Ricordi sopiti

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In cucina ci sono tutti: i suoi genitori, Chiara e Tommaso, il suo fratellino Andrea e Charly, il barboncino color nocciola.
La torta l'aspetta sul tavolo con il suo delizioso odore di panna e cioccolato, che le giunge alle narici appena varcata la soglia della stanza: sembra una scultura di candido marmo bianco, adornata da riccioli di panna e rose d'ostia con al centro una pallina di cioccolato fondente.

Le dispiace quasi mangiarla da quanto è bella ma nel tumulto generale, pieno di risate e di auguri, affonda il coltello nell'opera d'arte.
Porta alla bocca il primo cucchiaino e sente rimescolarsi in bocca il cioccolato, la panna, il pan di Spagna e la crema pasticcera.
- E' deliziosa - dice in un sussurro pieno di gratitudine, non rivolgendosi a nessuno in particolare.
- E' vero!! L'ha fatta la mamma sai? - risponde Andrea con la bocca piena di torta che, mentre parla, si sfalda in piccole briciole che cadono sul tavolo.                                   
- Non lo metto in dubbio! -                      
- Tutto stanotte eh! Quasi non ha dormito. L'ho spiata per un po', ma di sicuro non se n'è accorta! -      
Chiara guarda il bimbo con dolcezza accennando un sorriso, poi dice con voce squillante: - Su, vai a prepararti anche tu, oggi usciamo presto. -
- E dove andiamo? -
- Lo vedrai - controbatte, facendogli l'occhiolino.

Sono da poco passate le nove e tutti sono a bordo della Golf grigia, pronti a partire per un posto che Eva non riesce minimamente a immaginare: sono talmente tanti i luoghi ai quali sta pensando, tra fast food, luna park, musei e concerti, che in testa non le sta più nulla.              
Hanno imboccato da poco l'autostrada, quando Andrea urla:
- Papà, devo fare pipì! -
Tommaso, dopo una breve risata, sosta all' S.O.S più vicino e scende dall'auto, seguito velocemente dal piccolo che corre sulle sue corte gambe.
Chiara, nel momento stesso in cui padre e figlio scompaiono dietro un alto cespuglio, si gira verso Eva, sfoggiando un gran sorriso.   - Allora? Hai capito dove stiamo andando? -
- No mamma, proprio non ci arrivo. -
- Vedi quella collina laggiù? Andremo lì per faremo un pic-nic e dopo pranzo ti porterò con me per farti vedere un posto speciale. Non ti dirò di cosa si tratta ma stanne certa, ti stupirà, ancor più dell'anello. -
Tommaso e Andrea tornano in macchina e, mentre il motore brontola, il bimbo sospira soddisfatto.
Ripartono poco dopo, percorrendo l'autostrada per un'altra mezz'ora abbondante attraversando ponti, gallerie, con a destra una vasta pianura puntellata da piccole metropoli e interrotta, verso sud, dall'azzurro del mare, e a nord alte montagne con poche case arroccate qua e là, divise tra loro da vaste campagne a fasce coperte di grano, vigneti e serre.
Escono al casello di un paesino di cui Eva non riesce a cogliere il nome e poi, dopo aver percorso un breve tratto di statale, si immettono in una piccola strada sterrata, fino alla cima della collina citata da Chiara.
Giunti a destinazione parcheggiano, scendono dalla macchina e scaricano il contenuto del bagagliaio, pieno di cesti e sacchi contenenti cibo e bevande.
Il luogo in cui si trovano è magnifico: una piccola radura circondata da un bosco di pini e betulle, coperta da vaste distese di fiori simili ad un ricamo su un vestito di un verde sgargiante.
In fondo al prato è presente una chiesetta diroccata e un sentiero che scende dietro di essa, quasi invisibile a occhio nudo.
Si dirigono verso il centro della radura e stendono il telo sul quale poi poggiano il cibo, le bevande e il resto della torta mangiata qualche ora prima. 
Giunta l'ora di pranzo, dopo aver perlustrato ogni singola parte del prato e della chiesetta, che quasi ha soffocato Andrea con la sua polvere vecchia di decenni nel momento in cui ha sbattuto i piedi su un pezzo di muro crollato, la famiglia si riunisce intorno ai cesti.
- Andrea, togli le scarpe, per favore! Lo sai che non è igienico! -
- Si papà, scusami -
- Tom, non essere troppo duro con lui, non ha fatto nulla di male, in fondo! -
- Lo so, ma è tempo che impari le buone maniere! -
- Allora fallo anche tu! Non parlare con la bocca piena! -
Segue un attimo di silenzio nel quale Tommaso si guarda intorno e tutti guardano lui;  Andrea non riesce a trattenersi e inizia a ridere, seguito da tutti gli altri.
Continuano a ridere mentre il cibo si dilegua nelle loro bocche e, successivamente, quando iniziano a giocare a carte tutti insieme, con Andrea come mazziere.
In mezzo a tutto quel baccano Eva sente la voce di sua madre, alla fine dell'ennesima partita vinta da Tommaso:
- Ora, se non vi dispiace, vorrei prendere Eva con me per qualche minuto, dobbiamo parlare un po', da donna a donna. -
Eva guarda Chiara con occhi complici e senza dire una parola si alza, iniziando a seguirla verso la chiesetta e poi giù per il sentiero; nella fretta ha dimenticato di mettersi le scarpe.
Giungono in un'altra piccola radura, questa volta ombrosa e con al centro uno stagno circondato da piccole campanule di un blu elettrico, di diametro di non più di un metro; la sua acqua riflette i pochi raggi del sole che penetrano dall'ombra delle fronde rendendola nera e irridescente, simile quasi a un prezioso metallo liquido.
- Eva, tesoro, tu non sai perchè ti ho portata qui, me ne rendo conto - dice Chiara, avvicinandosi lentamente alla figlia e guardandola negli occhi.
- No mamma, non lo so -
- Va bene, non resta altro che dirtelo -
Intercorre un lungo momento silenzioso, nel quale madre e figlia si fissano.
Gli occhi di Eva sono dispersi in quelle piccole sfere piene di luce notturna, quando sente la voce di sua madre quasi lontana, altisonante:
- Io sono uguale a te, Eva, ho le tue stesse doti.
Riesco a percepire i suoni in maniera più netta, riesco a vedere ogni piccolo cambiamento in quello che mi circonda, il mio olfatto è più sensibile. -
Eva si sente spaesata, scossa, più di quando l'anello aveva irradiato dentro di lei quel calore così intenso.
- Ad esempio, in questo momento una formica rossa sta camminando proprio verso il tuo tallone destro. -
La ragazza abbassa lo sguardo e, nell'erba, riesce a notare un puntino rosso che corre verso il suo piede.
"È davvero come me, percepisce davvero il mondo al mio stesso modo" pensa, un po' sconvolta e un po' rincuorata.
Ora sa che può confrontarsi con qualcuno come lei che, forse, le darà modo di accrescere e rendere più sensibili i suoi sensi, se per farlo è richiesto un allenamento.
- Come facevi a saperlo? -
E' una delle tante domande che Eva si sta ponendo, ma di certo, pensa, è la prima a cui deve dare una risposta.
- E' molto semplice, tesoro: sei mia figlia e, in quanto tale, ero certa avresti ereditato i poteri tu stessa.
In ogni modo da ora avrai modo di rivolgermi tutte le domande che vuoi in merito, e sarò felice di rispondere. Chiedi anche a tuo padre: anche lui ha i nostri stessi poteri, ma preferiva ti fosse detto da parte mia, non mi ha mai detto il perché -
- Certo mamma, se avrò qualche dubbio o perplessità saprò a chi rivolgermi, adesso. Grazie. -
Chiara si avvicina in silenzio, con passo leggero ed Eva la guarda, accennando un sorriso.
- Buon compleanno tesoro. Ti voglio bene. Ti vogliamo bene. -
Detto questo la abbraccia, la stringe a lei, e una piccola lacrima, quasi timidamente, scende a bagnarle il viso.

Chiara, in quell'abbraccio, ricorda la sera di sedici anni prima; chiude gli occhi.
Le sembra di essere tornata lì, nel buio della radura illuminata solo dalla luna e da una piccola candela rossa che avvolgeva con la sua luce lei e Tommaso, da poco sposati e intenti a parlare dei loro progetti per la vita futura.
Le cicale cantavano, una leggera bonaccia soffiava da sud e le lucciole volavano pigramente irradiando dai loro addomi piccoli bagliori intermittenti, tra i tronchi del bosco.
Poi il forte lampo di luce blu li colse alla sprovvista, accecandoli per un attimo.
Tutto diventò indistinto e lattiginoso.
Tornò la calma, e Chiara sentì distintamente il pianto di un neonato nel folto della foresta, seguito dall'odore di fiori diversi da quelli presenti nel campo: fiori dei quali non sentiva il profumo ormai da tanti anni, una sensazione che quasi aveva dimenticato. Sapeva che era successo qualcosa di grave nel Regno. 
Si alzò e iniziò ad orientarsi con i suoi sensi da Lupo: seguì l'odore, in linea d'aria.
Corse nel folto della foresta fino allo stagno: le campanule brillavano, segno che le Fate si erano svegliate.
Il pianto si spense nel momento in cui Chiara spuntò nella radura, riducendosi a un flebile lamento. 
Vide il piccolo fagottino bianco sporcato qua e là da qualche goccia di sangue.
Si precipitò sul bimbo e si accertò che stesse bene: due grandi occhi azzurri, una filamentosa chioma di capelli rosso scuro. Un cucciolo di Volpe.
In quel momento giunse anche Tommaso in preda al panico, dirigendosi verso di lei e poggiandosi al suo fianco.
- Una Volpe? come ha fatto ad arrivare qui? Chi l'ha mandata? Erano anni che qualcuno di noi non scappava dal Regno - disse con voce leggermente affannata.
- Non lo so Tom, ma non mi piace. Le Fate sono sveglie. Non si svegliano mai, se la nostra gente non è in pericolo. -
- La dobbiamo portare con noi. -
- L'avrei fatto anche senza il tuo consenso. -

Ricorda anche il pomeriggio successivo: la piccola creatura era stata adagiata sul letto e Tom si era affrettato, di prima mattina, a comprare tutto ciò che era necessario per il primo periodo.
Tutto andava abbastanza bene, a parte qualche piccola difficoltà data dai modi impacciati di Chiara, che mai aveva accudito un bambino prima della sera precedente.
Tommaso l'aiutava, per come poteva.
Il campanello suonò all'improvviso.
Chiara, perplessa, si diresse verso la porta d'ingresso sentendo nuovamente lo stesso particolare odore presente sul neonato. Mentre stava per aprire sentì il rumore di un pezzo di carta scorrere sul pavimento.
Abbassò lo sguardo e notò, ancora prima di raccoglierlo, che il biglietto aveva impressa su di esso solo una frase:

La bambina si chiama Eva.

Chiara aprì in fretta la porta, appena in tempo per vedere una figura avvolta in un mantello che svoltava l'angolo del pianerottolo, iniziando di corsa a scendere le scale.
 

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