Chapter 7 - Gocce d'acqua.

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Chi sei tu che così avvolto nella notte inciampi nei miei pensieri?
(Giulietta, atto II, scena II)

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La sabbia mi entrava nelle scarpe mentre correvo sul lungomare, le sole onde che si infrangevano sulle rocce ad accompagnarmi.
Il cielo era di un azzurro cupo, e il vento portava via le sue nuvole così velocemente da farmi girare la testa.

Continuai a correre scorgendo da lontano una figura - tanto irriconoscibile che sarebbe potuta essere chiunque.
Ma non appena i miei occhi puntarono più in quella direzione, ebbi come un fremito: una di quelle sensazioni che hai quando dopo esserti spogliato per il caldo ti vengono i brividi, e non sai se ricoprirti - non sai perché hai freddo quanto non sai perché hai caldo, e non ci capisci nulla e provi a non fare niente, a stare fermo ed aspettare che ti passi.

Pensai fosse impossibile che il mio corpo riuscisse così istintivamente a riconoscerlo, come ci fosse un legame tra il mio cuore e i miei sensi - tra me e lui.

Ma così accadde, era proprio lui - a pochi passi da me, bellissimo.

Aveva i capelli che svolazzavano ribelli al vento e le mani in tasca, il suo sguardo lontano - notai una punta di nostalgia nella sua posizione e poi nei suoi occhi, una volta che si voltò verso di me.
Poi avevo camminato piano, risistemandomi la sciarpa grigia per non sembrare così affaticata come mi sentivo.
Avevo fatto due respiri profondi prima di avvicinarmi tanto da far si che risultasse difficile che non si girasse sentendosi osservato.

Pensavo che il mio respiro si sarebbe assestato presto, ma quando i suoi occhi furono nei miei e un timido sorriso spuntò ad incorniciargli il volto, mi resi conto che niente sarebbe stato normale e tranquillo.
I suoi occhi nei miei mi provocarono un nodo in gola, le mani saldamente strette alla tracolla - il palpitante bisogno di stringere qualcosa per non scappare.

<< Cosa ci fai qui?>> Parlò dolcemente, gli occhi che tornarono a guardare lontani dopo la prima parola - un timido sorriso ad increspargli la curva delle labbra.

Non sapevo cosa dirgli.
Non lo sapevo.
Perché ero lì? Perché avevo chiamato Jacob e mi ero precipitata al molo a cercarlo? E soprattutto, come avevo fatto a trovarlo? (Come aveva fatto il mio cuore ad indirizzarmi proprio da lui?)

Ero saltata in macchina di Jacob con la foga di qualcuno che scappa dal suo assalitore - il fiato corto e le gambe che un poco tremavano sotto i jeans troppo larghi.
Avevo allacciato la cintura e lui era partito alla mia leggera esclamazione "molo".
Jacob si era districato velocemente tra le stradine gelide di Cromer, la mascella tesa e le mani prontamente sul piccolo sterzo - io che mi perdevo tra i miei più profondi pensieri.
Non seppi perché lo fece - non seppi il motivo per cui fu disponibile alla mia disperata richiesta, il motivo per cui non mi fece troppe domande.

Solo quando accostò mi resi conto che il mio cuore batteva all'impazzata e il respiro era corto, e che ero più agitata di quel che sarebbe stato normale in un'altra situazione.

Una volta fuori - il mare all'orizzonte e la pelle d'oca addosso - mi voltai verso Jacob - i suoi capelli biondi un po' ovunque, un piccolo sorriso in volto.

<< Io.. non so come ringraziarti. Grazie, grazie veramente.>> Dissi trepidante, le parole che mi rimbalzavano sulla lingua e tremavano di poco.

<< Ehi, non devi preoccuparti. Se fosse stato un peso non l'avrei fatto. >> Mi sorrise ancora.

Quando stavo per chiudere lo sportello e girarmi verso il mare, mi disse una cosa.
Una cosa che non sentivo da molto, un attimo di palpabile affetto in cui mi cullai.

231 - Numero di ribelle (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora