Sguardi

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Non mi alzai subito dal letto, rimasi a fissare il soffitto per qualche minuto.

Ancora quel sogno, pensai. Sicuramente tornare a casa aveva portato a galla molti ricordi.
Nonostante tutto, mi sentivo in gran forma, ero davvero impaziente di uscire e respirare l'aria familiare che, solo in quel momento me ne rendevo conto, mi era così tanto mancata.

Saltai giù dal letto di ottimo umore e corsi sotto la doccia. L'impatto con l'acqua gelida mi provocò una serie di piacevoli brividi lungo la schiena.
Volevo svegliarmi per bene, perciò niente acqua calda. Rimasi sotto il getto freddo per quasi dieci minuti, con gli occhi chiusi, immersa nei miei pensieri.

Quella mattina avrei visto Ettore, il mio migliore amico, che non vedevo da secoli. Nonostante la lontananza, lui era una delle poche persone in cui riponevo la mia totale fiducia. Non ci eravamo allontanati, anzi. Grazie alla tecnologia moderna potevamo tenerci in contatto facilmente, e questo avveniva quasi quotidianamente.
Sorrisi pensando a quanto mi faceva ridere a volte anche solo con un messaggio, quando chiedevo un suo consiglio su qualsiasi cosa.
In particolare sugli uomini.

Fin dall'età di 15 anni, Ettore ed io passavamo pomeriggi interi ad osservare ogni bel ragazzo che passava, non risparmiandoci dei commenti allusivi che ci facevano scoppiare in grandi risate.
Era così divertente avere un amico così, con la sensibilità di una donna ma con la differenza che tra noi era assente quella rivalità tipica tra due amiche le quali, sebbene non lo avrebbero mai ammesso, stavano sempre sull'attenti quando l'amica si avvicinava troppo al proprio fidanzato.
Inoltre, i miei gusti in fatto di uomini erano molto diversi dai suoi, perciò non saremmo comunque entrati in contrasto.

Con i capelli ancora bagnati, tornai in camera. Erano le 8.30, quindi avevo ancora un sacco di tempo per prepararmi dato che avevamo appuntamento per le 10.

La valigia era ancora intatta, perciò l'aprii ed iniziai a riporre i vari vestiti nell'armadio vuoto.
Dieci minuti dopo avevo terminato.
Mi asciugai i capelli velocemente, legando le due ciocche con una molletta in modo che non mi ricadessero davanti agli occhi.
Scelsi un vestito semplice, bianco, che avevo comprato qualche tempo prima a Parigi. Non ero mai stata una ragazza che portava vestiti, preferivo dei semplici leggins e maglie lunghe.
Tuttavia qualche mese prima un'amica aveva così insistito per cambiare il mio look, che non reputava abbastanza elegante, che avevo finito con il cedere e comprare una serie di vestitini che, tutto sommato, non mi stavano niente male. Da allora, preferivo sempre uscire con un abito e avevo lasciato da parte i miei adorati, e ormai consunti, leggins.

Mi truccai leggermente, giusto un filo di eye-liner sulle palpebre e un po' di rossetto.

Mi guardai allo specchio: davanti a me c'era una giovane donna di ventitré anni, anche se a volte ne dimostravo meno. Tuttavia, negli occhi si leggeva una maturità che non tutte le mie coetanee possedevano. Ero una persona molto solare, a cui piaceva scherzare, ma molto spesso mi ritrovavo in silenzio in mezzo alla gente, preferendo osservare chi mi stava intorno e cercare di carpire la loro vera essenza e raramente mi sbagliavo.
Mi capitava spesso di ritrovarmi a vagare con i pensieri, fantasticando sulla vita di chi mi circondava, dei loro problemi, le loro debolezze.

Scrollai la testa: dovevo smetterla di sconnettermi dalla realtà in quel modo! Indossai delle zeppe, nere, e andai in cucina a salutare mia madre che, nel frattempo, si era alzata.

Mi guardò un po' stranita: "Ma dove vai vestita così? Hai un appuntamento galante di prima mattina?".
Feci un segno di diniego, scoppiando a ridere.
"Ma che dici, mamma? Ho iniziato a vestirmi in un modo diverso, trovo che mi si addica di più, no? E sicuramente papà sarebbe felice di non vedermi più con quei leggins che detesta tanto!" esclamai.

Lei annuì in segno di approvazione. "In effetti, ormai sei proprio una donna! Prendi un po' di caffè? L'ho appena fatto."
Mi sedetti a tavola accanto a lei. Mentre sorgeggiavamo il caffè bollente, mi chiese: "Che farai adesso Juliet? Rimarrai a casa, o tra non molto partirai ancora, per chissà quanto altro tempo?"
Sospirai. "Mamma, lo sai benissimo che qui non c'è nulla per me. Un giorno, forse, tornerò per restare, ma quel giorno è ancora lontano."
Mi guardo con occhi tristi, senza pronunciare una parola.

"Non guardarmi così, mamma! Lo sai che non ho mai voluto restare, l'ho creduto per un momento e tu sai chi me l'ha fatto desiderare. Ma ora tutto ciò non esiste più, e non potrei sopportare di stare qui. Voglio vedere il mondo, voglio costruire qualcosa, mamma. Forse, quando ci sarò riuscita, allora tornerò."

Mi osservò ancora, quella figlia che si ribellava al mondo con tutte le sue forze, che lottava per rimanere a galla, che cercava uno sfogo in ciò che le rimaneva ovvero ovunque, tranne che a casa. Sostenni il suo sguardo, sperando con tutto il cuore che avesse infine compreso.

Sembrò di si, poiché mi parve di scorgere un lampo di ammirazione nei suoi occhi.
"Dai mamma, stai tranquilla che per il momento sono qui. Ora vado, Ettore mi aspetta e non voglio tardare! A dopo!" La salutai con un piede ormai fuori dalla porta.

Montai in macchina e corsi al bar dove Ettore mi stava già aspettando.
Eccolo! Gli corsi incontro, saltandogli quasi in braccio. "Ciao tesoro!" mi salutò lui ridendo. Dopo avergli scoccato un sonoro bacio sulla guancia, mi staccai.
Era sempre più magro. "Hey, signorino! Mangiamo qui o cosa? Sei pelle e ossa!" sapevo che aveva iniziato a tenersi in riga per perdere quei chiletti di troppo, ma la sua pancetta era totalmente sparita!
Ridacchiò, compiaciuto.
"Dai, non cominciare! Sediamoci che devo ancora prendere il caffè, io!" esclamò.

Così prendemmo posto, io ordinai comunque un cappuccino e una brioche alla crema, in nessun altro Paese dov'ero stata li facevano così buoni, perciò volevo assolutamente rinfrescare il mio palato.
Lui ordinò solo un caffè macchiato. Lo guardai di traverso. "Prendi una brioche, o sarà peggio per te!" gli sussurrai con fare minaccioso.
Cedette, aggiungendo all'ordine una brioche, vuota. Sorrisi compiaciuta.
"Così mi piace. Non vorrai mica farmi sentire una mangiona da sola!" esclamai una volta che il cameriere se ne fu andato con l'ordine.
"Sei appena tornata e già rompi?" scherzò lui. Feci finta di essermi offesa, ma due secondi dopo non potei evitare di scoppiare a ridere.

Il cameriere tornò quasi subito, servendoci quello che avevamo ordinato.
Al primo morso dovetti fare un espressione estasiata, perché Ettore per poco non si strozzò con il suo boccone.
"Che c'è?!" domandai. "Dovresti vedere la tua faccia" disse lui a mezza voce "sembra che sia la prima volta che mangi una brioche ripiena in vita tua! In più guardati, vestita di tutto punto, come una signora, e poi con un morso ti sei già sparsa lo zucchero in tutta la faccia!".

Ci guardammo e stavolta non riuscimmo ad evitarlo, scoppiammo a ridere così forte che il tavolo vicino ci lanciò uno sguardo di fuoco. Come se non si potesse ridere in pubblico!

Il mio lato infantile non era scomparso, certe abitudini non sarebbero mai andate via.
Ed a me piaceva così.
Trovavo che i bambini vedessero il mondo in un modo diverso dagli adulti, riuscissero ad apprezzare certe piccolezze ormai scontate per gli adulti. Ma io non ero d'accordo.
Volevo continuare ad essere una bambina, dentro, e riuscire ancora a stupirmi. O, come in quel caso, ad assaporare appieno quella brioche.

Fu allora che lo vidi.

Ettore dovette accorgersi del mio cambiamento d'espressione improvviso, perché si voltò immediatamente nella direzione in cui puntavano i miei occhi.

Era lì. Habib. Per mano con quella ragazza che una volta avevo quasi considerato un'amica.

Ero disorientata, di colpo la brioche aveva perso ogni attrattività.
Ettore non poté far altro che stringermi la mano, cercando di tranquillizzarmi.

"Juliet. Respira. Doveva succedere prima o poi. Lo sapevi. Non guardarlo." la voce di Ettore mi giungeva come un eco in lontananza.

Era lì e, come sentendosi osservato, si girò di scatto verso di me.

I suoi occhi mi trovarono. Un'espressione sorpresa comparse nel suo volto.
Forse aveva creduto che non mi avrebbe mai più rivista, che la sua crudeltà mi avesse fatto fuggire per sempre.

Era colpevolezza quella che scorsi per un attimo nel suo sguardo?
Non lo seppi mai.
Cambiò strada prima che anche lei potesse notarmi.
E scomparve dalla mia vista.

Non mi vedrai cadere.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora