Chapter 3 - Come un piccolo ulivo.

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All'università le giornate proseguivano con un ritmo veloce e incalzante, mettendo a dura prova la mia stanchezza e le occhiaie, che già da tempo si erano fatte spazio sul mio volto.
Durante ogni singola lezione, la mia mente rimase a girare intorno ad un immagine e ad un suono ben preciso: quel ragazzo.
Quel ragazzo che per un attimo - minuti, in realtà - mi arrivò fino al cuore, in un modo così strano e nuovo che mi fece un attimo rabbrividire.
Pensai a come, giusto qualche giorno prima, lo ritrovai nascosto tra lo sgabuzzino e i camerini di scena: era di spalle, e il maglione poco pesante che indossava gli fasciava stretta la schiena - i capelli ricci che si adagiavano alla base del collo.
<< Ei tu, è tutto okay? >> Dissi piano, tenendo ancora tra le mani la pesante scopa con cui stavo pulendo.
Non appena vidi la sua testa scattare verso di me e i suoi occhi puntati nei miei, caddi un pò di più in quel baratro nebbioso che divideva la mia testa e il mio cuore.
Mi sarei almeno potuta dare una sistemata prima di parlargli, pensai subito.
D'improvviso la mia maglia divenne troppo stretta per poter sopportare i miei battiti e il mio respiro.

<< Oh, ciao. Certo, ero solo un attimo assorto. >> Mi rispose, tenendo tra le mani una busta - gli occhi velati e la bocca tremante.

Pensai di andarmene - di continuare quello che stavo facendo - ma ormai la mia testa e il mio cuore erano pieni della sua immagine; ma inaspettatamente, fu lui a parlare.

<< Tu sei la ragazza dell'accendino, ecco dove mi sembrava di averti già visto! >> Disse girandosi verso di me, con un poco di euforia, facendo spuntare un sorriso e delle fossette sul suo volto.

Prima o poi, qualcuno, in un momento o in un altro della propria vita, trova un particolare che porterà sempre con sé - un piccolo gioiello invalutabile da portarsi dentro -, un particolare che un pò ti cambia - che cambia la tua concezione del mondo e di tutto.
Ecco, quando lo vidi sorridere per la prima volta - le fossette che spuntavano ai lati della sua bocca, e le mani a giocherellare con la busta che tenevano -, quello, quello fu il mio piccolo inestimabile gioiello.

Quando mi disse così, ammaliata da lui e dal fatto che si ricordasse - in un modo insignificante - di me, feci cadere la scopa su cui mi ero mollemente appoggiata.

Il tonfo risuonò nell'intero teatro.
Il ragazzo, che era ad un paio di metri da me, si avvicinò per raccoglierla.
E rimasi così, con il mio corpo fermo a fissarlo.
Piegandosi, i pantaloni neri e il maglione grigio che indossava si tesero, mettendo in evidenza tutti quei piccoli particolari di lui che gli abiti nascondevano: notai anche un piccolo tatuaggio sull'avambraccio sinistro.

<< Hai perso la lingua ragazza di fuoco? >> Mi chiese guardandomi divertito dopo una sottile allusione ad Hunger Games e all'accendino. Nel frattempo si era rialzato, tenendo tra le mani ancora la mia scopa.

Ancora una volta, non feci in tempo a rispondere.
Un suono acuto di tacchi risuonò nell'edificio - Michelle -, pensai subito, e i miei occhi si sbarrarono un pò.

Ma come non conclusi nulla quel giorno con lui, non conclusi neanche i miei pensieri: un bigliettino accartocciato piombò davanti ai miei occhi, e un po' stupita guardai le file dietro di me.

Un ragazzo di un biondo accecante - la maglietta chiara a stringergli i bicipiti e il petto - stava guardando nella mia direzione, indicando poi tempestivamente e in modo infantile le sedie davanti a me.
Capendo che, probabilmente, il cartoccio non era realmente indirizzato a me, lo poggiai con un movimento lento al lato del mio banco, aspettando la fine di quella lezione come mai prima.
Ultimamente, infatti, la stanchezza si stava facendo largo nella mia vita come una tazza di latte caldo in un pochino di caffè - mi stava letteralmente invadendo: niente mi sembrava più facile o giusto, neppure seguire quella mattina la lezione di chimica organica.
Uscendo poi dal grande edificio, dopo aver raggruppato tutta la mia roba e dopo esser inciampata sul gradino sotto la porta dell'aula - come al mio solito - notai di aver ancora accartocciato, nella tasca esterna della mia borsa grigia, quel fogliettino arrivatomi davanti - forse per caso.
Non lo lessi, non lo lessi mai, perché lo gettai così velocemente nel cestino da sorprendermi di me stessa - non mi scorreva neppure un minimo di curiosità nelle vene?
Con passo deciso mi incamminai verso la fermata dell'autobus, diretta al teatro per altre ore di lavoro. Il mio stomaco latrò - come un cane legato ad una catena troppo stretta: era ora di pranzo, e non mangiavo niente da diverse ore.
Il Jessy's Bar mi si parò di fronte prima che potessi decidere di non entrare, e un delizioso campenellino suonò non appena spalancai la pesante porta di vetro; suonò di nuovo subito dietro di me, proprio mentre stavo andando ad ordinare uno di quei panini così farciti che ti vergogni un pò anche a mangiare.

231 - Numero di ribelle (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora