due; diamante.

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La mia mattinata stava passando nel migliore dei modi: Charlie era fuori con non so che ragazza ed io avevo la casa tutta per me. Non che facesse molta differenza, ma almeno se facevo qualcosa che potesse dargli fastidio non era presente per lamentarsi. Amavo mio fratello, ma era un tale rompi coglioni certe volte.
Non lo biasimavo, abbiamo avuto entrambi una vita abbastanza isolata e soggetta a continui cambi non richiesti ed impedimenti ed eravamo stufi marci di quella monotonia.
Lui si era già ripreso però, per quanto avessi potuto constatare.
Era tutto preso dalla sua nuova conquista e sempre più spesso mi trovavo sola in casa.
Quel giorno pioveva, ancora, ed io avevo voglia di una sigaretta, che non avevo. Ma non avevo neanche voglia di uscire a comprarle, quindi optai per rovistare tra la roba di Charlie, di sicuro lui ne aveva.
Infatti le trovai.
Spalancai la porta del balconcino della camera e uscii, scalza ed in mutande, con una maglia sformata comprata ad un concerto degli Slipknot.
Mi appoggiai alla ringhiera con i gomiti e lasciai penzolare il braccio con la sigaretta quando finii di aspirare il primo tiro.
L'invadente sapore di fumo mi scaldò i polmoni ed il torace e poi uscì sotto forma di nuvola biancastra dalla mia bocca. Mi divertivo molto a formare i cerchi col fumo quando lo facevo uscire da me, era rilassante e mi portava via un sacco di tempo. Generalmente non fumavo molto, ma in quel periodo ne sentivo il costante bisogno, come della caffeina.
Caffeina e nicotina, che mix salutare e affatto cancerogeno per l'organismo.
Sinceramente, del mio corpo me ne fregavo, e poi ne ho pagate le conseguenze, quando tutti i problemi sono venuti a galla. Piú tenti di nasconderli, più questi riaffiorano famelici, divoratori d'anima e corruttori del cuore, lasciano profonde fosse colme di sensi di colpa e commiserazione. Avrei dovuto saperlo.
Anzi, lo sapevo benissimo, semplicemente me ne sbattevo, credendo che tanto peggio di così non potesse essere.
Cristo, quanto mi sbagliavo.

Spensi la cicca in una goccia d'acqua sul ferro della ringhiera, facendo salire l'ultima strisciolina di fumo da essa, poi la lasciai cadere giú, seguendola con lo sguardo.
Mi girai e feci per rientrare in casa, quando sentii uno sguardo bruciante dritto nella schiena, una pugnalata immaginaria, che di immaginario non aveva di certo il dolore.
Scattai fulminea e riuscii ad intravedere due occhi liquidi e di vetro fissarmi e poi girare l'angolo, abbassandosi a fissare il terreno.
Ancora lui.
Adesso basta. Erano settimane che mi sembrava di averlo sempre dietro, incollato alle mie calcagna. Lo vedevo ovunque.
Credetti pure di essere diventata pazza, non era normale una cosa del genere, era una cosa malata.
Un'ossessione assurda che avevo.
Ma no, quella volta no, sapevo di non essermelo solo immaginato. Uno sguardo del genere non si immagina: si sente, sulla pelle, brucia e trasuda sentimenti da tutti i pori.

Sbattei la porta e corsi nella direzione in cui l'avevo visto andare. Lo intravidi nuovamente e giró un angolo, scomparendo.
Eh no, questa volta no.
Svoltai quel dannato angolo e mi ritrovai in un vicolo cieco, e di lui nessuna traccia.
Tremai e sentii il volto bagnarsi.
Rimasì lì fino a quando i miei piedi ancora nudi non furono gelati, la mia maglia e i miei capelli zuppi, incollati al viso. Tornai a casa, ripetendomi che sulla mia faccia era bagnata per colpa della pioggia e che tremavo per il freddo.
Stronzate. Lo sapevo benissimo che erano lacrime di delusione, rabbia e smarrimento. Ero solo testarda, molto più di quanto lo sia adesso. Non ammettevo mai un segno di debolezza o cedimento. Dovevo essere forte, dura ed autoritaria, per poi sgretolarmi come un castello di sabbia secco, spazzato via da un soffio.
Ed era quella la cosa che piú temevo al mondo, quel fottuto soffio.
Io non volevo sgretolarmi come la sabbia secca. Io volevo essere sempre al giusto posto, fiera ed inscalfibile. Un diamante.
Solo che i diamanti tagliano, e fanno male.

«Cristo stanto, Dreena, piantala di fare cazzate!- era esasperato. Non ci voleva un genio per dedurlo. -Prima perdi roba ed uno sconosciuto viene a portartela a casa, poi me ne vado e quando torno sei in condizioni pietose e per finire ti devo venire a prendere da Drake perchè dopo che avete fatto sesso lui non si scomoda nemmeno per portare il tuo fottuto culo in questa cazzo si casa! Io non so cosa fare con te. Sei adulta, per Dio! Piantala di fare la ragazzina che quando ha un problema fugge a scopare con la prima persona le capita in rubrica o a strafarsi di erba. Oppure entrambi. E conoscendoti non voglio neanche sapere la risposta. La devi smettere. Capiscilo. Lo dico per te.»
Se ne andò sbattendo la porta violentemente. A breve sarebbe caduta a furia di lanciarala in quel modo.
Mi ferì, e non poco.
Lui mi credeva una ragazzina. Bene, parla il grande adulto responsabile. Lui che si sbronzava tanto da non riuscire a tornare nemmeno a casa.
Ma ora basta. Da quel giorno sarei cambiata.
Anzi no, non l'avrei fatto. Chi era lui per dirmi cosa fare? Nessuno. Dovevo andare al college, ero grande abbastanza per prendre io le decisioni riguardanti la mia vita.
Urlai isterica e mi avvicinai al muro, sbattendoci sopra la testa ripetutamente.
Sigarette, alcol, pasticche, erba e scopare.
Di quello avevo bisogno.
Subito.
Magari non tutti assieme, ma prima della fine della giornata di sicuro avrei spuntato l'intera lista.
Volevo solo bruciarmi ogni singola cellula del corpo e dimenticare, o semplicemente fingere di non aver mai sentito quelle dannate parole uscire dalla sua bocca.

Ansimai e gemetti, incrcando la schiena.
C'ero quasi. Un paio di spinte sarebbero bastate a farmi venire e lasciare al più presto quel posto.
Urlai e mi accasciai sul materasso, chiudendo gli occhi. Sentii lo scatto metallico di un accendino e vidi Drake fare un tiro e passarmi la sigaretta.
La presi tra due dita e mi alzai a sedere, aspirai e poi gliela ripassai.
Il ciclo continuó fino a quando non finì.
Mi lasciai guidare dalla luce fioca della stanza e lo guardai di sbieco. Le ciglia scure, il profilo del naso, le labbra, le clavicole, i pettorali, la linea tra gli addominali ed il basso ventre. Sospirai e richiusi gli occhi. Nom era di certo brutto.
Non sapevo come definirlo. Sulla linea tra amico ma nemmeno più di tanto, però si guadagnava un sacco di punti per quanto riguardava il sesso e come farmi passare il tempo.
«Va tutto bene? - chiese cauto mettendomi una mano sul collo.
- ti riaccompagno a casa, su vestiti.» disse mentre mi sorrideva e finiva di indosare i suoi abiti.
Sorrisi lievemente di ricambio e nel giro di dieci minuti ero a poche decine di metri da casa mia.

Bianco come un angeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora