*PARTE DUE* Capitolo 6

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La chioma scura di Robin Hood sferzava il vento fresco, ondeggiando come alghe nel mare.
Il tramonto era agli inizi, il rosso- rosa degli ultimi raggi si nascondeva ancora dietro il mare.
Il suolo del piccolo boschetto vicino alla tenuta era stopposo, un misto di erba fresca e muschio umido.
In America non c'erano boschi così.
Mi ero ricordato della mia prima gita in Canada: un ragazzino di Los Angeles, abbronzato tutto l'anno e quasi inconsapevole dell'esistenza di abiti invernali, che toccava la neve delle foreste canadesi, ne sentiva la consistenza viscosa, si ghiacciava le dita abituate a non usare i guanti.
Era stato bello.
Come diceva il Pascoli, in ogni fanciullo e in ogni adulto c'era la meraviglia, l'emozione più complessa. Poteva essere bella- come in quel caso. Poteva essere brutta, o perfino devastante.
E poteva essere anche indesiderata o inattesa.
E io l'avevo sperimentata in tutti i modi, e ormai la meraviglia si era scavata una posizione privilegiata nel mio petto, dove dimorava indisturbata.
Dove avrebbe sempre vissuto.
Il cavallo andava a trotto, i suoi zoccoli curati segnavano i passi con una marcia regolare, che scandiva la melodia nel mio cervello.
Sembrava un soldato particolarmente educato, fedele al comandante.
Poi era apparsa anche lei, Atena bella chioma. Il suo cavallo era nero, lucido come un'auto da corsa e solcato da muscoli sottili. Aveva i piedi infilati nelle staffe, e i pantaloni di Emily, beige chiaro. I capelli a caschetto si muovevano leggermente ogni volta che lo stallone trotterellava.
Sembrava un'Amazzone, libera e fresca e anarchica. E bellissima.
Mi aveva guardato, ed era ancora impaurita mentre mordicchiava l'anello nero.
In lontananza avevo visto l'albero solitario e accogliente dove mi ero addormentato pochi giorni prima, quando avevo cavalcato Robin Hood per la prima volta.
Il cinguettio degli uccelli era placido e cantilenante, ma io avevo voglia di urlare.
Il mio bisogno primordiale e da cavernicolo si era tracciato un sentiero da solo, su per la mia gola da cantante. E l'urlo era rimbombato tra gli alberi, rimbalzando da un tronco all'altro in una danza tribale.
La dea Eco, di verde e bianco vestita, mi era apparsa impetuosa, ripetendo la mia supplica tristemente, finché anche lei non era tornata al suo vagare eterno.
- Che stai facendo? - mi aveva domandato Atena, mentre io guidavo il cavallo verso il mio rifugio segreto.
L'avevo legato al tronco, come mi aveva mostrato Trevor, poi gli avevo allungato una mela succosa e rossa.
Dopo un ultima carezza all'animale, avevo guardato il terreno ai miei piedi: troppo terroso per potercisi sedere. Sicché avevo steso per terra una coperta logora, che un tempo doveva essere stata bella. Un motivo di viole si apriva sulla stoffa rossa, doppiata di feltro trapuntato.
Con un gesto della mano l'avevo invitata a sedersi accanto a me, per guardare gli sprazzi visibili di cielo azzurro attraverso i rami degli alberi.
Avevo estratto dalla tasca il mio diario, nero e pieno di scritte bianche e rosse.
La chiusura era formata da un laccetto di pelle nera, che andava girato attorno alla copertina e annodata stretta sul dorso ruvido.
Era rimasto in fondo alla mia valigia, e pensavo di non doverlo utilizzare. Ma poi era arrivata la persona che cercavo.
- Cos'è quello? -
- Il mio diario-
Lei mi era parsa più discreta, senza la curiosità che la caratterizzava.
- Avanti, prendilo, prima che ci ripensi- l'avevo spronata con un sussurro.
La sua mano titubante si era stretta sul libriccino, poi aveva parlato.
- Ma non mi conosci, Noah...Come potrei leggere il tuo diario, senza neanche sapere chi sei? Forse sei convinto che io possa capirti, ma non è così-
Il sole le disegnava il profilo nel naso, del mento affilato e sottile, delle ciglia scure e folte.
Non si era stesa accanto a me: tra le mani stringeva il mio diario, sfiorandolo di tanto in tanto come se potesse rompersi o svanire nel nulla. Lo trattava come una cosa preziosa, ecco.
- Atena, come puoi capirmi? Io non lo pretendo. Io voglio che tu me lo legga, che tu mi faccia capire come devo sentirmi. Sai, io non l'ho mai riletto. Ho sempre avuto paura che avrei fatto cose stupide. Ma so che con te non lo farò. Riesci a tirare fuori i sentimenti più difficili in me, ma anche a farmeli controllare. E non so perché-
Dopo un attimo di esitazione, si era distesa, incrociando le gambe sulla coperta.
I cavalli scalpicciavano la terra, in cerca di erba commestibile. Gli uccellini cantavano ancora.
E la dea Atena iniziò a leggere.

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