi le persone, la curiosità stampata in volto. Mi dispiace averti rovinato la vita rendendoti come me, ma sono felice di averti vista, almeno una volta.» poi chiuse la porta ed io tornai a casa.

Sdraiata sul mio letto, non riuscivo a smettere di pensare a lei ed alle sue parole. Perchè tutti la odiavano e la disprezzavano? Infondo non era nemmeno colpa sua se gli ero capitata tra i piedi, era ancora giovane e pensai che nessuno volesse un figlio a quell'età e per colpa di una scappatella. Certo, era pur sempre una spacciatrice e prostituta, ma se mio padre c'è stato a letto avrebbe dovuto pensare alle possibili conseguenze.
Decisi che ero stufa di rimuginare inutilmente sul passato e che forse prendere una boccata d'aria mi avrebbe fatto bene. E poi volebo assolutamente sapere qualcosa di più sul misterioso ragazzo, ma quello sembrava sempre apparire quando facevo stronzate.
Era giunta l'ora di devastarsi, di nuovo, come se non ne conoscessi le conseguenze.

Bianco come un angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora