Complotti

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Rimasi con lo sguardo fisso nel vuoto, senza davvero accorgermi di ciò che mi stava intorno.
Ettore schioccò le dita davanti ai miei occhi, riportandomi confusamente alla realtà.
"Juliet, stai bene?" mi domandò preoccupato.
"Sì", sospirai con una smorfia, "è solo che mi ha colta di sorpresa. Sapevo che prima o poi avrei dovuto rivederlo, era inevitabile. Ma non..." la frase morì in gola.
"Non con lei." terminò lui al mio posto.
"Già. Non con lei." biascicai.

In quei pochi attimi, avevo constatato che non era cambiato. Forse aveva il volto un po' più scavato, era dimagrito ancora. Ma quegli occhi, i suoi, erano sempre gli stessi. C'era stato un tempo in cui avevo il diritto di rimanere a fissarli, ipnotizzata. Un tempo in cui potevo passare una mano tra quei boccoli neri ed inebriarmi del profumo della sua pelle, che avrei riconosciuto tra mille anche a distanza di anni. Un tempo in cui amarlo con tutta me stessa era più che legittimo, non inopportuna come lo era in quel momento. 

Un'altra stretta al cuore. Iniziai a domandarmi quanto ancora il mio cuore avrebbe potuto reggere quel macigno che lo opprimeva. Ero forse tornata troppo presto?

Mi ero di nuovo persa tra i pensieri. Ettore stava parlando freneticamente e non avevo carpito una sola parola. "È questo ciò di cui hai bisogno!" concluse. Cos'aveva detto?

"Scusa, Ettore, non ti stavo seguendo. Di cosa avrei bisogno?" chiesi un po' imbarazzata. Lui mi guardò di sottecchi, come a voler irrompere di forza nel filo delle mie riflessioni.

"Di vendetta, Juliet." Lo guardai stralunata. Ma che stava dicendo? Vendetta? Non ero mai riuscita a rimanere arrabbiata con qualcuno per più di qualche ora, mai. Non odiavo Habib, l'avevo perdonato da un pezzo. Avrei solo voluto che si scusasse, che mi facesse intendere di essere consapevole del dolore che mi aveva inferto, delle notti insonni che mi aveva fatto trascorrere, delle lacrime che non erano mai scese sulle mie guance, ancorate saldamente nel mio petto.

"Devi smetterla di essere così buona con tutti" riprese con fervore. "Devi tirare fuori gli artigli, mostrare i denti. Devi mostrare al mondo ciò che sei, ciò che vali, gli altri devono rendersi conto che non possono calpestarti come ha fatto lui con te, per anni." Lo fissai in silenzio.

"Non è solo quello che ti ha fatto quando ti ha lasciata, Juliet. È per come ti ha sempre trattata, e tu forse ancora non te ne rendi conto. Sei la persona più forte che conosca, ma di fronte a lui ti annienti. Come ora. Ed io non capisco il perché: non ti ha mai valorizzata, non ti ha mai resa felice, a te che basta una margherita colta in giardino per strapparti un sorriso. Quante volte ti ha fatta sorridere, Juliet? Gli sarebbe bastato così poco."  La sua voce era carica di durezza intrisa di amarezza.

"Perciò, Juliet, io credo che tu debba vendicarti. Non in modo meschino, chiaro, non devi diventare come lui. Ma credo tuttavia che ti farebbe bene leggere nei suoi occhi un pentimento sincero, se mai potrà provarlo nel suo profondo. Potrebbe aiutarti ad andare avanti. Ed io voglio attuare un piano, insieme a te." concluse con aria soddisfatta.

Ero confusa. "Sei sicuro che sia una buona idea? Io... Non lo so." commentai incerta. Però l'idea non mi dispiaceva, in fondo. Ettore aveva ragione, ero sempre stata gentile e premurosa con tutti. Persino il giorno in cui il mio cuore si spezzò irreparabilmente, fui io a consolare. 

Non mi fu concesso nemmeno allora di essere debole. Lui, con le sue parole più affilate di una lama, ogni secondo mi sferrava un colpo più profondo del precedente, senza pietà. E mentre mutilava il mio intero essere, calpestandolo senza tregua, piangeva. Sì, lui piangeva. Le lacrime gli rigavano viso sconsolato, singhiozzava tra una pugnalata e l'altra.

Piangeva perché era confuso, piangeva perché la sua vita era priva di significato, perché alla sua età non aveva ancora nulla. Neanche allora osò dire la verità. Mi abbandonò senza ripensamenti mentre mi diceva di essere la persona più importante della sua vita. 

È mai esistita persona più incoerente? 

E così, nel miscuglio di emozioni che turbinava nella mia mente, lo consolai. Gli sussurrai dolcemente di essere forte, accarezzando per l'ultima volta i suoi riccioli, tutto si sarebbe sistemato. Lo cullai come una madre culla il proprio bambino impaurito, lo stringevo dicendogli addio. Ancora mi chiedo dove trovai la forza, quel giorno. 

Non cadde nemmeno una lacrima dai miei occhi. Un ultimo atto d'amore.

Il mio cuore si era come impietrito, congelato. E se ne andò.



"Non voglio vendetta, Ettore." dichiarai. "La miglior vendetta per me è tornare ad essere felice. Questo posso fare. Ed è ciò che farò." dissi decisa.

"E come vorresti riuscirci?" mi domandò, una vena di curiosità gli solcò il volto.

"Ho un'idea." sorrisi con aria maliziosa. "Ti ricordi l'estate prima della mia partenza per Parigi?" Ettore annuì. "Voglio ritrovare quella spensieratezza. Perciò, torniamo alla macchina." ordinai, senza aggiungere altro.

Una volta in auto, accesi la musica. Reggaeton. Iniziai a guidare, così, senza meta. La musica pervase la mia anima. 

E cantammo, cantammo a squarciagola, con i finestrini abbassati mentre il vento ci scompigliava i capelli. 

"Que tengo que hacer para que vuelvas conmigo, vamos a dejar el pasado atraaaaaas

para mi la vida no tiene sentido si te vaaaaaas!"


Ed eccola, l'adolescenza ritrovata, l'adrenalina che scorreva nelle vene. Era tutto così perfetto, che mi dimenticai del resto. 

In quel momento non avrei potuto chiedere di meglio.

Musica. Il mio amico. 

La felicità.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Aug 25, 2015 ⏰

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