II - Ali e cuori

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Non è possibile. Sto sicuramente sognando.

Eppure quella cosa continuava a muoversi verso di me, sospesa nell'aria, con gli occhi bianchi e spettrali. Da quando in qua esistevano i fantasmi, poi? No, doveva essere per forza un sogno.

Eppure iniziavo a sentirmi male, i contorni degli alberi apparivano sfocati, la testa mi bruciava da morire e l'unica cosa che continuavo ad avvertire era il suo grido che si diffondeva nella foresta e dintorni, mentre un velo di sudore freddo andava allungandosi sulla mia schiena.

Forse era tutto vero...

Ma allora perché continuo a stare ferma come un'idiota?

Dovevo scappare. Continuando ad osservare di sottecchi quello che a tutti gli effetti sembrava uno spirito con le orbite vuote, i lunghi capelli bianchi e fluttuanti e il viso scheletrico, iniziai a fare qualche passo indietro. Sarei dovuta tornare in collegio? E se mi avesse seguita fino a lì?

Ma qualcosa apparve subito dopo nel mio campo visivo, come se fosse piovuta dal cielo.

Una figura scura era comparsa tra me e la donna fantasma, poggiato a terra su un ginocchio solo, brandendo tra le mani un qualcosa che aveva appena conficcato nel terreno che poteva essere una spada o semplicemente un bastone.

Mi portai una mano alla bocca per impedirmi di urlare, troppo presa ad osservare le sue enormi ali nere che si spiegavano lentamente mentre quello si alzava e si dirigeva correndo verso la donna.

Perfetto, ora potevo scappare senza che quella cosa mi seguisse.

Come leggendomi nel pensiero, il nuovo arrivato lanciò all'indietro un qualcosa di affilato che sfiorò il mio orecchio destro con un sibilo acuto e andò a centrare l'albero accanto a me.

"Non osare muoverti, ragazzina", sentii dire da una voce fredda e maschile, evidentemente proveniente dall'essere alato.

Diedi un'occhiata veloce al pugnale appena conficcatosi nel tronco dell'albero e subito mi rigirai a guardare la scena che si svolgeva davanti ai miei occhi, inorridita.

L'uomo con le ali stava estraendo quella che si rivelò essere una spada dal terreno e la stava trapassando nel corpo della donna fantasma, la quale si tramutò istantaneamente in uno sbuffo di fumo.

Avevo ancora il suo grido acuto nelle orecchie quando il buonsenso mi suggerì di scappare il più veloce possibile da quell'assassino.

Ancora una volta sembrò capire le mie intenzioni, perché – non appena mi girai per tornare in collegio – sentii una mano spingermi premendo sulla schiena e facendomi sbattere violentemente all'albero contro cui aveva lanciato il pugnale qualche momento prima.

"Ti avevo ordinato di non muoverti", sibilò l'uomo alato, alle mie spalle, come a volermi bloccare tra lui e il tronco.

Con orrore mi accorsi che il pugnale non era più vicino a me, ma l'improvvisa lama fredda che mi sentii puntare dritta al collo non poteva dare altre spiegazioni della sua improvvisa scomparsa.

"Chi sei?", sussurrò l'estraneo al mio orecchio, distaccato e al tempo stesso divertito.

"Non pensi che dovrei essere io a chiederlo a te, per prima?", sbottai con un coraggio che fino a qualche momento prima non credevo di possedere.

Premette la lama con più insistenza sulla mia pelle e a quel punto prevalse il mio istinto di sopravvivenza. "Elenoire Wild", sbuffai. "Vivo al collegio qui vicino".

Sembrò soppesare quelle mie parole perché aspettò qualche secondo prima di chiedermi, freddo: "Da quanto tempo?".

Mi strinsi nelle spalle cercando di ignorare il pugnale puntato ancora contro di me. "Da sempre".

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