Capitolo 15

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Diversi tubi nel quale scorrevano liquidi di molti colori uscivano dal corpo sdraiato di Keira.
Lei era pallida più magra del solito, troppo magra per avere forze.
I suoi occhi chiusi non accennavano il minimo movimento di apertura.
Sembrava morta.
Quando Josh entrò nella stanza 520 dell'ospedale centrale di Borås il cuore gli si fermò nel petto.
La faccia gli sbiancò, una cosa non normale per un lupo mannaro, e un urlo gli si spense in gola.
Corse ai piedi del letto nel quale giaceva Keira e allungò una mano fino a toccarle il viso. Era gelida.
"Non è possibile, non è possibile" si ripeteva Josh.
Con un balzo si risvegliò dal sogno.
Cercando di tranquillizzarsi e rallentare i battiti si mise a sedere sul letto morbido. Si asciugò il sudore dalla fronte, non si era accorto di avere svegliato il compagno di fianco a lui.
«Tutto bene fratello?» gli chiese l'amico toccandogli la spalla.
«Si, ora va tutto bene, solo un incubo. Grazie, Cal» gli rispose Josh sforzando un sorriso.
Calvin era da sempre il suo compagno di stanza, da quando era diventato un lupo mannaro. L'amico lo era da prima di lui, era stato trasformato da più piccolo, a nove anni. Quando subì lui la trasformazione, a undici anni, fu letteralmente salvato: sarà per sempre in debito con il suo capo per questo. É vero, la vita non era più la stessa, aveva dovuto troncare i rapporti con tutti, imparare a vivere in un nuovo modo e sopratutto saper dimenticare, perchè finchè dopo la trasformazione uno non impara ad accettare di non essere più umano, e non si capacita che non lo sarà mai più, resterà sempre in una via di mezzo, non un vero lupo. Josh lo era; anche Cal.

Si riscosse dai pensieri e si alzò in piedi, percorse la piccola stanza fino ad arrivare ad un armadio, lo aprì e prese fuori una t-shirt rossa della Carlsberg.

«Quella è una delle mie» gli disse Calvin che anche lui si stava alzando dal letto.

«Oh, giusto scusa» rispose Josh osservandola. «Io non porto le maglie con un marchio di birra stampato sopra» rise e la laciò all'amico, che benchè fosse voltato dalla parte opposta, con uno scatto la prese al volo. Josh si rimise a frugare nell'armadio e alla fine tirò fuori una t-shirt nera sbiadita e dei jeans.

«Molto meglio» replicò mentre si vestiva. Cal rise alzando gli occhi al cielo.

«Comunque io esco, dì a Coleman, se ti chiede dove sono, che sto svolgendo il compito che mi ha assegnato» e vedendo lo sguardo perplesso dell'amico aggiunse: «Lui capirà»

Quando fu fuori dalla maestosa casa che era la sua dimora, il ragazzo si mise a camminare a passo svelto. Puntava verso l'uscita dal bosco, verso la città. Pestando il terriccio umido, ripensò al sogno che aveva appena fatto. Continuava a ripetersi che era solo uno stupido incubo, ma una voce dispettosa dentro di lui gli ricordava: "E se succedesse davvero?". Keira aveva scritto nella lettera che era malata, ma questo non significa nulla. Potrebbe avere qualsiasi cosa, perchè dovrebbe avere proprio ciò che teme lui?

Eppure questo spiegherebbe perche negli ultimi tempi la vedeva in modo diverso, non riusciva a starle lontano, essere a contatto con lei era come una droga, che quando viene tolta fa stare male. Le ultime settimane senza di lei infatti erano state orribili, ma aveva voluto darle il tempo che voleva per pensare. Proprio mentre si stava convincendo che ci che lo spaventava poteva essere possibile, un altra voce parlò dentro di lui, ancora più antipatica di quella di prima: "Josh non fare lo stupido. Keira è un umana, sai benissimo che a questo punto starebbe molto peggio, se avesse ciò che pensi tu" La voce aveva ragione, doveva smetterla di preoccuparsi. Arrivando sulla stada asfaltata vicino alla casa della ragazza mise da parte quel pensiero. In fondo preferiva così, perche se per caso fosse vero ciò che temeva, allora la sua amica era in grave pericolo.

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