"Bentornata a casa, Juliet. Ci sei mancata." disse Nicola. Mi staccai dall'abbraccio e sorrisi. Anche loro mi erano mancati, e molto. A differenza di alcune mie amiche, io andavo molto d'accordo con entrambi i miei fratelli.
La differenza d'età tra me e Adam non era molta, perciò da piccoli giocavamo sempre insieme, al parco vicino a casa con gli altri bambini del vicinato. Certo, come tutti i fratelli, le litigate non mancavano: lui mi tirava i capelli, io gli mordevo un braccio. Un giorno, quando avevo all'incirca nove anni, mi aveva fatto talmente arrabbiare che per dispetto presi la sua pistola d'acqua nuova di zecca e la buttai dal terrazzo, rompendosi in mille pezzi. A volte me lo rinfacciava ancora. Nonostante tutto, crescendo ci eravamo sempre protetti l'uno con l'altro, non facevamo mai la spia con i genitori. Uscivamo insieme il sabato sera, avevamo amici in comune con cui trascorrere piacevoli serate in compagnia.
Nicola, invece, divenne il mio bambolotto preferito quando nacque. Gli stavo sempre appiccicata, lo coccolavo, lo facevo addormentare nel lettone dei nostri genitori, confidandogli i piccoli segreti che non confessavo neppure alla migliore amica dell'epoca, sapendo che non li avrebbe rivelati a nessuno. Era un bambino molto affettuoso e tutte le mie amiche lo adoravano. Ero molto orgogliosa di portarlo a spasso con me, di essere la sorella maggiore che si occupava dell'ultimo arrivato.
"Dai, portiamo su le valigie e andiamo a mangiare, inizio ad avere fame!" disse Nicola. Scoppiai a ridere. Non era cambiato, anche lui non vedeva l'ora di rimpinzarsi con le bontà della nonna. Adam sollevò il bagaglio più pesante, Nicola quello più leggero. Ecco uno dei motivi per cui ero contenta di avere due fratelli!
Li seguii insieme a Kalinda per la scala esterna che portava al piano superiore, dove abitavamo noi. La porta principale era aperta, quindi entrammo lasciando le valigie in entrata. Avrei avuto tempo di disfarle con calma. Il profumo familiare di casa invase le mie narici, facendomi sorridere.
Mi diedi un'occhiata in giro. Mia madre non era una donna che spendeva molto per sé, ma le piaceva apportare modifiche alla casa per renderla più confortevole. Notai che aveva cambiato le fodere del divano, le quali erano ora di un rosso vivo. Me ne aveva parlato qualche mese prima al telefono, diceva che voleva rendere il salotto più accogliente, visto che è la prima stanza visibile a chi entra in casa. In effetti, il contrasto con il giallo sfumato della parete dava una grande sensazione di calore.
Mi diressi in camera mia. Sapendo quanto fossi gelosa delle mie cose, mia madre l'aveva lasciata intatta. Osservai il mio vecchio armadio di legno, pieno dei poster di Avril Lavigne che avevo attaccato quando ero ancora adolescente. Molti erano un po' strappati, consumati dagli anni, ma non avevo mai voluto toglierli. Su una delle ante, vi era incollata una lavagnetta che riportava delle scritte a pennarello risalenti all'estate della mia partenza. Una, in particolare, era una frase che non smettevo di ripetermi in quel periodo: se un sogno ha tanti ostacoli, significa che è quello giusto.
Ero sempre stata una ragazzina piena di sogni, di idee, mi entusiasmavo per ogni novità. Trovavo che quella frase si adattasse perfettamente a me. Sapevo quello che volevo e quello che non avrei mai sopportato, quando desideravo ottenere qualcosa, lottavo con tutte le forze in mio possesso. Perciò, nei momenti di sconforto che seguirono la mia partenza, nella mia piccola stanza di una residenza studentesca del 12° arrondissement di Parigi, pensavo spesso a quella frase, al suo vero significato. Non era stato facile all'inizio, a volte mi prendeva lo sconforto, mi mancava casa e mi sentivo sperduta in una città così grande, ma mi dicevo che senza qualche sacrificio, nessun sogno avrebbe potuto avverarsi.
"Dai Juliet, muoviti, sto morendo di fame!" la voce di Nicola mi riportò alla realtà. Spensi la luce ed uscii, la mia stanza non sarebbe scappata. Scendemmo al piano di sotto, dove nel frattempo la nonna aveva messo il cibo in tavola e ci stava aspettando. "Insomma, muovetevi, o si raffredda" borbottò "ma prima andate a lavarvi le mani!". Ridacchiammo ed obbedimmo, tutti e quattro.
Una volta in tavola, la conversazione si animò in fretta. Tutti mi facevano un sacco di domande sui posti che avevo visitato, sulla persone che avevo conosciuto. Rispondevo rimanendo vaga, volevo sapere di loro, cos'avevano combinato in mia assenza.
Adam cominciò a raccontarmi con entusiasmo della sua passione più grande, la musica. Da anni, mentre io riempivo quaderni di storie d'amore, lui scriveva brani di canzoni rap. A volte me li faceva leggere e io mi stupivo nel trovare pensieri così profondi e parole ricercate. Mi chiedevo come facesse ad esprimersi così, lui che non era mai stato un amante della lettura. Passava molto tempo con i suoi amici, ora nel nuovo appartamento che condivideva con Kalinda, a comporre una base per le sue canzoni. I pezzi migliori li aveva caricati anche su Youtube, dove riscuotevano un certo successo. Il suo nome d'arte era Mad. Perché? Ricordava il suo nome al contrario, significando allo stesso tempo 'pazzo'. Nel senso buono, certo. Pazzo, perché nella vita è necessaria un pizzico di follia, di audacia, perché senza la vita sarebbe vuota, monotona, è impossibile raggiungere i propri obiettivi senza rischiare un po'. Io approvavo in pieno, trovavo che fosse un'ottima spiegazione.
"Ora sto producendo un nuovo pezzo insieme ad un amico. Vogliamo fare qualcosa di diverso, di innovativo, ci stiamo lavorando da una settimana. Non vedo l'ora che sia finito per caricarlo su Youtube e vedere l'effetto che farà!" mi raccontò con orgoglio.
"Anch'io non vedo l'ora che sia finito" si introdusse Kalinda "anche per poter avere finalmente la casa libera da questo viavai continuo!". Ridemmo tutti. Erano proprio una bella coppia.
Il pranzo trascorse così, tra una risata e l'altra.
Decisi di rimanere a casa quel primo giorno, avrei avuto tutto il tempo di rivedere i miei amici. E poi, non dovevo più correre a riabbracciare qualcuno, come facevo in passato ad ogni mio ritorno. "Nessuno aspetta in eterno, Juliet." disse una vocina nella mia testa. La zittii. Io l'avrei fatto, avrei aspettato. "Sei troppo romantica, idealizzi tutto, non concepisci la cattiveria nelle persone, ma è così, Juliet. Tu sei sincera, non riesci a guardare qualcuno negli occhi e mentire. Ma non tutti sono come te."
Basta, quella vocina mi aveva proprio seccata.
Era ora di consegnare i regali che avevo portato per ognuno di loro. Corsi rapidamente al piano di sopra a prendere la borsa contenente i vari pacchetti, e ridiscesi.
Il primo, era per mia madre. Le avevo comprato uno scialle di pura seta color crema, in modo da poterlo abbinare facilmente. L'avevo trovato in un negozietto nascosto in una viuzza di Parigi, scoperta per caso, girovagando. Ne avevo preso uno simile anche alla nonna, ma di un colore verde smeraldo, il quale richiamava la grande pietra preziosa incastonata nell'anello che portava sempre al dito, ricordo del suo matrimonio.
Poi, passai ai miei fratelli. Qualche mese prima, visitando un'amica che viveva a Londra, ero rimasta incuriosita da un negozio di musica molto affollato: c'era una lunga fila fuori per entrare. La mia amica mi spiegò che era il migliore negozio della città, perciò feci la fila per entrare a dare un'occhiata. Un oggetto attirò immediatamente la mia attenzione: un microfono professionale, molto simile a quello che Adam mi aveva mostrato una volta in foto. Lo comprai immediatamente, sapendo di fare un acquisto gradito.
Per Nicola, che adorava la musica ma non produrla, avevo optato per l'ultimo modello di iPod, scovato a buon prezzo durante un breve viaggio a Strasburgo. L'ultimo regalo, ma non per questo meno importante, era quello di Kalinda. L'anno precedente, si era impossessata per mesi una mia borsa color rosa acceso. Durante la mia permanenza a Barcellona, ne avevo comprata una molto simile da Mango, sulla Rambla.
Tutti furono contenti dei loro regali inaspettati. Del resto, avrei forse potuto tornare a mani vuote, dopo quasi un anno di assenza?
Rimaneva ancora un regalo, quello per mio padre... Ma lui non viveva in Italia, da anni lavorava per una prestigiosa agenzia internazionale nel Nord Europa. Non sapendo quando l'avrei rivisto, l'avevo lasciato in valigia.
Il resto della giornata trascorse in fretta, la sera arrivò in un lampo. Stanca dal viaggio e dalle intense emozioni, crollai a letto prima ancora del calar della notte.
Domani sarebbe stato un altro giorno.
STAI LEGGENDO
Non mi vedrai cadere.
RomanceOtto anni. Per ben otto anni, ossia fino all'inizio dell'età adulta, Juliet amò la stessa persona con tutta sé stessa. Ma l'amore, si sa, a volte non basta. Lo si può volere con tutte le forze, ma se non è scritto nel destino, ci sarà sempre qualco...