I - Incontri inaspettati

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"Perché non sono una semplice lavoratrice? Perché devo ancora venire qui? Perché?".

"Sssh! Hannah, per favore, sta' zitta!".

"Che c'è? Tanto quella non mi sente, è troppo presa con la storia di tutti i sacrosanti monaci della Chiesa. Bah, non si accorgerebbe nemmeno se la classe sprofondasse improvvisamente per colpa di un terremoto".

Mi voltai a guardare Hannah, implorandola con lo sguardo di tenere la bocca chiusa.

Quella era la seconda ora consecutiva di storia e Domina Maria non sembrava accorgersi che gran parte della sua aula ormai aveva rinunciato alla dura impresa di prestarle un po' di attenzione e di prendere appunti. Sembravo l'unica intenzionata a seguire la lezione, oltre ad un paio di altri studenti, solo per pietà. Del resto mancava poco alla fine delle due ore, un ultimo sforzo potevo pure concedermelo.

"Oh, andiamo, davvero la stai a sentire?", esclamò Hannah, scioccata.

Per farle un dispetto, intinsi la mia penna d'aquila nell'inchiostro e iniziai a segnare tutte le date che Domina Maria stava elencando proprio in quel momento. Stavo per chiudere la boccetta dell'inchiostro quando un urlo alla mia sinistra mi fece sobbalzare, e gran parte del contenuto finì sulla pergamena.

"Bene", sussurrai, con i nervi alle stelle. "Bene. Posso sapere perché hai urlato?", chiesi ad Hannah, voltandomi verso di lei.

Mi guardò come se fossi impazzita. Solo in quel momento mi accorsi che la lezione era davvero finita e che il rintocco della campana aveva permesso a venti studenti di alzarsi all'unisono dai loro banchi con l'aria più assonnata di prima, cercando di nascondere degli evidenti sbadigli che caratterizzavano il viso di ognuno di loro.

Misi la penna, il calamaio – ormai mezzo vuoto – e la pergamena zuppa nella borsa, seguendo Hannah e il suo entusiasmo fuori dall'aula.

"Perché hai quell'aria imbronciata?", mi chiese, in corridoio.

"Era la mia ultima boccetta d'inchiostro. Devo andare a comprarne delle altre dopo arte".

Gli occhi di Hannah si illuminarono all'improvviso e alzò il passo. "Uh, oggi Domino Hans ci porterà un modello da dipingere!".

Mi affrettai a raggiungerla, entrando subito dopo di lei nella circolare aula di disegno. In effetti al centro della stanza vi era uno sgabello di legno goffamente intagliato e Domino Hans sorrideva con più eccitazione di Hannah.

Prendemmo posto dietro le tele da disegno e, quando fummo tutti presenti, Domino Hans iniziò a parlare col suo consueto sorriso.

"Oggi avrete l'onore di fare un ritratto! Marcus, entra pure, prego!".

Dalla porta laterale della stanza uscì un ragazzo piuttosto in carne, con folti capelli neri e occhi color fango accompagnati da un sorriso tirato e molto, molto falso: il tutto su una sorprendentemente brutta faccia da schiaffi.

"Sì, e il modello dov'è?", chiesi, forse a voce un po' troppo alta. Domino Hans mi fulminò con lo sguardo mentre il resto della classe mascherava le risatine con dei colpi di tosse.

lui il modello, signorina Wild", mi rispose infatti Domino Hans con voce fredda.

Con la coda dell'occhio mi gustai l'espressione offesa di quello che il professore osava definire un modello. Lo squadrai da capo a piedi cercando di non ridergli in faccia: indossava solo un sottile velo attorno ai fianchi e in mano teneva un grappolo d'uva che sembrava minuscolo vicino a lui.

"Da quando in qua i maiali mangiano l'uva?", sussurrai ad Hannah accanto a me.

"Rappresenterà Bacco, il dio del vino", continuò Domino Hans.

"Ah, ora sì che si spiega il grappolo d'uva. Come ho fatto a non pensarci prima?", borbottai.

"Entro la fine dell'ora dovrete consegnare il disegno", disse poi il professore.

Prendemmo tutti la grafite posta sotto le tele da disegno e iniziammo il ritratto. Ero particolarmente brava in arte e forse solo per questo motivo Domino Hans non mi aveva cacciata fuori dall'aula quando mi era sfuggito il commento offensivo. Ma quella si presentò come un'impresa particolarmente difficile: Marcus non pensava minimamente a stare fermo, continuava a sorridere beffardo tenendo il grappolo d'uva sempre più vicino alla sua bocca fin quando i chicchi non cominciarono a diminuire uno dopo l'altro scomparendo nel suo stomaco, evidentemente convinto che nessuno se ne sarebbe accorto.

Quando mancavano pochi minuti alla fine dell'ora, mi allontanai un po' per vedere il mio disegno: avevo cambiato un pochino alcuni dettagli del modello che adesso era decisamente più magro, più bello e in mano aveva ancora il grappolo d'uva tutto intero.

"Ehm, Elenoire, lo so che non dovrei dirti nulla e che hai agito secondo delle buone intenzioni, ma... non ti sembra che Marcus pesi un po' troppo di meno, nel tuo disegno?", sussurrò Hannah, guardando il ritratto sulla mia tela con occhi divertiti.

"Se non avessi aggiunto questa piccola modifica, non credo che sarebbe entrato nella tela".

Domino Hans approvò il mio disegno pochi minuti più tardi, segno che la delusione per il mio commento di quasi un'ora prima era del tutto sparita.

Con un sorriso stampato sul volto, mi diressi verso i dormitori insieme ad Hannah: lei, come me, era rimasta orfana fin da piccola e le suore del nostro collegio ci avevano accolto quasi istantaneamente. Eravamo cresciute insieme ed eravamo delle sorelle a tutti gli effetti, nonostante il nostro aspetto fisico esprimesse senza problemi le differenze tra di noi cancellando il nostro sogno su una possibile parentela: lei aveva dei lunghi capelli neri e lisci, accompagnati da occhi color nocciola; io avevo degli altrettanto lunghi boccoli castani e degli occhi talmente neri che ormai chiunque aveva rinunciato a scovarvi le pupille.

Vivevamo in quel collegio praticamente da sempre nonostante non aderissimo in particolar modo alla vita tutta casa e chiesa che le suore volevano imporci; ogni anno dei nuovi ragazzi prendevano alloggio per seguire le lezioni occupando il posto di coloro che, finiti gli studi, si immergevano nel mondo del lavoro.

Hannah era più grande di me di un mese, ma entrambe avevamo diciassette anni e mezzo: lei avrebbe festeggiato il compleanno ad agosto, io a settembre.

Arrivate nel corridoio conducente alle nostre stanze, mi fermai di botto.

"Oh, no", borbottai. "Hannah, ci vediamo domani. Io devo andare a comprare un bel po' di boccette d'inchiostro prima che il negozio chiuda".

Hannah si fermò a guardarmi come se stessi per morire, poi disse: "Fa' attenzione".

"Certo", la tranquillizzai. Corsi fuori dai dormitori scendendo i gradini delle scale a due a due con la gonna della divisa terribilmente d'intralcio. Andavo controcorrente mentre tutti gli altri studenti si affrettavano a salire nelle loro stanze e ci misi un po' ad arrivare alla porta d'uscita del collegio. Quando finalmente fui fuori, all'aria fresca e genuina, mi incamminai a passo svelto per oltrepassare la folta coltre di alberi che si innalzavano ai lati del sentiero, diventati sinistri all'improvviso con lo scomparire del sole dietro le montagne.

Arrivai al negozio giusto in tempo, che si trovava proprio alla fine del sentiero per facilitare il viaggio agli studenti, e misi le tre boccette di inchiostro appena comprate nella borsa.

L'assenza di persone in giro per il paese non mi sorprese più di tanto: molti avevano paura di andare in giro quando calava il sole, oppure andavano a bere qualcosa alle varie locande.

Alzai il passo non appena raggiunsi il sentiero che conduceva al collegio, quando una luce soffusa alla mia destra mi costrinse a voltare la testa.

Un grido acuto e incessante accompagnava quella visione, provocato da una figura bianca, luminosa e indubbiamente spettrale, mentre degli occhi dalle orbite vuote mi fissavano, le braccia si alzavano verso di me e la sagoma fluttuava nella mia direzione.

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