Emma

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George mi chiamava memma. Si era inventato quella parola solo per me. A metà tra mamma e Emma. Era il mio tesoro. Avrei dovuto stare fianco a fianco con James due volte a settimana per tutto il pomeriggio. I laboratori si svolgevano il sabato pomeriggio ed il mercoledì, salvo diverse esigenze. Avremmo dovuto decidere insieme come procedere, i progetti, cosa fare. Insomma avremmo dovuto socializzare. La mattinata passò più velocemente del previsto. I miei ragazzi legarono subito con Jake che, ad onor del vero, sapeva farci. Erano tutti molto affascinati da lui e dai suoi racconti sul football e lo ascoltavano a bocca aperta, come me del resto. Quel presuntuoso aveva un carisma d'altri tempi ed una gestualità sexy da mozzare il fiato. Quando sorrideva aveva delle splendide fossette che avrei voluto riempire con le mie labbra. La sua bocca mi ricordava il bacio rubato nello sgabuzzino e credo che per tutta la mattina non riuscii a pensare ad altro. Ci fu un momento di silenzio in cui si sentì soltanto il mio stomaco brontolare a gran voce "Ok ragazzi, mi pare di capire che qualcuno qui abbia fame, ci vediamo mercoledì quindi? ...Emma... Emmaaa!" "Oh, sì scusa ero distratta" . Mi fece l'occhiolino:" Da cosa precisamente?".
Me ne tornai a casa, pensando ancora a quanto fosse strano che uno come lui si occupasse del progetto, pensando a quanto era stato gentile e comprensivo con i miei ragazzi adorati, a quanto li avesse catturati. Insomma pensando a lui. Odiavo dovermi ripetere, ma il mio piano continuava a fare acqua da tutte le parti. Ormai stavamo affondando.

Mi merito teDove le storie prendono vita. Scoprilo ora