Non gli ho fatto niente

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  I giorni passavano e Tom stette lontano dall'ospedale per un po', la scuola pretendeva che recuperasse determinate materie entro la fine del primo semestre e lo studio lo costrinse a casa a studiare.
Bill continuò ad andare in ospedale, invece, insieme a Gustav praticamente ogni giorno per andare a trovare Georg, finché non lo dimisero. Iniziava a sentire la mancanza di Tom, anche se si mandavano qualche sms di tanto in tanto. Bill aveva voglia di rivederlo, ma l'altro gli aveva detto della scuola e dello studio, quindi non aveva insistito finché, un pomeriggio..
"Hai una nuova notifica su Whatsapp"
Tom: Bill, ho scaricato Whatsapp!
Bill s'illuminò nel leggere quel messaggio e non perse tempo:
"Finalmente! Mi meraviglia il fatto che non lo avessi ancora fatto!" scrisse.
Tom: in realtà non ho tutti questi amici da sentire, quindi non mi era mai servito.
Bill: ma ora hai noi, anzi aspetta che ti aggiungo al gruppo, gli altri saranno sicuramente d'accordo!

Bill lo aggiunse e..
Gustav: chi va là!
Georg: la nostra vita come magico trio finisce qui.
Bill: è Tom!
Gustav: Non sono così stupido, lo avevo immaginato.
Georg ha cambiato il nome del gruppo in "I fantastici quattro".
Tom: Ciao! Ci ho messo un po', ma ora ci sono anche io.
Georg: finalmente sei dei nostri!
Gustav: complimenti per il nome, Georg, ancora una volta devo riconoscere che le tue idee sono sempre le più belle.
Georg: rimaniamo in tema supereroi!

Georg aveva iniziato la fisioterapia per la gamba; il braccio era ancora ingessato ma poteva già camminare, anche se con un po' di difficoltà e l'aiuto delle stampelle: il programma per andare a vedere il film non era cambiato, ci sarebbero andati e Tom avrebbe avuto la sua prima uscita col magico trio, di cui ora faceva parte.
Qualche attimo dopo il telefono di Bill prese a squillare: Tom lo stava chiamando.
"Ehi! Mi sei mancato in ospedale, lo sai?" disse subito, aveva anche sporto il labbro inferiore in un piccolo broncio, come se Tom potesse vederlo.
"Lo so, non ci sono stato e mi dispiace tantissimo! La scuola mi sta rubando un sacco di tempo" si scusò.
"Va bene, ti perdono!" esclamò Bill.
"A proposito di perdono! Per farmi perdonare volevo chiederti se ti andava di venire da me, oggi, ti faccio sentire la canzone al piano" propose Tom.
"Davvero? Oggi? Vengo molto volentieri! A che ora mi vuoi lì?" chiese Bill, entusiasta di poterlo rivedere.
"Può andare bene verso le quattro? Poi magari ci facciamo un giro" disse Tom.
"Ma certo, non vedo l'ora!"
"Allora ti mando l'indirizzo per messaggio, aspettalo!"
"Perfetto, ci sentiamo dopo!" concluse Bill, al settimo cielo.
"A dopo!" Tom chiuse la chiamata.
Era ormai ora di pranzo e Sarah chiamò Tom a tavola, Jackson stava giusto apparecchiando per tre.
"Oggi viene Bill, va bene per voi?" domandò, prendendo posto.
"Certo che va bene" disse sua madre, iniziando a fare i piatti. Jackson annuì, mangiando un pezzo di pane.
"Smettila di mangiare il pane, poi ti avanza sempre tutto" lo rimproverò la moglie.
"Ma se ho fame!" protestò lui.
"Non dovete dirgli niente del cancro" sputò Tom, facendosi serio.
Tra i due piombò il silenzio, non erano sicuri che quella fosse la scelta giusta.
"Tom..." iniziò suo padre.
"Tom niente, non se ne parla, non deve saperlo!" fece lui, alzando la voce.
"Prima o poi finirà per scoprirlo, Tom, in un modo o nell'altro potrebbe finire per accorgersene" disse sua madre.
"Meglio poi, che prima. Per ora va bene così, non lo sa e...insieme ci troviamo bene, non voglio rovinare tutto" mormorò.
I genitori, a malincuore, decisero di rispettare la sua decisione.
Le quattro non arrivavano più! Tom aveva passato le ultime due ore ad esercitarsi al piano, "River flows in you" gli veniva perfettamente.
Quando suonò il campanello, alle quattro e un quarto, Tom si precipitò ad aprire e insieme a lui c'erano anche Sarah e Jackson.
Davanti alla porta si ritrovò Bill e sua madre.
"Ciao!" esclamò Bill e "Salve" disse ai genitori di Tom.
"Piacere di conoscerti, tu devi essere Bill! Tom non fa che parlare di te!" disse Sarah, allungando poi la mano a stringere quella di Amelia "Sono la madre di Bill, l'ho accompagnato in macchina perché è un po' lontano". Bill scosse la testa "In realtà ce la facevo benissimo a piedi, ma era preoccupata per me. Ora hai visto chi è Tom e puoi stare più tranquilla! In realtà era più curiosa di quanto immagini!" la prese in giro Bill. Ci fu una risata generale e poi "Ma perché non entra per un tè?" chiese Sarah, Jackson annuì prontamente e li fecero accomodare dentro.
"Grazie di cuore, un tè non lo rifiuto" disse Amelia, entrando insieme a Bill.
"Noi ce ne andiamo di là e vi lasciamo ai vostri convenevoli!" disse Tom, facendo cenno al moro di seguirlo in salotto. Un enorme pianoforte a coda troneggiava in un lato dello spazioso soggiorno, dietro ai divani.
"Ma è bellissimo" disse Bill, portandosi le mani alle labbra.
"Siediti con me" lo invitò Tom, prendendo posto sullo sgabello. Il moro gli si sedette accanto e lo osservò poggiare le dita lunghe e affusolate sui tasti pesati. Iniziò a suonare la melodia che Bill aveva avuto l'occasione di sentire solo dalle sue cuffie e dalla chitarra di Tom, quella volta in ospedale.
Si morse le labbra più e più volte: stava cercando di non piangere, ma quella melodia era una prova dura da superare.

"Tom suona il piano?" chiese Amelia.
"Piano, chitarra e batteria, sono le uniche cose che fa volentieri, non è molto portato per lo studio, in realtà" disse Sarah.
"E' davvero molto bravo, Bill mi aveva detto che suona la chitarra per volontariato in ospedale, nel tempo libero"
In quel momento Sarah si trovò in difficoltà: non sapeva quali fossero le bugie che suo figlio aveva raccontato, ma decise di rispettare la sua decisione, forse Tom non se la sentiva ancora di parlarne ed era giusto così "Sì, è esatto, nel tempo libero Tom se ne va in ospedale per suonare la chitarra e cantare coi pazienti" precisò la madre del ragazzo.
"Grazie mille per il tè, mi ha fatto piacere conoscervi e conoscere Tom, gli amici di Bill sono sempre i benvenuti da noi, quindi se vi fa piacere qualche volta potreste passare voi, tanto siamo solo io e lui e un po' di compagnia non guasta mai" disse Amelia, alzandosi.
"Molto volentieri, sono sicura che Tom non mancherà" Sarah avrebbe voluto aggiungere che Tom non aveva mai avuto amici e che sarebbe stato un amico eccezionale per Bill, perché lo avrebbe trattato come un tesoro...ma non poteva spiegare perché, quindi non disse niente.
Si congedarono e i due accompagnarono Amelia alla porta.
"Bill, se devo venire a prenderti fammi uno squillo!" esclamò sua madre.
"Non ti preoccupare, torno a piedi" fece lui, troppo preso dal piano e da Tom per prestarle veramente attenzione.

Tom provò ad insegnare a Bill le basi della musica, quest'ultimo aveva occhi solo per le mani del ragazzo che si muovevano agilmente sulla tastiera del pianoforte o gesticolavano per enfatizzare i concetti che gli stava spiegando.
"Sai, non te l'ho detto ma io pratico ginnastica artistica, ti va di venire a vedere qualche allenamento, qualche volta?" chiese Bill, che non vedeva l'ora di condividere quella sua passione anche con Tom.
Tom si rabbuiò un po' a quella proposta, il pensiero andò subito agli allenamenti di calcio, sospesi anni prima per via del cancro.
"Ma certo" disse comunque, cercando di forzare un sorriso. Fare amicizia era bello, senz'altro, ma sarebbe stato anche difficile per lui. C'erano delle cose che non aveva mai superato, che fino a quel momento non aveva mai dovuto neanche affrontare, dolori, sofferenze e delusioni che giacevano assopiti dentro di lui, nel più profondo della sua anima. Assopiti, sì, ma mai attenuati.
Dopo aver passato un paio d'ore davanti al piano uscirono per fare una passeggiata fuori: Tom lo avrebbe riaccompagnato a casa, non voleva che facesse la strada da solo. Mentre Bill gli raccontava un aneddoto divertente su Georg e Gustav, di come quest'ultimo avesse provato a fare la Cinnamon Challenge e Georg gliel'avesse sabotata con la sua fantastica idea di unirci il peperoncino, la testa di Tom era altrove e non ci volle molto perché Bill se ne accorgesse.
"Non mi stai ascoltando" disse, un po' intristito.
"Scusami" fece Tom, abbassando lo sguardo: stava pensando ai famosi allenamenti, si chiedeva se sarebbe davvero riuscito ad andare a vedere Bill. Il punto era che probabilmente, lui non voleva andarci e la cosa lo faceva sentire in colpa. Non voleva andarci, non voleva avere niente a che fare con lo sport, dopo che il suo sogno di diventare uno sportivo era andato in pezzi.
"Cosa c'è che non va?" chiese Bill, cauto.
"Non è niente, davvero" mormorò l'altro, cercando di scacciare quei pensieri negativi. Il problema era che prima o poi avrebbe dovuto affrontare la cosa.
"Ci sentiamo, allora, mh? E ci vediamo presto" disse Bill, una volta arrivato davanti al viale di casa propria.
"Certo, ci vediamo presto" ripeté Tom, abbozzando un sorriso.
"Ti faccio sapere quando puoi venire a vedermi, poi ci organizziamo per il film, invece".
Affrontare la cosa, oppure scappare.
Tom optò per la seconda.
Mentre percorreva la strada a ritroso, per tornare a casa, una fitta di dolore alla gamba gli fece cedere il ginocchio e cadde rovinosamente sul cemento del marciapiede, sbattendo il mento a terra. Non passava nessuno e rimase a terra per qualche minuto: le lacrime gli annebbiavano la vista. Non stava piangendo per il dolore, piangeva perché per la prima volta in vita sua aveva un amico e le prime difficoltà, legate a questa nuova amicizia iniziavano a manifestarsi, rischiando di sabotargli tutto. Forse avrebbe potuto mandare tutto a puttane, magari avrebbe trovato un altro amico che non gli avrebbe proposto di andare a vedere i suoi allenamenti. Si maledisse per quel pensiero, perché lui voleva Bill, non voleva un altro amico, non voleva un sostituto. E pianse perché aveva una bruttissima sensazione, non voleva ammetterlo a se stesso, non voleva ammettere cosa fosse quella sensazione, non voleva pensarci, voleva smettere di pensarlo, subito, perché ogni volta che lo pensava, ogni volta che pensava a quella cosa, finiva per accadere quello a cui ormai era avvezzo da anni e anni. Ma ci era davvero abituato? Ci si poteva davvero abituare a una vita controllata dall'intruso?
Nei giorni seguenti, Bill non ebbe più notizie di Tom: era sparito. Ai messaggi non rispondeva, alle chiamate neppure, aveva persino provato ad andare a casa sua: Sarah gli aveva detto che non era a casa, ma in realtà Bill sapeva benissimo che c'era, voleva solo capire perché non volesse vederlo, cosa fosse successo.
Tom non sapeva come dirgli che non voleva andare ai suoi allenamenti e sparire era l'unica soluzione che gli fosse venuta in mente, anche se i suoi si erano arrabbiati tantissimo con lui. Ma Tom, viziato com'era, vinceva sempre: anche quella volta gli avevano dovuto dare ragione per farlo stare zitto, per calmarlo. Per una volta avevano pensato che forse sarebbe stato meglio lasciarlo in pace, se la sarebbe vista lui: così aveva consigliato anche lo psicologo.
Le settimane passavano e Bill si era spento, come si spegne un fuoco nel freddo della notte.
"Non gli ho fatto niente" piangeva spesso, anche in compagnia dei suoi migliori amici.
Georg e Gustav tentavano di consolarlo in ogni modo, ma Bill era inconsolabile, Bill voleva solo sapere cosa avesse fatto di male per allontanare Tom in quel modo. Sapeva che c'era qualcosa sotto, qualcosa che ancora non sapeva, qualcosa che Tom non gli aveva detto: quella era la consapevolezza che aveva maturato nel corso di quelle settimane senza di lui, ma non sapeva dire cosa fosse.

Nella sua solitudine, Tom non ci stava più bene. Ma ci era mai stato bene? Forse ci si era abituato, negli anni, ma dire che ci stava bene, probabilmente era eccessivo. Possiamo dire che Tom fosse abituato alla solitudine, a sopportare il dolore da solo.
Resiliente. Resilienza: capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi.
In psicologia, la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà.
Tom aveva sempre amato la parola "resilienza", da quando ne aveva scoperto il significato, qualche mese prima. Avrebbe voluto farne il suo motto, il suo stile di vita, ma ci sarebbe mai riuscito? Sarebbe mai diventato resiliente? Si chiedeva se ci fosse stato mai qualcuno in grado di affrontare e superare un evento tanto traumatico quanto il cancro. Lui voleva riuscirci. Ma era difficile, da solo era ancora più difficile.
A Tom mancava Bill, ne sentiva terribilmente l'assenza, la mancanza e gli pesava, gli pesava ogni giorno di più. Aveva lasciato passare delle settimane, era convinto che, tornando alla sua solitudine, si sarebbe riabituato presto a quello che era il suo vecchio stile di vita. Cosa aveva ottenuto? L'effetto contrario: il silenzio e la solitudine erano diventati insopportabili, forse in tutto quel dolore, dato dall'assenza di Bill, era anche arrivato a pensare che sarebbe potuto andare a quei benedetti allenamenti, forse quell'amicizia avrebbe potuto essere più forte del suo orgoglio. Questo pensava mentre percorreva la strada che lo separava da casa di Bill. Forse era a metà strada quando una fitta di dolore lo colpì all'altezza del polpaccio, facendogli cedere il ginocchio. Eccolo là. Di nuovo. Lo conosceva quel dolore, aveva imparato a riconoscerlo.
Cadde in ginocchio sul marciapiede e rimase lì finché non arrivarono Jackson e Sarah a prenderlo: la mattina dopo lo aspettavano dei controlli in ospedale. Quella sera nessuno parlò, ne avevano tutti troppa paura, ma sapevano a cosa sarebbero andati incontro l'indomani.
Tom, sommerso dalle coperte nel suo letto, non piangeva per quello, non per il brutto presentimento, piangeva perché per la prima volta in vita sua doveva preoccuparsi di come far funzionare il tutto: i nuovi amici che aveva abbandonato per settimane e l'intruso.
Moriva dalla voglia di sentire e rivedere Bill, voleva scusarsi per non essere andato ai suoi allenamento, scusarsi per essere sparito senza neanche una parola.
La chiamata partì, e il telefono di Bill prese a squillare. Il suo cuore perse un battito quando lesse il nome dell'altro sul display.
"TOM! Che fine hai fatto? Perché sei sparito così? Che è successo?" chiese a raffica, gli occhi lucidi e il cuore in gola.
Stette in silenzio per ascoltare la risposta, ma non arrivò niente, se non il rumore del pianto soffocato dell'altro, sentiva i suoi singhiozzi e qualcosa dentro di sé si spezzò: cosa stava succedendo?
"Tom, qualsiasi cosa sia, sono qui per aiutarti, sono tuo amico, vuoi capirlo o no?"
Nessuna risposta, solo singulti.
"Tom, ti prego, parlami, per favore" lo pregò Bill, iniziando a piangere anche lui. Perché mai non voleva parlargli?
La chiamata durò quasi mezz'ora, Bill rimase al telefono con lui e lo ascoltò piangere per tutto il tempo, lo ascoltò calmarsi e poi ricominciare. Per tutte quelle cose che Tom avrebbe voluto dirgli, ma che non gli disse, Bill rimase al telefono con lui.
"Ti faccio compagnia, non ti preoccupare, non aver paura, Tom...tutto si aggiusterà, in un modo o nell'altro, qualunque cosa sia, te lo prometto" disse, mandandogli un bacio.

Bill: Tom mi ha chiamato poco fa, piangeva. Non ha detto niente.
Georg: cosa?
Gustav: ti conviene andare in ospedale e chiedere di lui, è l'unico modo che hai per beccarlo.
Georg: per una volta devo dargli ragione, se vuoi ti accompagniamo noi, mh?
Bill: va bene, ci vediamo domani mattina lì davanti.
Georg: notte.
Gustav: dormite bene, Bills, cerca di stare tranquillo.

L'indomani Sarah, Jackson e Tom ne ebbero la conferma: il loro presentimento ci aveva preso, il tumore era tornato, aveva colpito la tibia e bisognava agire immediatamente perché la crescita era abbastanza veloce. Erano bastate poche settimane lontane dall'ospedale. Sarebbero intervenuti con una dose massiccia di chemioterapia per ridurre o fermare la crescita e poi lo avrebbero rimosso chirurgicamente.
Tom era a pezzi: forse per la prima volta in vita sua si era illuso che non sarebbe tornato. Nel momento in cui aveva stretto amicizia con Bill, si era illuso di essere diventato un ragazzo normale, ma non lo sarebbe stato mai ed ecco dov'è che l'amicizia con lui gli avrebbe fatto male. Lo aveva realizzato quella mattina, mentre l'oncologa esaminava con loro i risultati della PET. Gli somministrarono la prima dose di chemio quella mattina stessa, poi tornò a casa coi suoi. Non ci si sarebbe mai abituato, non a quello. Non sarebbe mai diventato resiliente. Invece si era abituato subito alla vita da ragazzo normale, gli erano bastati due giorni. Quella vita normale era davvero una droga, e quanto faceva male ora che gli effetti erano svaniti.

"Sto cercando Tom, il ragazzo che fa volontariato in ospedale, suona la chitarra" disse Bill a Thomas, l'infermiere. Gustav e Georg dietro di lui, in ansia almeno quanto il loro amico.
"Non c'è nessun ragazzo di nome Tom che fa volontariato in ospedale" rispose lui, un po' confuso.
"Tom, il ragazzo al quale ha domandato dello zio ricoverato. Eravamo al quinto piano, traumatologia, lei è passato e ha chiesto del...del tumore dello zio" balbettò Bill, confuso. Una strana consapevolezza stava prendendo piede dentro di lui.
"Non c'è nessun Tom con un parente ricoverato, Tom non ha parenti ricoverati, è lui che lotta contro il cancro da anni, ormai" disse l'infermiere.
A Bill cedettero le gambe, un senso di nausea gli attanagliava la bocca dello stomaco e la gola. Gustav lo prese prontamente in braccio "Bill! Cazzo..."
Georg era sconvolto almeno quanto loro: ringraziarono l'infermiere e si fermarono in sala d'attesa, al piano terra, volevano far riprendere Bill.
Thomas gli portò un bicchiere di acqua e zucchero.
"Non sapevi di Tom? Sei suo amico?" chiese, preoccupato.
"Non mi ha detto niente, non potevo immaginare" soffiò Bill, il viso più pallido del solito.
Nella testa di Bill c'erano quella bandana da cui Tom non si separava mai e il cappuccio perennemente tirato: ora aveva una spiegazione anche per quello.


Nota: non mi sento propriamente bene, non è un bel periodo già da un po' e avevo bisogno di pubblicare questo capitolo. Scrivere mi sta creando dipendenza probabilmente, ma è l'unica cosa che riesca a farmi stare meglio al momento. Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate con un commento o recensione che sia, stasera ne ho davvero bisogno.  


Non sto andando via (Twincest, completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora