River flows in you

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  "Allora...se non vai troppo di fretta ti vorrei presentare i miei amici" propose Bill stringendosi timidamente nelle spalle.
Tom recuperò la chitarra e gli sorrise "Va bene, perché no?" disse, cercando di risultare il più naturale possibile: in realtà gli stavano sudando le mani. Sarebbe stato a contatto con persone normali, persone che non facevano parte del suo mondo, che non potevano capirlo. Lo psicologo sarebbe stato orgoglioso di lui.
"Andiamo allora" gli fece cenno di seguirlo per il corridoio.
Bill non sapeva che Tom conosceva a memoria i reparti di tutto l'ospedale, ma quest'ultimo lasciò che lo guidasse: gli piaceva, gli piacque essere guidato per quei corridoi da una persona che probabilmente non li avrebbe mai conosciuti bene quanto li conosceva lui. Strinse le cinghie della custodia che gli si avvolgevano intorno alle spalle larghe e con un sorriso sereno gli si affiancò mentre percorrevano il lungo corridoio.
"Ecco, questa è la stanza di Georg" disse quando furono a pochi passi dalla porta, indicandola con una mano tesa in avanti.
Tom aveva il cuore in gola: non solo aveva fatto amicizia con Bill, ma lui stava per presentargli i suoi amici.
"Eccoci qua!" esclamò Bill, entrando. Il suo sorriso parlava chiaro per Georg e Gustav: Bill era in compagnia del ragazzo della barretta.
La bellezza della figura di Tom colpì entrambi i ragazzi, Bill in qualche modo doveva avere ragione, quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, ma nessuno dei tre sapeva dire cosa fosse. E Tom non sapeva che il dolore avesse potuto renderlo così bello agli occhi altrui.
"Ciao, io sono Tom" disse cordialmente, allungando una mano prima a stringere quella di Georg e poi quella di Gustav.
"Hai visto? Ora sai anche il suo nome" disse Georg, scoppiando a ridere.
Tom rise anche lui ma li guardò un po' confuso, si vedeva che era teso, era nel suo ambiente ma la maggioranza era gente di fuori: che situazione paradossale.
"Devi sapere che Bill non ha fatto che parlare di te!" si lasciò scappare Gustav.
Gli occhi di Tom si illuminarono e rivolse uno sguardo fugace a Bill "Davvero?" chiese, curioso.
Bill, che era diventato paonazzo, rubò un cuscino a Georg e colpì prima Gustav e poi il povero amico invalido "Lasciatevelo dire, siete tremendi! Siete impossibili! Mi fate fare sempre delle pessime figure!" si lagnò, strascicando l'ultima vocale.
Tom scoppiò a ridere e infilò le mani nelle tasche della tuta, inarcandosi lievemente all'indietro: Bill trovò in quel movimento, in quella risata una bellezza che non aveva mai riscontrato in niente e nessuno, probabilmente neanche nei personaggi dei romanzi di cui si innamorava. Ecco, Tom sembrava essere uscito da un libro su cui non aveva ancora messo le mani, forse un libro che esisteva solo nella sua testa.
"Tom fa volontariato in ospedale durante il tempo libero!" si vantò Bill, come se quel suo nuovo amico potesse essere, per lui, motivo di orgoglio. E in effetti lo era.
"Davvero? Che cosa fantastica, ora mi sento in colpa! Io non ho mai fatto nulla del genere!" disse Gustav, un po' risentito.
Tom era arrossito lievemente "Ma no, detto così sembra una gran cosa ma in realtà non è niente di che, mi limito a suonare la chitarra per i pazienti, piccoli o grandi che siano" confessò, portandosi una mano sul cappuccio, mordendosi lievemente la lingua con gli incisivi.
Georg indicò la chitarra "Ci fai sentire qualcosa, vero?" chiese, quasi impaziente.
Il ragazzo dal cappuccio tirato si strinse nelle spalle "Perché no?" si tolse lo strumento di spalla e lanciò un'occhiata al vecchietto che dormiva.
"Oh, non ti preoccupare! Non lo sveglierebbero neanche le cannonate!" lo tranquillizzò subito Georg; Gustav scoppiò a ridere "Io temo che con una delle tue scorregge, invece, scapperebbe via a gambe levate!"
Georg gli diede una cuscinata col cuscino utilizzato in precedenza da Bill per colpirli "Dopo questa te ne puoi anche andare!"
Tom rise dolcemente col plettro tra le dita e si sedette su uno dei letti liberi, a destra di quello di Georg: la chitarra in grembo.
Bill prese posto sul bordo del letto del suo amico e in silenzio religioso osservò i movimenti quasi meccanici dell'altro ragazzo.
La melodia che iniziò a fluire dalle corde che presero a vibrare era "River flows in you" di Yiruma, Bill conosceva bene quella canzone, ci era particolarmente affezionato e il suo cuore prese a battere come un martello impazzito: sembrava volergli uscire dal petto. Era stato Tom stesso a farne un arrangiamento per chitarra dopo averla suonata centinaia di volte al pianoforte: aveva voluto portarla, in qualche modo, tra le mura di quell'ospedale e siccome portarci il pianoforte era impossibile, aveva deciso di portare la melodia da loro. Dire che era bravo, era un eufemismo. Loro non potevano saperlo, ma quelle corde avevano parlato per lui e sostenuto il peso del dolore che da anni se lo divorava da dentro: non poteva non esserlo, non poteva non essere bravo. Chiunque avesse un dolore da coltivare e convertire in arte, per qualche ragione inspiegabile della natura umana, era bravo. E Tom era bravissimo, ogni volta che le sue dita sfioravano le corde, la voragine nel petto di Bill si spalancava.
Persino Gustav e Georg, che tanto sentimentalisti non erano, erano stati investiti da quella magia: e per far star zitti loro ce ne voleva.
Quando la corde smisero di vibrare e Tom alzò lo sguardo dalla chitarra, si ritrovò tre paia di occhi puntati contro, ma furono quelli di Bill a colpirlo: erano bagnati di lacrime che correvano lungo le sue guance pallide. Per un attimo calò nella stanza un silenzio imbarazzante e fu Tom ad interromperlo "Ecco qui, spero vi sia piac-" ma non fece in tempo a finire la frase, che Bill prese a battere le mani e, con lui, gli altri due.
"Amico, wow, sei bravissimo" disse Gustav.
Bill si coprì il viso con le mani, non riusciva a smettere di piangere e non sapeva neanche lui perché.
"Che...che succede?" chiese Tom, spaventato da quella reazione.
"Non ti preoccupare, Bill apre le fontane per qualsiasi cosa, ma stavolta non gli si può dare torto" lo tranquillizzò Georg, allungando una mano a toccare un ginocchio a Bill.
"Bill, non piangere" disse Tom, timidamente, colpito da quelle lacrime.
"Sei stato bravissimo, è la mia canzone preferita" mugugnò Bill, cercando di asciugarsi il viso col dorso della mano.
"Ne sono lusingato, te la farò sentire anche al pianoforte" promise Tom, sorridendo con tenerezza.
"Davvero?" chiese Bill, illuminandosi, a quelle parole.
"Promesso" specificò Tom, facendogli l'occhiolino.
"Ehi, appena sono fuori di qui dobbiamo assolutamente uscire tutti insieme, credo che sarò fuori giusto in tempo per il nuovo film di Iron man!" esclamò Georg.
"Assolutamente!" gli fece eco Gustav "Tom, sei dei nostri?" chiese subito al nuovo ragazzo.
Bill saltò giù dal letto e unì le mani per pregarlo "Ti prego!" pigolò.
Tom stava giusto riponendo la chitarra nella custodia quando venne investito da quei tre inviti: non gli era mai capitata una cosa del genere, non era mai stato voluto o invitato per un'uscita, una vera uscita. Quelli erano appena diventati suoi amici? E non aveva dovuto fare niente di impossibile, non ci era voluto uno sforzo sovrumano, gli era bastato essere Tom...gli era bastato non essere il cancro.
"Volete che venga anche io?" chiese, non riuscendo a credere a quello che stava succedendo.
"No, in realtà stavo invitando il vecchietto! CERTO CHE DEVI ESSERCI ANCHE TU!" esclamò Georg.
Tom rise sommessamente e annuì "Va... va bene, allora. Sì? Perché no?" si strinse nelle spalle.
Per Bill quella era una delle giornate migliori della sua giovane vita, non avrebbe mai ringraziato abbastanza i suoi migliori amici per essere stati le persone meravigliose che erano sempre.
"Adesso devo proprio andare, però" disse Tom, rimettendosi lo strumento in spalla.
"Aspetta!" esclamò Bill, tirando fuori il telefono: glielo porse.
"Uhm?" lo guardò interrogativo, prendendo in mano quello stesso telefono che per poco non gli era caduto, quando si erano visti, in ascensore.
"Salvami il tuo numero" ordinò il moro, punzecchiandogli la spalla con il dito indice.
Un bellissimo sorriso comparve sul viso di Tom che rivolse uno sguardo anche agli altri due, prima di cominciare a digitare il proprio numero sul tastierino del telefono di Bill.
"Pensavi di scappare ed evitare il nostro invito, ammettilo!" scherzò Georg.
Tom scoppiò a ridere e scosse la testa "Ma no, è che sono così sbadato che non ci ho proprio pensato" confessò, salvandosi come 'Tom'; in realtà, più che di sbadataggine, si trattava del fatto che per lui, quella, era la prima volta. Non aveva mai dovuto salvare il proprio numero sul telefono di qualcun altro, mai aveva ricevuto tutta quella confidenza da parte di un coetaneo. "Ecco fatto!" restituì il telefono al proprietario che non perse tempo: gli fece subito uno squillo.
Intanto Gustav e Georg si scambiarono uno sguardo d'intesa: eh sì, non c'era niente di più bello del vedere il loro Bill felice.
"Ti salvo come..." disse Tom, recuperando il proprio telefono dalla tasca enorme della tuta: Bill glielo tolse di mano e "Faccio io! Mi salvo come 'Bill', non ne hai altri, vero? Potrei essere geloso!" scherzò.
Tom scosse la testa "Sei l'unico Bill, fino ad ora" rise, rimettendosi il telefono in tasca.
"Ci ha fatto un sacco piacere conoscerti, ci teniamo in contatto, mh?" disse Gustav.
"Ha fatto tanto piacere anche a me" disse Tom, sincero.
Quando uscì dalla stanza, Bill lo seguì con lo sguardo, accompagnandolo fino alla porta.
"E' davvero un bravo ragazzo" disse Georg, sorridendo al moro.
Bill aveva gli occhi che brillavano come due stelle cadenti "Non potevo immaginare che fosse così bravo con la chitarra! E avete sentito? Sa suonare anche il piano, me la farà sentire anche al piano!" esclamò, mettendosi a camminare per la stanza: era più un volteggiare, in verità. Deformazione professionale da ginnasta.
"Terra chiama Bill, Terra chiama Bill!" esclamò Gustav.
"E ora hai anche il suo numero!" esultò Georg, alzando una mano per farsi battere il cinque da Bill, che non mancò.
"Non so come ringraziarvi" disse Bill subito dopo, fermandosi al centro della stanza, le braccia lungo il corpo e la testa leggermente inclinata di lato.
"Non ci devi ringraziare affatto, lo abbiamo fatto volentieri, si vede che è una persona speciale, anche se non so perché" rifletté Gustav.
"Di solito le persone che soffrono sono quelle dal sorriso più luminoso" disse Bill, sedendosi sul letto libero sopra al quale, fino a poco prima era seduto un Tom musicista. E hai proprio ragione, caro Bill, le persone che soffrono di più sono quelle più speciali, che più hanno da dare. Solo che Bill, tutto questo, non lo sapeva ancora.


Nota: il capitolo precedente mi era sembrato troppo lungo e dispersivo, anche se bello, quindi questo è più corto! Spero vi piaccia comunque, alla prossima! E grazie ancora per le recensioni.  


Non sto andando via (Twincest, completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora