<< Marv, potresti venire un attimo? >> La parole di Illen arrivarono veloci alle mie orecchie - il rimbombo della voce ad invadere i nostri corpi.
Lasciai lo straccio con cui stavo pulendo le poltrone e i poggia bicchieri, avviandomi verso la ragazza che era sul palco - il corpo rigidamente fermo e lo sguardo fisso sullo schermo del telefono che aveva tra le mani.Era un normalissimo sabato pomeriggio - il sole non aveva fatto ancora capolino da dietro le nuvole e l'umidità ricopriva all'esterno tutte le finestre; io ed Illen eravamo sole ma con istruzioni ben precise: lavare tutto a fondo per il grande spettacolo della sera, alle 21.30.
"Lo spettacolo più atteso di tutto l'anno", avevano scritto i giornali più in voga di Cromer, e noi un po' ci credevamo.
Tutto era stato organizzato al meglio, e il nostro lavoro si stava quasi per concludere - tra mucchietti di polvere e di capelli ritrovati tra le poltrone di velluto blu avio.Non appena salii le piccole scale del palco verso Illen, i suoi occhi - grandi e quasi dello stesso colore dei suoi capelli - mi guardarono con un'espressione che non riuscii ben a decifrare.
Non la conoscevo - in fondo era solamente la sesta volta che lavoravo con lei - ma mi resi conto, pur se poco, che era attonita.
<< Mi è arrivato un messaggio. >> Fu questo il suo esordio non appena mi avvicinai a lei. Aveva ancora il telefono tra le mani - le unghie ricoperte di uno smalto rosa chiaro -, e continuava a fissare lo scherno come se da un momento all'altro ne sarebbe potuto fuoriuscire un mostro.
Poi il suo viso si alzò nella mia direzione - i capelli che si muovevano insieme al suo corpo, le lentiggini così vivide da far credere che stessero per spiccare il volo.
Le chiesi cos'era successo, il perché del suo sguardo -
nella mia voce celata una vena di preoccupazione.Michelle mi aveva chiamato, ma il mio telefono non era raggiungibile, poi mi disse. Lo fece piano e a nessuno in particolare, come se non fosse quella la cosa sconvolgente.
E in realtà - in un momento normale prima di una serata normale - la sarebbe stata: Michelle avrebbe urlato e picchiettato le unghie così forte sulla sua scrivania in mogano, da far si che il rumore risuonasse per tutto lo stabile.
Dallo sguardo di Illen, però, capii che quella sera no, quella sera ci sarebbe stato qualcosa di peggio di una Michelle alterata - di una Michelle che inveiva contro di me passando per le centoventicinque poltrone, controllando che non fosse rimasto neppure un granello di polvere o di qualcos'altro.Tirai fuori comunque il telefono dalla tasca, per accertarmi fosse la verità: era realmente spento.
Saltando i convenevoli mi rivelò di cosa si trattava, e in un secondo fu come se la terra sotto ai miei piedi crollasse di poco - come se io, crollassi di poco.
(Più di quel che mi sarei aspettata, almeno.)
Harry non sarebbe venuto.
Lo aveva detto giusto una manciata di minuti prima a Michelle. Me la immaginai furiosa - le guance arrossate e le labbra siliconate strette in una linea che sarebbe dovuta essere sottile; in fin dei conti, era stato meglio che il mio telefono si fosse spento: avevamo evitato di sentirla urlarci contro quando di certo la colpa non era nostra.Mi rabbuiai quando Illen me lo disse; ma non fu solo questo. Lei si stava mordendo il labbro, e avevo la sensazione che, piano piano, il mio stomaco si stesse stringendo in una piccola morsa di inquietudine.
Il martedì passato era successo quel che era successo: le strane figure che seguivano Harry, la mia finestra rotta, i vetri sparsi ovunque nel piccolo monolocale, il sasso e il relativo biglietto.
Dopo l'accaduto, io e lui eravamo rimasti a fissare a terra per almeno cinque minuti.
Avevo il respiro affannato e stavo cadendo nella mia stessa paura - la pelle che un pochino tremava.
Poi i nostri occhi si incontrarono - e la sensazione di armonia fu come la visione di una bellissima pianta rampicante su di un tronco (che lo avvolgeva e lo colorava e lo scaldava).
Nessuno dei due disse niente, poi.
Lui si chinò a raccogliere i vetri dopo aver preso la paletta che poggiavo sempre sul ripiano della finestra (non sfiorò nemmeno quel sasso, come se facendolo si sarebbe potuto ustionare); lo seguii anch'io, e mi inginocchiai accanto a lui a raccogliere i pezzi più grandi con le mani - attenta a non poggiarmi a terra e tagliarmi con le schegge.
Era poco che lo conoscevo - forse un mese, forse di meno - e tutto quello che aveva stordito il mio cuore - il mio corpo, la mia testa - era stato solo un insieme di voci e sguardi e sorrisi.
Poi lui, in uno di quei interminabili istanti, mentre eravamo l'uno vicino l'altra - le spalle quasi a toccarsi (la sua maglia leggera che sfiorava il mio maglioncino color crema) i nostri cuori più vicini di quanto non lo fossero mai stati - mi prese delicatamente il polso.
E non avrei mai immaginato che nella mia testa si sarebbero potute scatenare quelle cose; non mi sarei aspettata di sentire quasi una scintilla quando le sue dita sottili toccarono la mia pelle - una scintilla buona, una di quelle cose così inaspettate che rifaresti allo sfinimento -, non mi sarei aspettata di arrivare a pensare che delle mani potessero toccare qualcuno - me - in quel modo - con una delicatezza e una premura tale da lasciarmi un attimo stordita.
Le mie guance si erano colorate di rosso e il mio ginocchio toccò terra per un secondo.
Sentii un frammento di vetro sfiorare la mia pelle attraverso i jeans, incidendola di poco.
Feci finta di nulla, troppo rapita dalle sue belle mani, i suoi anelli, i tatuaggi che aveva sulle dita - delle lettere che non riuscii ben a decifrare.Mi disse di lasciare stare, che ci avrebbe pensato lui, che aveva paura mi potessi tagliare. Parlava continuando a guardare quei vetri, ammucchiandoli tra loro come una piccola piramide. Quando si voltò verso di me, il mio polso ancora nella sua mano, mi resi conto che probabilmente, data la situazione, non avrei dovuto pensare quelle cose - quanto i suoi occhi mi facessero vibrare l'anima e quanto le sue mani avessero curve delicate (così come quelle del collo e dei polsi).
Mi sarei dovuta concentrare più sul fatto e sulla paura che in realtà sentivo dentro, a cercare di capire cosa stesse realmente succedendo, cosa c'entravo veramente io in tutta quella storia.
La verità, però, è che quando trovi qualcuno che ti rapisce il cuore, ti importa poco - veramente, poco - di tutto quello che succede - anche se ciò include qualcuno che ti rompe la finestra con un sasso e un biglietto attaccato sopra.A pensarci, questa forse è una piccola esagerazione.
Ma chi non è mai stato esagerato per qualcosa?Dopo aver raccolto tutti i vetri in silenzio - il mio polso che sembrava pulsare ancora per il suo delicato tocco -, si alzò guardingo.
Valutai per un secondo l'idea di offrirgli qualcosa, ma poi mi resi conto che non sarebbe stata una buona idea.<< Io.. credo che dovrei andare a casa. >> Mi disse infilando le mani in tasca e dirigendosi verso la porta; facendolo, mi passò tanto vicino da poter sentire il suo odore.
Ricordo che la prima cosa a cui pensai fosse il mare.
Sapeva di mare.E diedi voce hai miei pensieri prima che potessi rendermene conto.
<< Sai di mare. >>Lui mi sorrise.
<< Ho fatto una passeggiata sul molo, prima. >> Cominciò a guardarsi intorno, ad osservare il mio piccolo e scarno arredo.<< Ci vai spesso? >> Mi venne da chiedergli, gli occhi irrimediabilmente sulla sua figura.
<< Tutte le volte che voglio scappare dai miei pensieri. >>
Quando in quel momento, con davanti Illen e quel problema gigantesco da risolvere, mi venne in mente il mare, capii che probabilmente non fu un caso.
<< Michelle dice che Harry sembra essere sparito. Voglio dire, non è venuto neanche ieri alle prove. >> Disse la ragazza di fronte a me.
<< Potrei sapere dove si trova. >> Dissi, cominciando a tastare le mie tasche in cerca del cellulare.
<< Cosa? >> Illen parlò confusa, come se avessi pronunciato quelle parole troppo piano da evitare che arrivassero alle sue orecchie.
<< Credo.. so dove si trova. Vado subito, vado a vedere se è veramente dove immagino. Tanto qui abbiamo finito.
E, ti prego.. non dir nulla a Michelle, okay? Dille semplicemente che abbiamo finito ed ognuno è tornato a casa sua. >> Ormai le parole uscivano veloci dalla mia bocca senza bisogno che mi ci soffermassi molto - pensieri che fluttuarono improvvisamente nell'aria.<< Marv, perché parli così? >> Alzai lo sguardo giusto il tempo per cogliere la sua espressione pensosa, ma questa volta non risposi.
Piuttosto digitai quel numero che sapevo essere la mia unica opportunità.Mi incamminai verso la porta, e mentre il telefono al mio orecchio squillava, salutai Illen con un sorriso insicuro.
Lei non sapeva quello che era successo, non sapeva che forse la situazione era peggiore di quel che sembrasse.
In quel momento non lo sapevo neanche io."Jacob, è ancora valida la tua proposta 'verso l'infinito e oltre'?"
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231 - Numero di ribelle (#Wattys2016)
FanfictionIl passato non tramonta, ti attraversa e ti segna. Poi ritorna.