Mi direte: per quale assurdo motivo una ragazza che viveva in una città come Londra - al centro della vita mondana e lavorativa e al centro di tutto - si sarebbe dovuta trasferire in un paesino piccolo e sperduto, affrontando un'odissea interminabile ogni giorno solo per poter campare?
Non penso ci sia una vera e propria risposta in grado di spiegare ogni cosa, ma ci proverò.
Credo che ognuno abbia i suoi piccoli - o grandi che siano - drammi personali e familiari; ecco, il dramma della mia famiglia - di mia madre e delle mie sorelle Cristal e Meg - ero io.
Son sempre stata fin da bambina quella più chiusa - e timida -, con solo una voglia matta di correre nei prati e rotolarmi tra l'erba; sono sempre stata quella bambina con i vestitini sporchi e senza scarpe, che fin da piccola rivendicava il suo spazio e ciò che era suo; son, semplicemente, stata sempre la bambina diversa da tutti e da tutto - mettiamola così.
Indipendentemente se si considerasse ciò che facevo giusto o sbagliato, era in ogni modo il contrario di quello che avrei dovuto fare.
E crescendo da bambina diversa, divenni un'adolescente diversa.
I miei tratti si marcarono - zigomi alti, bocca carnosa, carnagione olivastra e occhi scuri, capelli neri come la pece - e questo bastò a rendermi ancora più diversa di quanto non fossi già per altro.
Ero quel che si suol dire "la pecora nera della famiglia", e questo si capiva anche solo mettendomi a confronto con le altre donne di casa - bionde, occhi chiari (verdi o azzurri), pelle chiarissima - per capirlo.
Tutto degenerò quando mia sorella Meg, sei anni più grande di me, rimase incinta di un certo Jason - un tipo poco raccomandabile - e decise di abortire.
Ho già detto che mia madre è ed era una persona assolutamente cattolica? Sta di fatto, che per lei l'aborto era una di quelle cose più inconcepibili sulla faccia della terra.
Ma Meg, ormai maggiorenne, andò via di casa e non ebbe mai quel bambino, spezzando il cuore di mia madre e causandole non pochi problemi di salute. La goccia che fece traboccare il vaso, però, non fu neanche quella. Io crescevo, cresceva mia sorella Cristal e inevitabilmente anche la mia diversità: vestiti diversi, interessi diversi, obbiettivi diversi. Per mia madre la massima aspirazione di una donna era trovare un uomo - uno qualsiasi, non c'entrava l'amore per lei - con cui mettere su famiglia e fare tanti figli quanti ne saresti potuta riuscire a sfornare, vivendo la vita succube di un uomo al quale avresti dovuto lavare i calzini e le cravatte, succube di un uomo che non amavi, che avresti dovuto trattare come un altro figlio, rinunciando a tutto ciò che donne moderne avevano ottenuto - la possibilità di studiare autonomamente, l'indipendenza dall'uomo e tutto il resto. Mia madre pensava vivessimo ancora negli anni venti, insomma.Per cui, quando raggiunsi i diciotto anni, passato ormai un anno dalla vicenda con Meg - e da quel giorno non si fece più vedere, o sentire o cose del genere - dicendo a mia madre che avrei voluto studiare medicina per diventare chirurgo e presentandole il mio ragazzo dell'epoca - Mike Spelt, un ragazzo (un artista) dal sorriso smagliante e il cuore d'oro, conosciuto a scuola - nella stessa giornata, mi sembrò per un attimo sulla via del collasso.
Quella, quella insieme alla relazione fuori luogo di Cristal - reazione che non ti aspetteresti da una ragazza di vent'anni e soprattutto che non ti aspetteresti da tua sorella: parole come "oh, la piccola ha il ragazzo, cominci a fare la puttana anche tu?" - fu la goccia che fece traboccare tutto (non solo il vaso), e quel giorno, quel giorno più di tutti fui contenta di essere così diversa, perché era così che sarebbe dovuto essere: non mi sarei mai voluta identificare con loro.E quindi, solo sei giorni dopo, armata della mia valigia con dentro più libri che vestiti, partii con Mike, lontano.
Lui era un artista - diciamo anche un artista di strada - che stava intraprendendo la sua carriera facendo piccoli murales decorativi un pò ovunque; ebbene, giusto qualche tempo prima, gli avevano offerto un lavoro in uno zoo: nello zoo di Cromer.
Avrebbe dovuto fare murales di animali e cose del genere, che, anche se non gli avrebbe fruttato molto, aveva deciso di fare ugualmente.
Fatto sta che partimmo in pullman, e dopo ore che nemmeno contai - forse quattro o cinque - arrivammo a destinazione.
Cromer: la piccola città del faro - come veniva definita da tutti con un piccolo sorriso.
Io e Mike ci lasciammo un anno e mezzo fa - giusto un paio di mesi dopo esser arrivati nella nuova cittadina - ma rimanemmo buoni amici: nessuno dei due aveva abbastanza tempo per una relazione, e capimmo che un'amicizia era ciò di cui avevamo bisogno.
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231 - Numero di ribelle (#Wattys2016)
FanfictionIl passato non tramonta, ti attraversa e ti segna. Poi ritorna.