III-A tavola con dei Semidei

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Lucrezia e Tommaso

Strinse forte il fratellino sotto al tavolo mentre una serie di rumori riempiva la stanza. Gli altri clienti dovevano essere scappati via terrorizzati da tutto quel trambusto, e avevano fatto bene. Molto bene e anche molto intelligentemente. Loro erano solo riusciti ad infilarsi sotto il tavolo ed a sperare che tutto finisse.
Ma com'era successo tutto ciò?
Lucrezia Germani era una normalissima ragazza di diciassette anni da poco compiuti. I capelli ricci e ribelli color carota, gli occhi celesti. Molti dicevano che fosse la copia spiccicata di sua madre, sopratutto da quando era cresciuta. Viveva a Dublino fin da quando era nata, ma suo padre, Aurelio Germani, aveva insistito perché imparasse l'Italiano. Andavano a trovare i nonni paterni ogni anno fino all'incidente della madre di Lucrezia. Lei aveva solo cinque anni e la vide morire tra le sue braccia mentre il pirata della strada che l'aveva investita correva il più lontano possibile.
Non erano più tornati a Ferrara e vedeva i nonni solo tramite il computer. Aurelio sosteneva che fosse a causa del suo lavoro, era diventato ambasciatore italiano in Irlanda, ma Lucrezia aveva sempre pensato che in realtà fosse perché odiava quel posto. Nessuno dei due aveva mai veramente dimenticato quell'incidente e a nessuno dei due piaceva l'idea di tornare nella città che aveva distrutto la loro famiglia.
Fino ai dieci anni Lucrezia crebbe da sola con il padre, poi arrivò lei. Era la nuova fiamma di Aurelio, una persona dolcissima e sempre disponibile con un'insana ossessione per corvi e cornacchie grige. Ebbero un figlio dai capelli neri spenti striati di grigio e gli occhi calamitosi che chiamarono Tommaso.
A Lucrezia non dispiaceva: stava bene con la nuova compagna di suo padre e avere un fratello minore era bellissimo. Tutto cambiò quando la donna scomparve nel nulla lasciando i tre da soli. Di nuovo. Aurelio non sembrò sorpreso quando accadde, come se aspettasse da tempo quell'addio. Cercò di essere più fiducioso che mai e non fece mancare mai l'affetto a nessuno dei due bambini. Lucrezia, dopo un momento di dubbio e sbandamento, si sentì più responsabile e più che una sorella divenne una madre per il piccolo Tommaso di appena due anni.
Un colpo più forte sul tavolo fece tremare il bambino che si strinse alla sorella e chiuse gli occhi dietro gli occhiali tondi. Lei rispose facendo da scudo mentre delle schegge volavano e il tavolo si spezzava in due.
"Doveva essere una normale cena tra ambasciatori!" pensò stringendo Tommaso "Cos'è tutto questo? Perché le forze dell'ordine non intervengono? O Signore Mio Dio, vieni in nostro aiuto.".
La soluzione a tutto per lei era la preghiera e anche in quell'occasione iniziò a recitare le frasi imparate a catechismo e a Messa sperando che funzionasse. Suo padre aveva voluto che avesse un'educazione cattolica, così come il fratello. La differenza tra i due era l'approccio con la chiesa. Lucrezia lo vedeva come una via di salvezza, Tommaso come una cella da cui sperava di uscire il prima possibile.
Il tavolo si sollevò e volò contro la parete. Sopra di loro si stagliava un uomo asciutto dai capelli neri e gli occhi blu oceano che lei riconobbe come l'ambasciatore nordamericano Bill Edward Connors. Strinse ancora di più il fratellastro e guardò terrorizzata l'uomo, poi il suo sguardo si spostò su suo padre steso a terra e bloccato dall'ambasciatrice francese Suzette Departement e dall'ambasciatore greco Babylas Gonias. Ansimava, aveva il vestito elegante strappato e molte ferite sanguinanti. Benché malconcio stava cercando di liberarsi da quella costrizione.
« Bene, bene. E ora il lavoro per cui siamo venuti.» disse Connors alzando una mano sui due ragazzi. L'acqua delle brocche ancora integre del ristorante, dei bicchieri, delle pozze per terra e dell'acquario per pesci che decorava la stanza si riversò attorno a Lucrezia e Tommaso creando un vortice e impedendo loro di vedere all'esterno.
« Ho... ho paura.» tremò il bambino guardando la sorella.
« Andrà tutto bene.» disse la ragazza accarezzandogli la testa, ma non sarebbe andato tutto bene. Ne era ormai certa.
« State sbagliando! Prendi me e lascia stare loro!» si sentì gridare Aurelio.
« Cosa? E rischiare una terza guerra mondiale? Non credo proprio. Pensavi veramente che fossimo venuti qui per te?» rise Connors. Il turbine d'acqua si strinse sempre di più e diventò una sfera attorno ai due fratelli. Chiusero la bocca e trattennero il respiro mentre l'acqua si compattava su di loro e li sollevava da terra. Tommaso chiuse gli occhi mentre Lucrezia provò a guardare fuori da quella prigione trasparente. Il movimento si era calmato e ora sembrava di vedere tutto attraverso una colonna d'acqua corrente. Suo padre era ancora steso e stava urlando contro l'ambasciatore americano. Non riusciva a sentire cosa si dicevano, ma poteva leggere le labbra: lavorare con i sordomuti l'aveva aiutata a sviluppare quella capacità.
« Non lo fare!» diceva« Non capisci che non servirà a niente? Vi causerà solo altri nemici. Non vi bastano Egizi e Romani?».
« Ahahahah!» rideva la Departement con i lisci capelli biondi e gli occhi giallo sole seduta sulla sua schiena come una gatta cacciatrice« Cosa pensi che siamo, stupidi? Sappiamo bene che loro come te sono Faraoni. Niente Faraoni, niente Cultura Egizia!».
« Allora uccidete me! Potrei essere molto più pericoloso, loro non sanno niente!» esclamò Aurelio.
« Sapranno in futuro da altri. Non possiamo permetterci che sopravvivano, inoltre se uccidessimo te sarebbe un terribile incidente diplomatico e come ho già detto non voglio causare una terza guerra mondiale tra U.S.A. e Italia.» spiegò Connors« Senza contare i problemi che avrebbero i miei colleghi in Francia e Grecia.».
« Anche uccidere loro, i figli dell'ambasciatore Italiano, non sarebbe una gran trovata!» commentò provando ad allontanare la donna. Possibile che la Departement fosse così forte?
« Dici? No, se nessuno lo sa e nessuno ci crede, non è mai accaduto.» spiegò Gonyas grattandosi con il manone i capelli grigi ricci e guardandolo con i suoi occhi verde foglia« Tu stesso hai cercato di nascondere la loro esistenza per paura che venissero rapiti.».
« Siete dei mostri! Ve ne pentirete! Non avere idea delle forze che avete scatenato!».
Bill guardò versoi due ragazzi e i suoi occhi blu profondo sembrarono prendere il turbinio dell'acqua che li circondava. Un sorriso poco rassicurante gli incurvava le labbra, come se si divertisse a vederli soffrire.
« Potrei sempre congelarli.» disse, l'acqua sembrò calare bruscamente di temperatura e Tommaso si strinse ancora di più alla sorella tremando« Farli morire assiderati potrebbe far capire ai tuoi amici chi sono quelli che vinceranno la guerra, non trovi anche tu?» Lucrezia guardò il fratello e cercò di stringerlo ulteriormente per fargli calore. Le labbra erano viola e stava prendendo un colorito spento. Sarebbe collassato da lì a poco, o per assenza di ossigeno o per il freddo che stava penetrando bruscamente nella sfera. Sarebbe morto come era morta sua madre, gli sarebbe morto tra le braccia e lei non avrebbe potuto fare niente.
No. Non poteva permetterlo.
Con tutte le forze che le erano rimaste allungò la mano verso l'esterno della sfera e cercò di prendere il braccio di Connors. Se fosse riuscita a spostarlo magari avrebbe potuto liberarli da quella trappola mortale. Aveva la strana sensazione che fosse quella la causa, quella mano sempre puntata su di loro. L'americano se ne accorse subito e si spostò dalla parte opposta senza perder la concentrazione. Il sorriso era sparito e ora guardava serio la ragazza che sentì la sfera stringersi su di loro. Ritrasse il braccio e tornò a stringere il fratello sperando che non fosse già troppo tardi. Iniziava a vedere annebbiato e si sentiva tutta un tremito per il freddo. Connors rise e questa volta lo sentì come se fosse all'interno dell'acqua. Come se fosse stato lui l'acqua. Lui era l'artefice e il mezzo nello stesso momento.
Lucrezia sentì i sensi abbandonarla, gli occhi ormai chiusi dalla fatica e la bocca sul punto di cedere. Credeva di essere giunta alla fine quando la bolla esplose facendoli piombare a terra ansimanti. Tossì un attimo, poi guardò il fratello. Tommaso aveva ormai perso conoscenza, tossì un po' ed aprì gli occhi lievemente come a dire "Tranquilla, sono vivo.". Li richiuse ed iniziò ad ansimare avido d'ossigeno.
« Tommy.» sibilò Lucrezia cercando di non piangere« Non ti addormentare. Resta sveglio, ti prego.».
« Andate via, bestiacce!» esclamò Departement, ma non ci fecero troppo caso.
« Tra...tranquilla sorellona.» ansimò Tommaso senza aprire gli occhi« Ora i miei amici ci aiuteranno.».
Lucrezia tremò. Un po' era il freddo e un po' le parole del fratello. Quando parlava dei suoi amici si riferiva molto spesso a cornacchie grige, corvi e avvoltoi.
« Tutto bene?» chiese il padre raggiungendoli, da vicino sembrava ancora più malconcio.
« Io sì, ma Tommaso...» cercò di spiegare la ragazza.
« Dobbiamo andarcene. Non li terranno impegnati per molto.» prese il bimbo in spalla e fece per uscire« Presto, Lucy!».
La ragazza si alzò e lo seguì. Per un attimo si voltò indietro a vedere cosa stava succedendo e ciò la lasciò sconvolta: un nugolo di corvi e cornacchie grige si era abbattuto sui tre ambasciatori che stavano cercando in vano di scacciarle via.
Con un tremolante scatto ricominciò a seguire il padre e il fratello iniziando a chiedersi cosa stesse succedendo.





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